Lettera aperta
Alessandro Grussu - 24-10-2012
Dott. Porro, chi Le scrive è un docente di una scuola superiore italiana. Mi sento di contraddire quanto da Lei affermato nel Suo intervento "I politici e le 18 ore dei prof": la proposta governativa da Lei approvata non è una buona proposta, anzi una pessima proposta, e intendo dimostrarglielo dialetticamente, cioè mostrando l'inconsistenza delle tesi che Lei avanza.

Lei scrive che in un periodo di sacrifici tutti dobbiamo impegnarci. Giusto. Ma la categoria dei docenti delle scuole ha già sulle spalle il peso degli 87.500 posti tagliati dall'art. 64 L. 133/2008, con il necessario corollario di soprannumeri, trasferimenti forzati e aule stracolme di alunni (a causa delle nuove regole per la formazione delle classi contenute in tale disposizione). Abbiamo anche un CCNL che è scaduto nel 2009 e i cui coefficienti per il calcolo della retribuzione - che, per inciso, sono tra le più basse, a parità di qualifica e di impegni contrattuali, del pubblico impiego in Italia, per non parlare della situazione vigente nella maggior parte degli altri paesi dell'UE - sono rimasti fermi a quando fu firmato, precisamente al novembre del 2007. Di conseguenza non vogliamo fare sacrifici, non per partito preso, ma semplicemente perché abbiamo già dato.

Peraltro, mi dica Lei quale categoria di lavoratori accetterebbe passivamente di farsi aumentare, per imposizione dall'alto, il proprio orario di lavoro, senza che vi sia nemmeno un corrispondente aumento della retribuzione - cosa che Lei si guarda bene, nel suo intervento, dallo specificare.

Lei poi dimostra di non conoscere bene il nostro contratto, altrimenti saprebbe che le 18 ore in classe sono solo la "punta dell'iceberg". Ad esse dobbiamo aggiungere le ore per le riunioni dei consigli di classe e dei gruppi disciplinari, per i collegi docenti e per i rapporti con le famiglie, tutti impegni contrattuali.

A ciò aggiungiamo il lavoro che non possiamo inserire in contratto, come Lei sa; ma ciò a causa del fatto che a scuola non ci è data, contrariamente a quanto avviene in quei paesi dell'UE che hanno un migliore tasso di scolarizzazione del nostro, la possibilità di quantificarlo, rimanendo nei locali scolastici al di fuori dell'orario di classe onde svolgere tutto ciò che siamo costretti a fare a casa: preparazione delle lezioni (materiali extra inclusi), aggiornamento individuale, preparazione e correzione delle prove scritte, gestione dei registri (compresi quelli elettronici via internet) e così via. Lavoro che ci porta via tempo che altre categorie di lavoratori dedicano - giustamente, peraltro - alle proprie famiglie, e soprattutto che non sarà mai retribuito in quanto impossibile da quantificare. Certo, quando all'istruzione e alla ricerca si dedicano percentuali del PIL costantemente in ribasso, al punto che alle scuole manca pure la carta per fare le fotocopie delle dispense e dei compiti in classe (altro che spazi e strumenti per i docenti), c'è poco da meravigliarsi.

Lei perciò si contraddice: da un lato afferma, chiedendosi come mai tale lavoro non sia contrattualizzato, l'importanza del CCNL, ma dall'altro la nega appoggiando una proposta che calpesta brutalmente quello stesso contratto intervenendo "a gamba tesa" su una materia dove, dalla riforma del pubblico impiego degli anni '90 e la conseguentemente privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, dettagli come l'orario di lavoro e la retribuzione devono necessariamente passare per il tavolo delle trattative con le rappresentanze sindacali.

Altra cosa che Lei evidentemente ignora è che d'estate, nei periodi non coperti dalle ferie, lavoriamo anche noi, tra esami di Stato, corsi di recupero, esami di recupero dei debiti, inizio delle programmazioni in previsione del nuovo anno scolastico e quant'altro.

