Monoróbo
Emanuela Cerutti - 12-10-2013
Imparare a parlare è la prima urgenza per chi cambia paese, o studia una nuova lingua. Non a caso la glottologia sottolinea l'importanza di proposte il più possibile vicine a quell'acquisizione naturale che, in pochi anni, rende il cucciolo d'uomo linguisticamente competente.
Nella realtà scolastica le cose non vanno però sempre così e il "leggere e scrivere" diventa prioritario rispetto alla comunicazione verbale, con conseguenti fossilizzazioni di errori fonetici che, a volte, possono generare equivoci di non poco conto. Ricordo ancora una ragazza serba, catapultata in Italia e iscritta in terza media, ben scolarizzata nel suo paese, ma con gli ovvi problemi dei neo-arrivati. Preoccupata per la tesina finale, non si raccapezzava a proposito dell'effetto serra, e ci è voluto del bello e del buono per rendersi conto che il suo era un problema di "doppie". Nessuno aveva minimamente pensato di ascoltarla leggere e di segnalare l'imprecisione: "serra" non è "sera" e l'inquinamento del pianeta non è legato al tramonto del sole. Per quanto, alcune attinenze, a volerle trovare...

Dunque imparare a discriminare suoni e a riprodurli è condizione essenziale per comprensioni iniziali e future. Non solo: a livello culturale, ci dice in "La buona pronuncia italiana nel terzo millennio" Luciano Canepàri, docente di Fonetica e Fonologia a Venezia, è la parola "parlata" ad aver svolto in Italia, a partire dal 1861, un ruolo determinante per la codificazione e la trasmissione della cultura. La parola che "subisce trasformazioni e si adegua ai tempi", mentre la scrittura ristagna "nei poveri segni degli alfabeti esistenti". Una prospettiva che sarebbe interessante approfondire, anche a fronte delle recenti indagini sulle scarse competenze dei nostri studenti. Canepàri, nello stesso libro, parla addirittura di "phónos" - dal greco: assassinio - "dell'italiano pronunciato". E anche qui si potrebbe riflettere sulle certificazioni "nazionali" di competenza dell'Italiano che i Ministeri dell'Interno e dell'Istruzione hanno ideato per gli stranieri richiedenti permesso di lungo periodo, privandole a priori della vittima ...

Sta di fatto che, sul versante lingua parlata, il docente è generalmente sprovvisto di risorse. La formazione latita e i manuali non aiutano. Circoscrivendo il discorso a testi per l'Italiano Lingua seconda o straniera, ho avuto modo di verificare errori e lacune: dagli alfabetieri che abbinano il "cane" al grafema "c" ma il "gelato" a "g", all'identificazione di "emme" come pronuncia di "m", per i primi; da un numero bassissimo di esercizi dedicati specificatamente alla fonetica, all'assenza di simboli rappresentativi di sonorità per le seconde. Sembrerebbero inezie, ma un secondo ricordo mi riporta in Francia, dove piccoli apprendenti tifavano per l'alfabeto fonetico: "se uso [k] è molto più facile trovare il ... chiodo!".

Che fare allora? Giocare a me è sembrata sempre una buona soluzione, efficace e coinvolgente. E il gioco del " Monoróbo" ne è un esempio, che risale appunto agli anni in cui insegnavo Italiano L2 presso le scuole primarie pubbliche francesi. Si tratta di un gioco fonetico centrato sugli accenti di parola "così diversi dai nostri" (Thommy alle prese con un ingarbugliato telefóno...), inventato con scolaretti di 8 anni.

In due parole: Monoróbo è un personaggio senza accento, che parla e veste come un robot (colapasta in testa, occhialoni...la fantasia dei bambini a cui chiedo di abbigliare un alieno si scatena e il lessico ci guadagna); è una specie di extraterrestre che deve comunicare con gli umani. Lui ha a disposizione una serie di parole da pronunciare bene per farsi capire.

Ma chi è veramente Monoróbo e da dove saltano fuori quelle parole?

La preparazione: un paio d'ore

Il gioco è stato possibile grazie alla collaborazione entusiasta della collega francese (alla quale dobbiamo anche le buonissime pizze preparate in classe e cotte nella sua cucina...): lei, nemmeno una parola di italiano, avrebbe rappresentato un Monoróbo perfetto! Così ho diviso la classe in gruppi; a ognuno ho proposto alcune parole nuove riguardanti argomenti già presentati: cibo, giochi, vestiti... I gruppi hanno illustrato le parole su cartellini della dimensione di una carta di gioco, aggiungendovi il nome. Su strisce di carta le parole sono state poi suddivise in sillabe, trascritte foneticamente, ritagliate e colorate diversamente a seconda dell'accento (assente, primario, in alcuni casi secondario). Una volta ricomposte, i bambini di ogni gruppo hanno pronunciato le loro parole e verificato con me la correttezza degli accenti. Le parole sono poi state registrate e salvate sul pc in file audio con lo stesso nome.

Il gioco: un'oretta

A questo punto i bambini sono pronti per insegnare le parole italiane al robot monotóno. Monoróbo pesca tra le carte una parola illustrata, ne legge il nome e lo pronuncia metallicamente, senza accento, come da copione! Il gruppo autore della carta cerca le sillabe giuste e compone la parola; a turno, i bambini degli altri gruppi pronunciano quella parola una volta; parte la registrazione: se la pronuncia è corretta Monoróbo può ripeterla con successo. Diversamente si riprova. Man mano che le parole sono pronunciate bene Monoróbo si sveste dei panni di robot e torna umano. tra gli applausi generali.

Il gioco è piaciuto molto, e devo dire che qualche risultato inatteso c'è stato: in particolare, la ricerca delle trascrizioni fonetiche sul dizionario!

Tags: fonetica, pronuncia, Canepàri


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