Siamo tutti in attesa
Francesco Di Lorenzo - 11-05-2013
Dallo Speciale Notizie dal fronte 2012-2013



Dalla lettura delle notizie circolanti sulla scuola si evince che siamo tutti in attesa dì capire cosa succederà. Se questo governo e la sua anomala maggioranza sbatteranno contro uno scoglio e si frantumeranno, oppure se si farà finta di niente e si continueranno a prendere mezze misure che non porteranno da nessuna parte. Su questo terreno neanche i politologi più accreditati riescono a fare previsioni, quindi siamo tutti in attesa di sapere di che morte moriremo. Sì, perché nell'uno e nell'altro caso, il tempo perso, il continuo rimandare l'avvio della soluzione dei problemi, farà male a tutta la scuola. E se questa non è propriamente una morte fisica, saremo più o meno accanto o già dentro alla morte cerebrale. La nostra unica speranza è che crescano sempre di più le proteste dal basso, che lo scuotimento arrivi da chi i problemi quotidiani della scuola li vive sulla propria pelle. Il caso delle maestre di Bologna o delle mamme di Roma che protestano per il mancato tempo pieno, sono appunto ancora solo casi. Certo è che gli scontri a Napoli tra studenti e polizia, per la visita del ministro dell'Istruzione Carrozza, non sono un ottimo segnale.

Intanto è molto interessante leggere sui giornali che fanno riferimento al centro destra, una critica molto forte e generale ai tagli ultimamente portati alla cultura e all'istruzione. La frase, non si sa quanto storica o stupida per la sua banalità, e nella quale si concentrerebbe tutta l'essenza del problema, è questa: 'un paese che non investe in cultura e istruzione è destinato a morire. E l'Italia sta veramente male'.

Ora, al di là della primogenitura di una tale affermazione, che per onorare il vero è stata usata e abusata da tutti, una domanda sorge spontanea: ma ci ricordiamo chi ha diretto questi ministeri negli ultimi tempi? Vuoi vedere che ora la colpa è tutta di Profumo? Perché sul capro espiatorio, cioè sullo scaricare le responsabilità sul più debole, la pratica italiana sfiora il sublime. Ma oltre le parole che ognuno può dire a vanvera o anche rimangiarsele, c'è qualcuno che si ricorda di un certo ministro Gelmini? La persona che ha tagliato otto miliardi di euro per la scuola pubblica, che ha fatto una riforma talmente epocale che nessuno la prende in considerazione se non per le enormi difficoltà che crea? Un ministro che viene ricordato per una sua improvvida affermazione denotante un grave stato confusionale (un tunnel che parte da Ginevra e arriva ai colli romani) e per aver confessato di essere diventata avvocato grazie ad uno stratagemma, aver sostenuto l'esame dove era notoriamente più facile superarlo.

Questo per quanto riguarda l'istruzione. Perché per la cultura si fa fatica anche a ricordare il nome di un ministro (a parte Bondi che però ad un certo punto si dimise). Invece, l'unica cosa che è ben impressa nella mente ormai di tutti, è la frase diventata uno slogan del ministro Tremonti secondo il quale con la cultura non si mangia.

Il successo di tale affermazione è confermato dalla notizia uscita in questi giorni: non c'è nessun museo italiano tra i primi venti musei al mondo per numero di visitatori. I musei Vaticani, che sono appunto Vaticani, reggono il confronto con gli altri, ma comunque diminuiscono di 25mila presenze nell'ultimo anno. Tutti gli altri nostri musei pubblici perdono terreno vertiginosamente. Scalano posti all'indietro che è una meraviglia. Il piccolo dettaglio è che siamo, non dimentichiamolo, il paese con il più alto numero di capolavori al mondo.

E se qualcuno dopo tutto ciò non vede un nesso forte e chiaro del nostro degrado culturale con il problema scuola in generale, allora di sicuro avrà gli occhi foderati di prosciutto.

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