A proposito di UE. Lei sa, dott. Porro, che contrariamente a quanto affermato dal ministro Profumo, l'orario dei docenti delle superiori in Italia è perfettamente in linea con la media dell'Unione? E sa anche che in paesi come la Finlandia, che tutti giustamente lodiamo per la qualità del loro sistema educativo, è addirittura inferiore, con retribuzioni ben superiori alle nostre? Delle due, l'una: o i governi di tali paesi sono tutti scialacquoni (e i loro insegnanti fannulloni), o siamo noi docenti italiani a essere presi per i fondelli con tali affermazioni.

Lei inoltre purtroppo (ma è in buona compagnia) sembra non capire che la questione non è solo di quantità, ma anche e soprattutto di qualità. C'è una gran differenza tra il trascorrere un'ora a montare sportelli di automobili (col massimo rispetto per chi lo fa!), a leggere e archiviare carte (sempre col massimo rispetto!) e a stare in una classe con una trentina di alunni preadolescenti o adolescenti, a volte solo chiassosi e distratti da mille stupidaggini consumistiche, altre volte addirittura indisciplinati e violenti, cercando di educare al sapere e al vivere civile questa pluralità, ogni volta diversa per ciascuna delle classi che ci vengono assegnate.

Ci provi Lei, dott. Porro, a essere educatore, ad ascoltare quegli alunni e a cercare di coinvolgerli nella scoperta dei saperi, in edifici non di rado cadenti, scomodi, sovraffollati, dove d'inverno si gela e la sicurezza è un miraggio; sì, proprio quegli alunni in cui noi, secondo Lei, vedremmo solo degli "strumenti di lavoro". Venga a vedere con i Suoi occhi e ad ascoltare con le Sue orecchie, magari in uno di quegli istituti scolastici nei quartieri cosiddetti a rischio - per colpa delle istituzioni, non certo di quei ragazzi che hanno la sola "colpa" di esservi nati -, e poi mi dirà che cosa vogliono dire 18 ore a settimana passate in tali condizioni.

Se uno studioso serio e motivato come il dott. Vittorio Lodolo D'Oria da anni dimostra, dati alla mano, che la categoria dei docenti scolastici in Italia è la seconda a rischio di sviluppo di patologie mentali dopo quella dei medici chirurghi, un perché ci sarà. Così come c'è un motivo per il quale noi vogliamo restare insegnanti, che non è la comodità di lavorare 18 ore, ma la percezione dell'importanza del nostro ruolo e della nostra funzione sociale; importanza nella quale chi scrive ha la presunzione di pensare che la maggior parte dei docenti continui a credere, nonostante tutto.

Con incredibile miopia Lei invece riduce tutta questa complessa realtà a una mera questione di voti. La stessa miopia che dimostra nel vedere nella riforma della scuola elementare cancellata da Gelmini e Tremonti solo una questione di occupazione perché invece di un maestro per classe ne prevedeva tre. Le ricordo che quel modello ha dato storicamente risultati eccellenti, confermati a suo tempo da quelle stesse indagini internazionali sul livello di competenze sviluppate dagli alunni delle scuole di cui Lei certamente avrà notizia. Diciamocelo chiaramente e senza ipocrisie: il maestro unico è stata una marcia indietro pedagogica senza precedenti, motivata dalla necessità di tagliare risorse alla scuola italiana.

Spiace vedere che un individuo come Lei, persona della quale non condivido affatto le posizioni politiche, ma della quale non posso non riconoscere l'intelligenza e l'acume, si lasci ingabbiare dai più vuoti e triti luoghi comuni sulla scuola e sugli insegnanti italiani, e basi il proprio giudizio su una conoscenza distorta e superficiale della questione. Insisto: entri nelle scuole, parli con i docenti, venga a vedere cosa facciamo e come viviamo il nostro ambiente di lavoro e il nostro rapporto con gli alunni. Mi auguro che ciò serva a fare breccia nel muro delle sue granitiche convinzioni.

Saluti,
Alessandro Grussu

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