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La memoria - con omissioni - della Resistenza
USI-AIT Puglia - 24-07-2012
Questo libro di Armando Borghi, quando uscì nel 1925, semi-clandestino in Francia e ignorato (perché mai pervenuto) in Italia, aveva un titolo e un sottotitolo. Il titolo era "L'Italia tra due Crispi", il sottotitolo "Cause e conseguenze di una rivoluzione mancata".
Per chi avesse letto il libro "La controrivoluzione preventiva" di Luigi Fabbri, questo lavoro di Borghi, ne è la continuazione ideale, un po' il rovescio della stessa medaglia, poiché alla versione "politica" del Fabbri fornisce la versione "unionista" (ovvero dell'Unione Sindacale Italiana) degli stessi avvenimenti e dello stesso periodo storico con una "coda", in premessa, che lambisce gli avvenimenti del 1894/1898.
Quel titolo scelto, con un Mussolini nelle dimensioni di un Crispi, aveva una giustificazione nella psicologia del momento: tutti pensavano - ed è significativo che a pensarlo e sperarlo fossero anche gli anarchici compreso Malatesta, malgrado la loro congenita diffidenza verso il potere e gli uomini di potere - che la reazione fascista fosse sì più feroce di tutte le precedenti, una tormenta di cui quasi non se ne ricordava una eguale a memoria d'uomo, ma che essa, come fenomeno sociale, non si ponesse fuori della serie che aveva periodicamente colpito il paese.

Del resto, l'analogia reggeva anche per un'altra ragione: Mussolini aveva avuto una evoluzione molto simile a quella del Crispi. Entrambi erano arrivati all'integrazione nel regime monarchico dall'opposizione, repubblicana o socialista. Per entrambi l'abbandono dell'antica bandiera era avvenuto in occasione di eventi e di polemiche memorabili - la vigilia delle guerre del 1866 e del 1915 - e con dichiarazioni e atteggiamenti dirompenti.
Crispismo e mussolinismo, avevano inoltre in comune - secondo l'Autore - tre essenziali elementi reazionari: l'imperialismo sciovinista e militarista, la repressione anti-operaia, l'istinto liberticida.
Nel primo dopoguerra erano pullulate qua e là in Europa e nel mondo stagionali dittature di tipo balcanico e il caso italiano poteva apparire negli stessi limiti.
Poi ci si avvide che il fascismo era un'altra cosa, che aveva copiato qualcosa anche da Crispi, ma aveva perfezionato la tecnica di gestione del potere e del consenso in modo e misura assolutamente inediti e a tal punto che nessun scandalo interno e nessuno smacco in politica estera avrebbe potuto liquidare in sede parlamentare ... e se qualcuno, in questa analisi, ci vede qualche analogia con il presente è libero di farlo.
E infine il fascismo era il portato internazionale della prima guerra mondiale e l'emblema della seconda. Per questo motivo l'Autore - nell'edizione del 1964 - ha tolto il titolo originale lasciando l'essenziale del sottotitolo: "La rivoluzione mancata". L'esposizione delle vicende politiche italiane negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale sottindente una tesi ampiamente svolta nella pubblicistica anarchica (a cominciare dalla già citata opera, più o meno degli stessi anni, di Luigi Fabbri) che potrebbe essere compendiata in un aforisma che raccoglie i due lavori letterari: rivoluzione mancata, controrivoluzione (preventiva) assicurata.
Del resto Malatesta - che fu compagno di cella del Borghi nel 1921 - l'aveva detto e ripetuto più volte: "Il proletariato avrebbe pagato con lacrime di sangue l'attimo di paura che aveva fatto passare alla borghesia italiana nel '19 e nel '20, se non avesse spinto a fondo la sua azione fino alla vittoria".
Incertezza, pavidità, discordia, divisioni furono le cause della disfatta: antiche e tradizionali tare del movimento operaio in Italia ben visibili anche oggi alle quali - come se non bastasse - si aggiunse, nel momento cruciale della lotta, (1921) l'azione disgregatrice dei comunisti, neo laureati in rivoluzione, con la loro, bislacca, tesi di laurea in 21 punti! Nuove discordie, turbamenti, scissioni, incertezze, abbandoni e ... diserzioni.
Il dibattito sulle responsabilità di quella, storica, sconfitta è ancora aperto anche se non mancano gli "avvoltoi" che - oggi - si appropriano della memoria storica operaia cancellando il ruolo degli anarchici e dell'Unione Sindacale Italiana.
Armando Borghi è un testimone, protagonista, del suo tempo: i suoi ricordi, le sue osservazioni costituiscono una fonte primaria per lo storico "non organico" a partiti o "fazioni" sindacali, una base di discussione per il libertario, una buona informazione per quei giovani che vogliono sapere e per quei (pochi) anziani che intendono ricordare senza omissioni.
Tra tante voci e versioni, falsate, dell'antifascismo ufficiale è opportuno che anche gli anarchici prendano, finalmente, la parola in questo dibattito con parole chiare, nette, e documentate dai fatti.
In questo contesto l'opera - semiclandestina - di Armando Borghi assume il valore di testimonianza postuma di indubbio valore storico. Ed etico.

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