I sottosegretari delle scuole paritarie
Giuseppe Aragno - 03-05-2013
"Zavorre d'Italia". Così, con questa sprezzante definizione, in un libro privo di intenti autobiografici e di una sia pur minima punta di autoironia, Antonio Catricalà descrisse anni fa ciò che frena la crescita. La definizione mi ritorna in mente mentre provo a evitare la valanga di dotte analisi sui sottosegretari del governo Letta. Tranne rare eccezioni, silenzio di tomba sul grumo d'interessi corporativi, protezioni e privilegi di classi sociali forti strette attorno alla "squadra di governo"; la parola d'ordine è chiara: sorvolare sul cuore del problema italiano, ignorare che in una repubblica parlamentare, quali che ne siano gli esponenti, questo governo, nato tradendo gli impegni presi con gli elettori e vincolato alle condizioni dettate alle Camere da un Presidente della Repubblica rieletto, soffre di anemia costituzionale e scarsa legittimità democratica. Più che ministri o sottosegretari, gli uomini di Letta sono, in realtà, esecutori d'ordini, scelti col manuale Cencelli tra sacerdoti del liberismo e sperimentati portaborse dei capi fazione di una maggioranza rifiutata dal voto popolare. Non c'è dubbio: Lombardi e Crimi non sono Matteotti e Amendola, ma il circo mediatico picchia più duro del manganello e, grazie alla "Calderoli-Acerbo", manipoli di "nominati" bivaccano alla Camera in attesa dell'incombente "Convenzione" e rendono l'aula parlamentare così sorda e grigia, che mai come stavolta l'inascoltato monito di Gaetano Arfè sulla rinascente "Camera dei Fasci e delle Corporazioni" appare più profetico che amaro.
Se si esce da questo quadro per inseguire il sogno dei "buoni ministri" che danno il crisma di santità a un governo di senza Dio, gli "elementi positivi" si possono anche trovare. Basta però fermarsi ai nomi dei personaggi "sperimentati", per capire quanto potrà contare la storia d'un volto pulito. Catricalà, Cavaliere di gran Croce all'Ordine del merito della Repubblica e docente di Diritto privato prima all'Università di Tor Vergata e poi alla LUISS, grazie a un anemico saggio sul Consiglio di Stato e a una guida alla preparazione delle prove di concorso con schemi, esempi e quesiti, che Wikipedia contrabbanda per un saggio di diritto civile, più puntuale di un orologio svizzero, figura nell'elenco dei sottosegretari. Già presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, presidente designato dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, ha visto premiata la sua fede neoliberista con un posto di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri del governo precedente e, dopo il disastro, eccolo viceministro allo Sviluppo Economico, dove regna Flavio Zanonato, noto soprattutto come sostenitore dell'energia nucleare. In quanto all'istruzione, mentre il buon nome di Maria Chiara Carrozza, sull'esempio della Boldrini, fa da specchietto per le allodole, la riconferma di Marco Rossi Doria è da sola un programma di governo: sostenitore del dialogo con Casa Pound, guardia armata della disastrosa legge Aprea, paladino del concorsone e crociato dell'Invalsi, Rossi Doria ha appoggiato con la più ferma convinzione tutte le iniziative di Profumo, che, a sua volta, ha tenuto con ostinata mano ferma la rotta tracciata dalla Gelmini. Una posizione notevolmente rinforzata dall'arrivo di Gianluca Galletti e Gabriele Toccafondi. Ammesso che voglia farlo - ed è cosa tutta da dimostrare - basta cercare nei loro curricula, per capire quanto sarebbe difficile per il nuovo ministro mutare il corso delle cose.
Gabriele Toccafondi, scuola PDL, si è distinto soprattutto per la difesa dei contributi statali alle "scuole paritarie", in aggiunta ai fondi ordinari del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca , e per l'istituzione di un Fondo per la parità scolastica sostenuto in tandem con Gianluca Galletti, centrista e cattolico, che, per suo conto, ha lottato per evitare il pagamento dell'IMU alle scuole paritarie, ha difeso l'insegnamento della religione cattolica, s'è battuto per dell'ANVUR, la discussa agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca e ha chiesto di reintegrare il fondo in bilancio previsionale 2013 per le istituzioni scolastiche "non statali, in modo da garantire il livello di finanziamento degli anni precedenti.
Chi ha sognato il cambiamento è avvisato: stiamo assistendo al trionfo delle zavorre d'Italia. Inutile sognare o continuare a chiedere ciò che spetta di diritto alle buone grazie dei ministri. I diritti si difendono lottando come si può, con le unghie e con i denti se necessario.
