Ai Partiti in occasione delle prossime elezioni
Fuoriregistro - 09-02-2013
Ecco alcuni esempi di richieste. pervenute in Redazione. Per conoscenza diffondiamo.

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APPELLO ELETTORALE DELL'AESPI A TUTTI I PARTITI

Le recenti riforme della Scuola (Berlinguer, Moratti, Gelmini) lungi dal determinare cambiamenti epocali l'una rispetto all'altra, si sono succedute nel segno di una sostanziale continuità.
Sono state infatti riforme che hanno operato o cercato di operare sull'architettura dei cicli, accorpando o suddividendo o eliminando segmenti del percorso degli studi.
Accanto e al di sotto di questa sorta di lungo meccano, scorreva un lutulento fiume carsico di innovazioni didattico-peagogiche il quale pure non trovava discontinuità in occasione del mutare dei governi. Tali innovazioni erano accomunate dagli aspetti che di seguito sintetizziamo: la radice nella pedagogia empiristica americana (John Dewey soprattutto), l'utilizzazione di una lingua iniziatica arricchita da suggestivi acronimi (O.S.A. - P.O.F. - P.E.C.U.P. - P.S.P. ecc.), il promanare da un ceto di sacerdoti-pedagogisti deputato ad utilizzare tale lessico e chiamato a supportare i Ministri dell'Istruzione di qualunque orientamento politico, perpetuando se stesso e garantendo così al sistema la necessaria permanenza nel tempo.
Ad un ulteriore livello, diciamo così sub-carsico, procedeva l'occupazione delle scuole da parte dei sindacati. Questi si accontentavano dei piani bassi dell'istituzione, che sono poi i più popolosi e quindi maggiori apportatori di consensi e di tessere. Il costituirsi delle RSU d'Istituto (anno diaboli 1998) con il dispiegarsi della relativa contrattazione costituiva il momento decisivo di questa parte del processo.

La concomitanza di questi tre fattori ha accelerato il mutamento già in atto nella scuola italiana almeno fino dall'approvazione della legge che il 31/05/'74 istituiva gli Organi Collegiali, raccogliendo e codificando alcune istanze disgregatrici del movimento del '68.
La scuola si è trasformata da "Istituzione" a "servizio" ed è in questo slittamento semantico che si coglie il senso di una decadenza che non sembra trovare correttivi. Le scuole sono oggi dei supermercati delle discipline e delle attività in cui quello che conta è proporre in modo accattivante dei prodotti di cui il cittadino-cliente vorrà fruire, battendo la concorrenza di altre istituzioni. Il "prodotto" fornito non è costituito soltanto dal sapere curriculare (fuori dall'insopportabile pedagogese: dalla materia di studio di indirizzo) ma anche da tutta una serie di attività paradisciplinari o addirittura di intrattenimento, che le scuole erogano come servizio aggiuntivo e costituiscono lo specchietto per il genitore-allodola il quale non vede l'ora di iscrivere i figli al corso pomeridiano di ikebana.
A latere di tutto ciò, cresce quello che Giorgio Israel ha recentemente chiamato "feticismo dei numeri e dei test automatici", cioè la ricerca di un'impossibile assoluta obbiettività delle valutazioni, le quali ultime si dispiegano in un ben ampio raggio d'azione concernendo: a) gli studenti; b) i docenti; c) la singola istituzione scolastica nel complesso dei "servizi" che "eroga".
Così la scuola, impegnata nel vestire i paramenti della scienza esatta, perde ogni fiducia nei suoi protagonisti in carne ed ossa e si affida ai test a risposta chiusa e alle griglie valutative predeterminate, asfissia della capacità di progettazione didattica del docente uti singulus.
E' stato insomma costituito un sistema i cui fondamentali principi potrebbero essere così sintetizzati: tecnicismo senza passione, metodica senza amore, pratica del pensiero unico.

Di tutto il detto sistema la componente più in sofferenza è quella degli insegnanti. Può darsi che ciò sia avvenuto perché Ministri e pedagogisti si sono occupati di questioni di impalcatura e di dettaglio, deliberatamente trascurando coloro che sono i principali attori dell'istruzione (" ... si sono occupati dello scheletro dell'ammalato, trascurandone la carne e il sangue" come dicevamo in uno dei nostri comunicati). E' però anche più probabile che sia stato lo stesso asettico meccanicismo del sistema a relegare i docenti in una marginale funzione tecnica, funzione da addetto al controllo simile a quella dell'operaio che nella fabbrica del nuovo millennio sorveglia a distanza la catena dei robot, di quando in quando intervenendo in punta di dita sul quadro comandi se un sensore rivela l'allontanarsi dai parametri standard.
Senza voler negare l'esistenza di eccezioni, in questo quadro spersonalizzante i docenti svolgono la loro professione con spirito rinunciatario, in modo frequentemente ripetitivo, sempre più oberati dagli adempimenti burocratici, provando nei confronti del quotidiano lavoro un sentimento di alienazione (dunque trasferitosi dalla fabbrica tayloristica in cui l'aveva identificato Karl Marx alle aule scolastiche), in condizioni di tensione emotiva determinata dalla disistima pubblica, dalle frizioni con gli studenti e i genitori, dalla paranoia valutativa e dalle esigenze della trasparenza cui il lavoro li costringe, infine dalle pressioni dei Capi d'Istituto che la qualifica di Dirigente ha collocato in una posizione preminente e reso depositari un potere sanzionatorio cui nei fatti è impossibile opporsi. I loro stipendi, notoriamente i più bassi d'Europa, non sono che il degno corollario della deprimente situazione qui sintetizzata.

