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In ricordo del capo della polizia Manganelli e dell'ex Br Nicola Pellecchia
Il Mattino.it - 22-03-2013
Controstorie

Gli anni di piombo, i Nap a Napoli e la difficile lotta per la vita di Nicola Pellecchia


Venne in redazione vent'anni fa. Da poco era uscito dal carcere, dopo aver scontato, senza essersi mai dissociato dalla sua scelta passata, tutta la pena. Sereno, sguardo da vita intensa, Nicola Pellecchia aveva accettato di raccontarmi la sua esperienza di fondatore napoletano dei Nap prima, passato in carcere con le Br poi.
Anni di piombo, terrorismo, impegno politico. In quel periodo, scrivevo una serie di pagine per Il Mattino sui personaggi napoletani di quegli anni, visti da più angolazioni: ex terroristi, vittime, inquirenti. Nicola mi parlò di una storia, la sua, che non rinnegava se stessa e che lo aveva portato in carcere nel 1975, con una condanna a 21 anni e mezzo. Era stato anche rinchiuso all'Asinara, poi trasferito nei giorni convulsi della trattativa Stato-camorra per il rapimento di Ciro Cirillo. Speravano potesse fare da tramite tra brigatisti fuori e in carcere. Non fece nulla.
Alla fine di una lunga chiacchierata, mi disse: "Ho parlato con piacere con te, ma non mi va che la mia storia faccia parte di quelle che stai scrivendo". Andava bene così: comunque mi affidò ricordi, chiavi di lettura. Impegno politico, amici, privato. Annamaria Mantini, tra i giovani morti in quell'esperienza Nap, era stata la sua compagna.
Figlio di un avvocato civilista del quartiere Vomero, in quei giorni Nicola Pellecchia aveva cominciato a lavorare nello studio del genitore. Poi, la folgorazione di Procida. Mare, sole, pesca. Un'altra scelta di vita: si trasferì sull'isola, con la mamma e la compagna. Ebbe un figlio. E si schierò a difesa dei diritti dei 200 pescatori procidani, mettendoli insieme. Non era mai successo. Una vittoria. Meditava di scrivere un memoriale, tanti come lui lo hanno fatto. Dopo l'esperienza di quegli anni, alcuni sono diventati scrittori famosi.
Nicola sta male, molto male. Ha di quei tremendi mali contro cui o lotti, o cadi nella disperazione. Un primo intervento chirurgico a Napoli, poi da mesi il trasferimento a Milano per affrontare cure costose. Ai discussi funerali del brigatista Prospero Gallinari era assente e il suo nome è stato pronunciato tra quelli giustificati nel suo non esserci.
In questi giorni, su Nicola Pellecchia è partito un tam tam, soprattutto informatico, di solidarietà. Collettivi, reduci di quegli anni, militanti della sinistra, frequentatori di piazza Medaglie d'oro al Vomero negli anni Settanta: cene a tema, dibattito con Valerio Lucarelli (autore di un bel libro sulla storia dei Nap), concerti come quello di Daniele Sepe. Tutto serve a raccogliere fondi, sotto il coordinamento di Ada Negroni, altra reduce milanese di quegli anni di piombo.
In rete, gira una bella foto del volto di Nicola, baffoni e capelli lunghi ormai grigi, naso deciso. C'è fierezza in quell'immagine, di chi ha scelto, pagato, mai rinnegato. Con coerenza e, si sa, chi sconta la sua condanna va sempre rispettato. Comunque la si pensi. Nicola Pellecchia ora lotta per la vita. Quella che, nel bene e nel male, ha sacrificato alle sue convinzioni. Rispetto, ma non silenzio ora, se si può aiutare in concreto il "vecchio militante dei Nap". Ora è solo un uomo coerente, che ha bisogno di mani tese.

Gigi di fiore, "Il Mattino.it, 12 febbraio 2013

In ricordo del capo della polizia Antonio Manganelli e dell'ex Br Nicola Pellecchia

Vero, può sembrare una bestemmia mettere assieme la morte di due persone tanto distanti tra loro. Due persone che non si sono mai conosciute e dalle esistenze in contrasto.
Il capo della Polizia, Antonio Manganelli, una vita spesa a garantire sicurezza e ordine. Nicola Pellecchia, giovane infarcito di ideali di uguaglianza, tra i protagonisti degli anni di piombo napoletani. Prima nei Nap e poi, in carcere, passato con le Br.

Manganelli, poliziotto dal sorriso aperto e la cordialità mai formale. Pellecchia, uno sguardo sofferto e intenso. Aveva scontato tutti i suoi 20 anni di carcere prima di finire l'ultimo periodo della sua esistenza a Procida. Fianco a fianco ai pescatori, sostenendoli nelle loro rivendicazioni sindacali.

No, non voglio fare un pistolotto, scontato e retorico, sulla morte che livella i diversi destini. Ho conosciuto entrambi e ne ho apprezzato le differenti coerenze. Di certo, avevano in comune ognuno la coscienza di aver vissuto per degli ideali giusti. I propri e rispettivi valori.

"Un poliziotto, uno sbirro, non va mai in piazza a picchiare per il gusto di farlo. Lo fa solo per garantire la sicurezza della gente, è il suo mestiere", ripeteva Manganelli.
"Non ho nulla da rinnegare, ho creduto nella possibilità di un mondo più giusto per tutti e ho scelto la strada che, in quel momento, mi sembrava l'unica per raggiungere quel mio ideale", mi confidò anni fa Pellecchia.

Ecco, le strade, le scelte convinte, anche tra errori e limiti. La coerenza. Forse è questo l'elemento di contatto tra quei due uomini che ho conosciuto nella mia vita professionale. Morti nello stesso giorno, per lo stesso male implacabile. Due uomini, tanto lontani.
Ciao, Antonio. Ciao, Nicola.

Gigi di Fiore, "Il Mattino.it", 21 marzo 2013
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