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 Alessandro Chiarini    - 04-05-2013
Condivido pienamente e desidero segnalare che i dubbi sulla correttezza costituzionale di ciò che sta accadendo non sono avanzati solo da “Fuoriregistro”. Ieri Lorenza Carlassare, insigne giurista, in un’intervista al “Manifesto” è stata chiara e tagliente, sostenendo che per due mesi siamo stati volutamente tenuti in una sorta di limbo istituzionale, poi si è aperta la strada alla conservazione. Napolitano ha forzato la mano, chiedendo la certezza della fiducia, ma dovrebbe sapere bene che la sola certezza, in politica, nasce dal voto, perché è lì che si verificano i numeri, in Parlamento. Napolitano, perciò, ha stravolto la Costituzione disprezzando le scelte degli elettori. Ecco il testo dell’intervista:

«Se mi chiede di trovare un filo rosso nelle vicende politiche degli ultimi giorni mi viene da rispondere: il disprezzo per i cittadini». A Lorenza Carlassare non è piaciuto il modo in cui il parlamento è uscito dallo stallo post elettorale - il governo Letta - e ancora meno piace la piega che sta prendendo il dibattito sulle riforme costituzionali. Riforme che ancora una volta vengono proposte in maniera strumentale, stavolta per puntellare un governo fragile. E non solo: «Secondo me - dice l'illustre costituzionalista - l'obiettivo principale è ancora quello di rimandare la modifica della legge elettorale. Si propongono percorsi che il minimo che si possa dire sono lunghi e complicati e intanto si cancella dall'orizzonte l'unica riforma che invece si potrebbe fare velocemente. Che è tanto più urgente vista la pessima prova della legge Calderoli e visto che siamo in presenza di un governo insicuro, che può andare in crisi in qualsiasi momento. Evidentemente - aggiunge Carlassare - gli estimatori di questa legge elettorale si tengono nascosti ma sono ancora la maggioranza».
Professoressa, come giudica la Convenzione costituente, tratteggiata dai «saggi» del Quirinale e proposta ufficialmente dal presidente del Consiglio Letta?
Mi pare un'assurdità. Semplicemente non si può fare. È una proposta illecita: la procedura di revisione costituzionale, l'articolo 138, prevede modifiche limitate e omogenee. Non è una porta attraverso la quale si può far passare la redazione di una diversa Costituzione, come mi pare si voglia fare. La procedura non può essere saltata. E la Costituzione non può essere modificata nei principi fondamentali e nella struttura di base, la forma di stato. Né possono essere cancellati i diritti e le limitazioni al potere, il principio democratico e l'appartenenza continua della sovranità al popolo (non solo in occasione delle elezioni). I rapporti fra gli organi costituzionali sono stati disegnati conformemente al principio della divisione dei poteri: se concentriamo tutto il potere in un solo organo, primo ministro o presidente della Repubblica che sia, si cambia la forma di stato non solo quella di governo. E poi l'idea che un piccolo gruppo prenda in mano i destini del paese mi fa paura, è un ulteriore segnale dello spirito autoritario che si sta affermando.
Cosa pensa delle alternative in campo, premierato forte e semipresidenzialismo?
Si tratta della riproposizione di contenuti non voluti dal corpo elettorale. Quella Costituzione di tipo autoritario, col rafforzamento dei poteri del primo ministro in modo tale da renderlo capace di superare qualsiasi ostacolo, era già stata proposta da Berlusconi e dalla Lega ed era stata respinta dagli elettori. Tornare lì adesso è un primo schiaffo ai cittadini che nel 2006 hanno bocciato quella riforma con il referendum. Un secondo schiaffo è immaginare di approvare di nuovo queste modifiche con una maggioranza tale da impedire un altro referendum confermativo, come è accaduto da poco con l'articolo 81. Sono riforme oltretutto inutili, che si spiegano solo con l'eterna pulsione a non attuare la parte sociale della Costituzione. Così ogni volta che, magari per caso, si profila la possibilità sviluppare i principi sociali della Costituzione con un governo che non sia espressione della pura conservazione, succede qualcosa che lo impedisce.
Sta parlando del fallimento, tra marzo e aprile, del tentativo di Bersani?
I risultati delle elezioni di febbraio sono stati come sospesi per due mesi. Eppure una cosa era apparsa chiara da subito, lo ha scritto Gianni Ferrara: senza il centrosinistra non sarebbe potuto nascere nessun governo. Il presidente della Repubblica - in un regime non (ancora) presidenziale - ha scelto però di porre al leader della coalizione che, di poco, era risultata vincente una condizione quasi impossibile: la garanzia di una fiducia certa. In politica non si può mai essere sicuri di avere i numeri fino al momento della prova, e del resto abbiamo già avuto nella storia repubblicana governi sfiduciati all'indomani della nomina. Questa volta, al limite, avremmo sostituito un governo dimissionario lontanissimo da qualsiasi gradimento del parlamento (di quello vecchio e di quello nuovo), parlo del governo Monti, con un governo Bersani, dimissionario anch'esso e in carica solo per gli affari correnti, ma almeno rappresentativo della coalizione più votata dagli elettori.
Invece abbiamo avuto il governo Letta, che ha messo insieme gli avversari delle elezioni.
Questo è il terzo segno di evidente disprezzo degli elettori. Chi ha votato per Berlusconi mai avrebbe voluto l'alleanza con Bersani, e viceversa. È stata fatta invece l'unione degli opposti, degli incompatibili. Una soluzione che mi pare condannata alla paralisi, come si vede dai primi ricatti. Un governo di coalizione si può fare con un sistema elettorale proporzionale, come in passato, quando comunque ad unirsi erano le forze più vicine e non quelle assolutamente contrastanti. Il Pd e il Pdl, o almeno i loro elettori, sono due mondi opposti. Paragonare il loro esecutivo al «connubio» tra Cavour e Rattazzi - espressione entrambi di un gruppo ristretto di elettori della stessa classe sociale - mi pare un insulto alla storia.

Andrea Fabozzi “Il Manifesto”, 03.05.2013