Odifreddi insegna: il negazionismo non si può proibire
Luca Telese - 19-10-2013
Impedire le opinioni per legge non serve. Per smentire le tesi che negano la Shoah basta poco: Odifreddi si legga le memorie dei nazisti

Provate a fare come nei giochi della Settimana Enigmistica. Se unite con una linea retta due punti - o meglio, due notizie di questi giorni - per vedere cosa apparirà, scoprirete che alle incredibile affermazioni di Piergiorgio Odifreddi sull'Olocausto - se venisse approvata la legge anti-negazionisno oggi in discussione - dovrebbe seguire il carcere.

Questo piccolo gioco, quindi, la congiunzione tra due polemiche apparentemente distanti ma parallele, apre due problemi enormi. Ovvero il difficile equilibrio tra la libertà di polemizzare, anche drammaticamente, e la libertà di poter dire, anche cose poco condivisibili. Faccio un esempio: Quando sento Odifreddi spiegare le tesi che ha sostenuto sulle camere a gas resto di stucco: «L'opinione che la maggior parte delle persone, me compreso ovviamente, si formano su una buona parte dei fatti storici - sostiene lo scrittore - è fondata su opere di fantasia pilotata, dai film di Hollywood ai reportages giornalistici».

Non solo. Odifreddi aggiunge «che la storia sia tutt'altra cosa, e abbia il suo bel da fare a cercare di sfatare i luoghi comuni che sono entrati nel sapere collettivo». E infine: «Non entro nello specifico delle camere a gas perché di esse "so" appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal ministero della propaganda alleato nel dopoguerra». Conclusione: «Non essendo comunque uno storico, non posso far altro che "uniformarmi" all'opinione comune. ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti».

E qui sta il punto. Odifreddi ripete, in forma dubitativa, o scettica, alcune delle tesi più note sostenute dai cosiddetti storici "negazionisti" in questo anni. Ovvero l'idea del mito della Shoah come un falso storico o - a seconda degli storici - come una manipolazione ex post. Sono le tesi di storici come Robert Faurisson, o come David Irwing, nate e cresciute a metà degli anni sessanta e poi portate avanti per un ventennio. Finita questa fase di ricerca, finito lo scandalo, queste tesi sono rimaste solo il culto minoritario e marginale di qualche gruppuscolo neonazista o ultratradizionalista.

I revisionisti non sono stati sconfitti dalla polizia, ma dalla democrazia. Non sono stati battuti dalla repressione, ma dalla libertà. Così allo scettico Odifreddi non manderei un avviso di garanzia, ma consiglierei la lettura di qualche libro che mi ha segnato. Non quelli bellissimi di Hannah Arendt o di Simon Wiesenthal, dei quali potrebbe dubitare, ma le memorie degli ex gerarchi nazisti: Rudolf Hoss, comandante del campo di Auschwitz, Franz Stangl, comandante di Sobibor e di Treblinka o la bellissima trilogia di Albert Speer, ex ministro del terzo Reich e architetto di fiducia del Führer.

Qui non c'entrano i film e Hollywood, qui Steven Spielberg e Schindler's List non possono essere accusati di nessuna manipolazione. Qui sono i carnefici a trasmettere la loro memoria dando dati e informazioni che confermano lo sterminio, la sua entità, la sua ferocia. Il ministero della propaganda degli americani, o dei sovietici non c'entra nulla. Basta passeggiare sul prato di Auschwitz, per capire che - ricostruzioni a parte - non era, come dice Woody Allen, «un parco a tema». Basta considerare la forza e il successo di questa battaglia di memoria, per capire che non devo mandare in carcere Odifreddi per dimostrargli che sbaglia. Basta la lettura di "Se questo è un uomo", o il tatuaggio di un superstite. O uno dei tanti barattoli di Zyklon B che, nei campi della morte, non servivano per ammazzare i topi.


Ringraziamo Mad per la segnalazione. L'articolo originale si trova su L'Inkiesta.
La Redazione di Fuoriregistro


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