Se i bambini parlano (bene), entra in crisi il sistema
Claudia Fanti - 19-10-2012
Ciò che indispone, stupefà, quasi annichilisce è la totale mancanza di conoscenza dei bambini e delle bambine da parte di tutti coloro che annunciano, decretano, legiferano in nome del bene del bambino.

E' tanto difficile "far vedere" all'esterno il lavoro dei nostri alunni e il nostro, eppure mi preme il farlo prima di "finire", perché ritengo sia un dovere irrinunciabile di chi crede nella professione. E non parlo di bambini/e speciali, ben educati, corretti ...e nutriti. Parlo di bambini/e veri che già hanno sulle spalle esili il peso delle dfficoltà di un mondo che pare aver dimenticato loro, le loro famiglie e le estreme difficoltà in cui versano. Un mondo che non protegge la scuola, che la tormenta e la impoverisce ogni giorno di più...sia economicamente, sia contenutisticamente.

E' il mondo degli adulti esperti, professorali, scandalizzati dagli errori e dalle lacune di chi faticosamente si applica nella quotidianità per tirar su cittadini liberi e indipendenti.

Ogni sera, ogni notte, mi dico che è impossibile andare avanti nell'assoluta sottovalutazione del nostro lavoro da parte di chi governa, dei partiti e perfino dei sindacati, ma quando entro in classe, quella classe che in molti dei soliti noti vorrebbero destrutturare, e che invece è il luogo del pensiero condiviso, della comunicazione costante, delle interrelazioni conflittuali e no, mi riprendo, mi illumino e l'entusiasmo ruggisce letteralmente dentro di me. E' un fragore interiore ogni volta che un bambino o una bambina lavora al mio fianco e di fronte a me.

Sebbene sia necessario tener presente che lavoriamo anche per la continuità, per la preparazione all'ordine di scuola che segue e per dirozzare gli strumenti a disposizione degli alunni, ritengo che sia di vitale, essenziale e irrinunciabile importanza che qualunque insegnante tenga primariamente in considerazione il bisogno, la necessità che i propri alunni hanno di comunicare su qualsiasi argomento, dal più banale al più alto. Ecco come si combattono la dispersione e gli abbandoni: con l'uso, l'ascolto, l'espressione della parola.

Vitale è l'ascolto, necessario come l'aria è il lasciare a bambine e bambini la possibilità di parlare in qualsiasi modo e il valorizzare ogni singolo loro pensiero. Il pensiero che si concretizza nell'espressione in lingua italiana, e in qualsiasi disciplina, è presupposto indispensabile di una consapevole vita sociale, sia nella sua funzione metalinguistica, sia in quella metariflessiva, sia, soprattutto nell'infanzia e nella scuola elementare, proprio nella comunicazione delle opinioni sorgenti. Ci vuole un tempo infinito di attesa, pazienza, cura emotiva, affettiva e ...linguistica. Ci vuole e deve esserci a scapito del fare. Se il fare è sicuramente importante ai fini del potenziare ogni abilità anche del corpo, l'esercizio del pensiero parlato, oggi più di ieri, è condizione indspensabile per liberare dall'ansia, dalla fretta dell'ottenere piccoli risultati veloci e banali facilitati dalle tecnologie o da strumenti di qualsiasi tipo, dalla solitudine, dal senso di impotenza e frustrazione dinanzi ai messaggi sempre più complessi e astratti della comunicazione contemporanea.

I bambini e le bambine adorano essere valorizzati per ogni PAROLA espressa a voce alta. Gli insegnanti se ne possono rendere conto appena attivano l'ascolto, appena hanno la delicatezza di farsi da parte e di non stancarsi con l'attivare percorsi di comunicazione in rete fra bambini. L'ascolto interessato rivelerà intuizioni, conoscenze inattese e stupefacenti per profondità. Un aiuto formidabile all'attivazione di pratiche conversazionali è dato dalla lingua in funzione estetica. Andrebbe infatti"usata" come un'arma la poesia, quasi dimenticata cenerentola di Programmi e Indicazioni. Essa è l'arma più potente per sollecitare un attento sguardo su ogni ambito dell'esistenza. Essa, senza precoci analisi della forma, diventa il veicolo di una serie di riflessioni che conducono i bambini a vette inesplorate di cui divengono fieri e gelosi custodi. E va usata per introdurre, per avvicinare al bello e al piacere che dà l'accorgersi che la profondità della riflessione non appartiene soltanto all'adulto detentore di sapere formale; il quale adulto, genitore o insegnante che sia, spesso tende a "correre" nell'interpretazione di ciò che un bambino ha da dire fino a soddisfare perfino esigenze postulate, ma neppure richieste dallo stesso bambino, il quale così rimane silente testimone di un adulto frenetico e invadente, che gli sottrae spazio e tempo mentre lui tenterebbe di formulare un discorso tutto proprio.

La poesia conduce anche a un approccio curioso al lessico, alla sua varietà, alle sfumature di significato, alla forza della metafora, la quale spalanca le porte alla comprensione dei concetti più astrusi e più apparentemente lontani dal mondo infantile. Soltanto apparentemente. Infatti mi incanta sempre ciò che i bambini "sanno" e che gli adulti di riferimento non lasciano loro esprimere, anticipandone il pensiero con la presunzione involontaria di conoscerlo prima che esso venga espresso.

Se poi ogni singola riflessione, ogni commento, ogni parola, anche la più breve, vengono registrati dall'insegnante allo stesso tempo in cui sono espressi, i risultati nel padroneggiare forma e sostanza sono insperati, perché se l'insegnante mentre registra con un pennarello su cartelloni o su lim (per i più fortunati), si sofferma a districare con ogni bambino, nessuno escluso, il periodare, la sintassi, l'uso delle parti del discorso, lo stesso bambino si sente orgoglioso, felice di essere stato ascoltato e seguito con tanto interesse, diventa curioso dei meccanismi linguistici che gli consentono di essere valorizzato per ciò che ha pensato e di essere...libero.