Tutto ciò detto, l'AESPI deve domandarsi e deve domandare se esistono, fra i partiti impegnati nella prossima competizione, soggetti politici disponibili a dare inizio - quanto meno - a una significativa inversione di tendenza. Partiti i cui uffici scuola si rendono conto che un sensibile miglioramento della situazione passa non attraverso l'ennesima alchimia pedagogico-didattica, ma attraverso la riqualificazione dei docenti, ottenuta non a chiacchiere ma per mezzo di un riassetto giuridico il quale comporta Consiglio dell'Ordine o della Docenza, Albo, Codice deontologico, Contrattazione separata e quant'altro costituisce una status non meramente impiegatizio. Partiti che ritengano possibile riannodare il piatto presente con la tradizione pedagogica e scolastica italiana, la quale trova nella Riforma Croce-Gentile un nodo fondamentale ancora oggi in grado di fornire utili indicazioni. Che sia disponibile, infine, a superare la dicotomia pubblico-privato la quale, anche nel mondo della scuola, altro non è che il paravento del più vieto e provinciale anticlericalismo.

Esistono tali partiti, e al loro interno uomini che condividono la nostra analisi e le nostre indicazioni? Ad essi chiediamo un riscontro esplicito al presente appello ed offriamo la collaborazione (se gradita) del nostro centro studi. Non mancherà loro l'attenzione nostra e dei nostri aderenti in occasione delle elezioni alle porte.

Milano, 7 febbraio 2013
Il Presidente dell'Associazione Europea Scuola e Professionalità insegnante
Prof. Angelo Ruggiero


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CHI VUOLE DAVVERO UNA SCUOLA SERIA?
Domande ai partiti in vista delle elezioni


Gruppo di Firenze

Tutti considerano la scuola un fondamentale investimento per il nostro futuro. Nei programmi dei partiti, però, pochi sono gli impegni concreti e molte invece le intenzioni generiche e altrettanti i problemi neppure citati. E spesso, purtroppo, vengono avanzate proposte che non nascono da una vera conoscenza della realtà scolastica. Per questo riteniamo necessario che i partiti che aspirano a governare il paese rispondano con chiarezza almeno alle seguenti domande.
1. Riconoscimento del lavoro degli insegnanti. Saranno riconosciute agli insegnanti la difficoltà e la delicatezza della loro professione o si continuerà ad additarli all'opinione pubblica come lavoratori part time, come dimostra il recente tentativo del governo di aumentare di un terzo l'orario di cattedra?
2. Libertà metodologica. Verrà assicurata agli insegnanti la piena libertà di scegliere le metodologie che ritengono più efficaci o si cercherà di imporre teorie calate dall'alto, come è successo negli ultimi decenni?
3. Funzione del docente. Si intende valorizzare il ruolo dell'insegnante come guida nella scoperta del nostro mondo e del suo patrimonio culturale oppure trasformarlo, come ha sostenuto di recente anche il ministro Profumo, in un "facilitatore" dell'autoapprendimento degli allievi?
4. Priorità nella valutazione di docenti e dirigenti. È più giusto e più utile alla qualità della scuola garantire a tutti gli allievi degli insegnanti e dei dirigenti adeguati - prevedendo in caso contrario i provvedimenti opportuni - o limitarsi a premiare quelli eccellenti, che continueranno comunque a lavorare bene?
5. Valutazione degli istituti. Per avere scuole che funzionino è più sensato attivare regolari controlli ispettivi sulla loro efficienza e correttezza o complessi e costosi sistemi di valutazione?
6. Dare valore alla formazione professionale. L'insuccesso scolastico di tanti ragazzi all'inizio delle superiori si combatte ampliando il numero delle scelte possibili, compresa una qualificata formazione professionale, o obbligandoli tutti a un biennio comune, come sostengono alcuni?
7. Aggiornamento. L'aggiornamento degli insegnanti, elemento indispensabile per la crescita professionale, sarà finalmente basato sullo scambio sistematico di esperienze tra chi opera sul campo oppure soltanto sul contributo di esperti (che poi non sempre si rivelano tali)?
8. Educare i ragazzi alle regole. Nei programmi dei partiti si dirà con chiarezza che insegnare ed esigere il rispetto delle regole è indispensabile per un proficuo lavoro scolastico e per la formazione dei futuri cittadini oppure si continuerà a sottovalutare questa fondamentale esigenza?
9. Uso e abuso dei test. Dei test Invalsi che valutano l'apprendimento si pensa di fare un uso limitato all'accertamento delle competenze di base o di estenderne impropriamente l'uso, con il concreto rischio di trasformare la didattica in un addestramento alla soluzione dei test?
10. Il ministro. Si potrà avere un ministro che conosca veramente i problemi della scuola, che si metta al suo servizio e attui un programma di concreti provvedimenti per renderla più seria, efficace e dotata di strutture adeguate?

Giorgio Israel, Giovanni Belardelli, Margherita Hack, Ana Millan Gasca, Luca Serianni, Andrea Camilleri, Paola Mastrocola, Aldo Schiavone, Paolo Crepet, Sergio Givone, Giulio Ferroni, Luciano Canfora, Lucio Russo, Marcello Dei, Roberta De Monticelli, Sergio Belardinelli, Sebastiano Vassalli, Rosario Salamone, Michele Zappella, Franco Cardini, Osvaldo Poli, Dino Cofrancesco, Saverio Gazzelloni, Elio Franzini, Francesco Clementi, Ada Fonzi, Lorenzo Strik Lievers, Fausta Garavini, Carlo Lapucci, Antonio Banfi, Sandra Furlanetto, Stefano Campi, Tiziana Goruppi, Marco Ademollo, Maria Teresa Gagliano, Mario Cantilena, Leila Guerriero, Enrico Rufi e altri trecento cittadini (vedi sul blog del Gruppo di Firenze). La raccolta di adesioni è ancora in corso.

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