Tra Università e pizzerie
Francesco Di Lorenzo - 02-07-2014
Tanto per non farci mancare nulla, anche in piena estate, le notizie ci ricordano che la nostra scuola è l'ultima della classe. I due primati negativi che ci caratterizzano sono questi: siamo, tra i paesi sviluppati, quelli che hanno gli insegnanti e i presidi più anziani, in più, la nostra percentuale di precari è tra le più alte al mondo.
Per completezza di informazione, l'indagine internazionale sull'insegnamento e l'apprendimento Talis-Osce, ci fa sapere che circa la metà dei presidi ritiene che nella propria scuola, e per estensione in tutte le altre, mancano sia le risorse materiali che umane. (E così sappiamo anche l'opinione di una parte dei nostri dirigenti scolastici).
Certo non sono delle grandi novità sapere che il divario tra studenti e docenti è troppo ampio, e che tra generazioni troppo distanti la comunicazione è sempre più difficile, che la precarietà porta alla mancanza di continuità didattica e che in altre parti d'Europa e del mondo non è così... siamo abituati. Ma fare la lista delle cose che non vanno, e non da adesso, a dispetto di ciò che si potrebbe pensare, è un'operazione utile. Molto utile. Non dimenticare è un dovere, anche se, ammettiamolo, è stancante. È stancante perché il rischio della ripetitività è tramutabile in noia, con tutto quello che ne consegue.
Ma la domanda a questo punto potrebbe essere: perché ci troviamo in questa situazione? La risposta, semplicissima, parte da una costatazione: se non si investe nella e sulla scuola, e sono vent'anni che non lo si fa più, queste sono le conseguenze. Sono infatti trascorsi vent'anni dall'ultimo grande investimento in ambito scolastico; si investì all'inizio degli anni novanta nella scuola primaria con l'introduzione dei moduli didattici (tre insegnanti su due classi) e con un piano ampio di formazione e di aggiornamento. E, non dimentichiamolo, l'investimento diede i suoi risultati, e li diede nonostante i detrattori di allora che negli anni hanno appoggiato tutto ciò che si è fatto per demolire quella costruzione. Ricordiamo, per inciso, che quella costruzione portò la nostra scuola primaria a conseguire risultati che la collocarono ai primi posti nel mondo. Se qualcuno ancora si chiede perché ora non siamo più così in alto, bene, dovrebbe sapere indicativamente da dove partire.

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Che la scuola non sia più uno strumento di mobilità sociale è già da qualche anno che si sa e, tra l'altro, la cosa è sotto gli occhi di tutti. Ora però è stato sancito e ribadito in un incontro organizzato dal Censis a cui partecipava anche Luigi Berlinguer, ex ministro dell'Istruzione. I dati sono lì a dimostrarlo, la scuola non riesce più a far migliorare la condizione sociale di partenza di chi la frequenta. Figli di operai e semplici salariati non scolarizzati, negli anni scorsi, e per un periodo di tempo, si sono diplomati e hanno avuto accesso all'Università. Poi ad un certo punto qualcosa si è rotto. Addirittura i dati dicono che quasi il 30% dei nati tra il 1980 e il 1984 ha peggiorato le condizioni da cui partiva, cioè, in pratica, ha trovato un lavoro peggiore di quello che hanno o avevano in famiglia. Naturalmente i dati confermano alcune ipotesi diciamo 'storiche', e cioè che gi abbandoni scolastici tra i figli dei laureati sono il 2,9%, tra i figli dei diplomati il 7,8%, mentre tra i figli di genitori che hanno frequentato solo le scuole dell'obbligo la percentuale sale al 27,7%. All'Università, poi, si iscrive solo il 47, 3 % degli studenti italiani: i figli di chi ha il diploma di scuola media, all'Università non ci pensano neanche più.
La sfiducia che prevale su tutto ciò, nella pratica, non fa che aumentare gli abbandoni scolastici, è un cane che si morde la coda. Se la scuola non mi garantisce un lavoro migliore di quello di mio padre, è inutile che ci vada. Naturalmente non è vero, o non sempre è vero, ma poiché questo ragionamento molto semplicistico viene fatto tutti giorni e viene alimentato dai media e da qualche personaggio televisivo, lo si trova ampliato a dismisura e alla fine supinamente accettato. Dire ai giovani di aprire una pizzeria piuttosto che andare a scuola, è un'operazione criminale perché stupida e senza nessun senso. E così tra qualche tempo troveremo il solito inutile idiota che ci spiegherà che la laurea non serve, portando l'esempio di una persona che non si è laureata ma ha avuto successo, semmai un suo cugino.
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