La forma poetica piano piano avvicina anche alla forma della grammatica, della prosa, del racconto, dell'argomentazione. Lo fa in modo libero, ma pensato, riflettuto nell'uso. A dopo, ma molto dopo, si deve rimandare la formalizzazione grammaticale esplicita, poi però lo si deve fare, e in modo rigoroso, per non disperdere un patrimonio di scoperte avvenute nell'uso.

So bene che il discorso sulla poesia è un terreno minato nel quale gli esperti ci dicono di avventurarci con estrema cautela, ma credo che sia chiaro a tutti che non si vogliono formare dei poeti. Semplicemente sostengo e sperimento che quello della poesia è un linguaggio che apre le porte della conoscenza anche ai bambini stranieri, i quali si impegnano con entusiasmo in questo ambito e imparano la lingua insieme coi compagni e le compagne, liberi dall'uso obbligato di preposizioni, articoli, concordanze, tempi dell'azione, preferendo la nominazione, poi l'aggettivazione, infine l'utilizzo del verbo.

Successivamente, tutti i bambini arricchiscono il loro modo di esprimersi oralmente e lo scritto di vocaboli di significanza e tonalità raffinate.

Volutamente qui sto scrivendo soltanto di parlato, scritto e scoperte atte a far crescere il patrimonio linguistico. Lo faccio perché, pur considerando bellissime e interessanti altre attività di educazione, che vedono i bambini sempre più impegnati a usare materiali e colori per creare opere originali che affiancano il testo, sta succedendo che esse a volte prendano il dominio e sottraggano al bambino energie alla sua riflessione parlata e ascoltata dall'insegnante, alla "parola" significativa dentro un periodare via via più complesso e connesso. L'equilibrio fra attività è d'obbligo e delicatissimo, e l'analfabetismo va combattuto con armi semplici e pur tuttavia difficoltosissime da oliare: la lettura, la conversazione guidata e curata, la scrittura personale, inizialmente creativa, poi via via, anche razionale e studiata, praticandole il più frequentemente possibile proprio adesso che sono stati tagliati il vero tempo pieno e i moduli paritari ormai andati distrutti dalla furia demolitrice dei governi.

In ogni ambito, nella situazione attuale, è da privilegiare la circolazione di opinioni e idee (e la loro registrazione tramite la scrittura dell'insegnante), la lettura a voce alta delle stesse per mettere ordine insieme. Nella primaria escluderei la consuetudine delle verifiche scritte sia tramite crocette su questionari a risposta multipla, sia tramite prove strutturate ricorrenti legate a un argomento appena studiato in classe. Lo escluderei perché l'unico modo per ovviare ai tagli di ore e compresenze è insegnare! E cioè, rivolgersi a bambino per bambino tenendo conto dei suoi punti di forza e di debolezza (bambino per bambino), parlare con lui e ascoltare lui, valorizzandone ogni respiro.

Anche il disegno è un'arma potente e non va dimenticato: è un grande assente nelle Indicazioni. Intendo soprattutto il disegno che rappresenta un'idea, un significato, un verso, una strofa, un rigo. I bambini e le bambine sono fantastici disegnatori se usano la potenza della metafora che comunica per mezzo di linee, punti, forme e colori ciò che la parola fa con il pensiero. Nel corso della primaria sempre c'è crescita linguistica quanto più il disegno si fa portatore di significati.

Altro grande escluso dalle Indicazioni è il gioco e, in particolare, il gioco organizzato liberamente dai bambini stessi: anche questo è l'ambito in cui si attivano miriadi di apprendimenti preziosi, in particolare per lo scambio linguistico fra pari in situazioni conflittuali/amicali. Durante tale attività, l'adulto dovrebbe intervenire il meno possibile astenendosi dall'intromettersi nella risoluzione dei litigi e dal trovare soluzioni a eventuali diatribe sull'organizzazione. Il gioco è palestra di vita, di relazioni, di creazione del pensiero pragmatico, ordinato, storico (utilizzo del tempo, successione delle azioni...), geografico (utilizzo e conoscenza agita degli spazi disponibili...), matematico (ritmi, conte, numerazioni, divisioni...)... Il gioco stimola il pensiero divergente e quello creativo che servirà nella vita per affrontare le più disparate condizioni e situazioni ... e Dio sa se ce n'è bisogno!
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 Cosimo De Nitto    - 20-10-2012
Brava Claudia Fanti, come al solito. Un "pezzo" pregiato di pedagogia applicata, ormai merce sempre più rara di questi tempi. Si parla più di queste "cose" nella scuola, fuori e intorno ad essa? Solo di tagli, economia, cattedre, orario, merito(?), quiz, concorsi ad handicap, "misurazione" degli apprendimenti e strumenti di misura, tecnologia improbabile, virtuale, per un bambino virtuale (nativo digitale), per scuole virtuali (quelle vere sono ammucchiate e sgarrupate), con maestri d'orchestra virtuali (negli atteggiamenti, ma in realtà senza frac, senza bacchetta, solo col dito e gessetto, praticamente in mutande e pieni di lividi inferti dal poetico ministro e sottosegretario), con corsi di aggiornamento virtuali su materie virtuali (Indicazioni). In questo deserto di contenuti le riflessioni di Claudia Fanti sono acqua fresca di sorgente che disseta, nutre, ci ricorda per che cosa, infine, si insegna, cosa si insegna e a chi. Scusate se è poco.