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Abusi sulle donne, seicento casi dal 2010
Corriere Brescia - 11-07-2012
Le vittime sono italiane e straniere: nella metà dei casi l'aggressore è il partner, solo nel 16% dei casi uno sconosciuto.


«Da cinque anni non opero più». Mentre lo dice non riesce a nascondere un po' di amarezza: la dottoressa Mariagrazia Fontana è innanzitutto un chirurgo. Dopo venticinque anni di sala operatoria all'Ospedale Civile ha però deciso di passare in prima linea, al Pronto Soccorso. È a lei che si deve la creazione del Progetto accoglienza delle donne vittime di violenza, attivo dal 2010 al Pronto Soccorso dell'Ospedale Civile: «Un protocollo all'avanguardia in Italia» - spiega la dottoressa Fontana - «per cui Brescia è seconda solo alla Mangiagalli». Gli operatori del Civile sono addestrati a riconoscere i casi di violenza già dal triage, la prima accoglienza. «Quando abbiamo il sospetto che una donna sia stata vittima di violenza le attribuiamo automaticamente il codice giallo. La portiamo in una saletta dedicata, dove si rende conto di avere intorno a sé solo operatori sanitari. Degli estranei di cui si può fidare. E allontaniamo il partner sospetto».


VIOLENZE IN FAMIGLIA - La maggior parte delle violenze e dei maltrattamenti nel nostro Paese infatti avviene in famiglia. Anche a Brescia, dove negli ultimi due anni si sono presentate al Civile 616 donne vittime di violenza: nel 72% dei casi gli autori erano il partner, un famigliare o il datore di lavoro.
«Con il medico legale e il ginecologo - prosegue - esaminiamo e fotografiamo le lesioni», un lavoro che tornerà utile alla magistratura. «Intanto parliamo con la paziente, le facciamo capire che è stata coraggiosa, che ha fatto la scelta giusta e che non è sola. Che la possiamo aiutare. Ma è indispensabile fare in fretta, deve passare il minor tempo possibile tra le violenze e la raccolta delle prove». Gli accertamenti inseriti nella procedura sono innumerevoli (test tossicologici, di gravidanza, malattie veneree, Hiv) e anche le profilassi, pensate per far fronte ai decorsi più gravi. In caso di violenza sessuale viene proposta la «pillola del giorno dopo» e a tutte le pazienti viene consigliato di sporgere denuncia, «ma non forziamo la loro decisione».

IL PARERE DELL'ESPERTA - Il tema della violenza sulla donna, nella sua professione, la dottoressa Fontana l'ha incontrato quasi per caso. «Lavorando sulle emergenze mi capitava spesso di incontrare donne con continui traumi facciali: la stessa persona un giorno era scivolata per le scale, un altro aveva urtato contro un armadietto». Confrontando i dati insieme ai colleghi il medico si accorge che si trova di fronte a dei «pazienti mimetici», che mascherano la verità per paura, vergogna o senso di colpa. «A volte si tratta di vere e proprie sfide diagnostiche, come nel caso di una giovane donna straniera arrivata in ospedale, completamente afasica». Ictus? Epilessia? Danno neurologico? «Il padre la voleva costringere a sposare un pachistano anziano. Anche la madre era d'accordo. Dopo un po' in ambulatorio si è accorta che affidandosi a noi poteva uscirne, e qualcosa in lei si è sciolto». Ma la storia non tragga in inganno: a Brescia su 616 vittime 354 sono donne italiane e solo 262 straniere. Tra loro anche donne di cultura ed estrazione sociale elevata. «L'importante è che le donne sappiano che chi viene al Civile ha l'opportunità di uscire dalla violenza», conclude Mariagrazia Fontana. Che ha costruito questo progetto per l'azienda ospedaliera studiando in proprio, elaborando i dati, prendendo il meglio dalle eccellenze milanesi ed europee.


Andrea Tornago
23 giugno 2012


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