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Sacrifici a chi?
Pasquale Piergiovanni - 08-04-2012



Dopo il solito balletto di cifre sulle adesioni allo sciopero del 29 Marzo, una cosa è diventata chiara al governo e ai datori di lavoro: i lavoratori si stanno svegliando. Nonostante l'impressionante campagna messa in atto dai media per screditare e denigrare gli scioperanti, le pressioni esercitate da parecchie aziende per indurre i lavoratori a prendere le distanze dallo sciopero, dei trucchi utilizzati dal governo per misurare l'impatto sociale dello sciopero sulla riduzione delle attività produttive e dei consumi.

Bastava vedere le facce dei ministri e degli uomini d'affari all'indomani della mobilitazione generale: facce segnate dalla paura non certo dal sollievo di un pericolo scampato.

Perché se, da un lato, per il governo è facile "accomodare" i risultati dello sciopero, nascondendo, grazie ai media compiacenti, la massiccia partecipazione alle manifestazioni organizzate in quel giorno, la verità inconfessabile è che, certamente, esso è andato ben oltre le loro aspettative e ha chiarito la posizione della classe operaia.



Un NO radicale, netto e deciso alla riforma del lavoro e ai tagli sociali avviate dal Partito Popolare, come dimostrato dal successo delle manifestazioni indette dalla CNT, con altre organizzazioni, in particolare a Madrid e Barcellona al di fuori del "sindacalismo ufficiale". E se c'è qualcuno, tra le forze sociali, che è in grado di riconoscere, fin dai primi vagiti, la forza della classe operaia, quando questa si avvia, questi sono il governo e i datori di lavoro.

La verità, ormai, è sotto gli occhi di tutti: il livello di sopportazione - dei lavoratori - è giunto al limite. Il bilancio pubblico di quest'anno, reso noto il giorno dopo lo sciopero, è un esempio lampante. Mentre ai lavoratori, su cui poggia l'onere del carico fiscale in questo paese, vengono chiesti "sacrifici" sempre più grandi, agli evasori fiscali e ai grandi capitali, che hanno redditi opachi, viene concesso un "condono", un periodo di sospensione per legalizzare il loro denaro sporco pagando solo una somma ridicola e senza alcuna penalità. E questo a pochi giorni dal cavillo tecnico, messo in piedi dal ministero delle Finanze, che consente alle imprese di pagare meno tasse. Molte grandi aziende stanno pagando un tasso effettivo di imposta sul reddito inferiore a quello di un operaio con un reddito mensile di mille euro al mese.

Sacrifici? Per chi? Per che cosa?

Quanto più ci si addentra nella nebulosa della "crisi", tanto più diventa chiaro che questa è una frode massiccia, inzuppata com'è di gergo economico, di messaggi di sventura, di velate minacce e autentiche bugie. E questo quello che abbiamo visto nelle strade del paese il 29 marzo: il rifiuto della stragrande maggioranza dei lavoratori che non credono più alle bufale del potere politico ed economico per distruggere i loro diritti.

Chi deve prendere atto alla svelta di questa realtà sono, prima di tutto, le CCOO e l'UGT. Perché se continuano a perdere tempo giocherellando al tavolo delle trattative per ottenere un paio di, ininfluenti, modifiche alla riforma, disperderanno, come già avvenuto in precedenti occasioni, il potenziale di lotta contro questo governo che lo sciopero ha messo in evidenza. E non solo sarebbe il collasso totale del sindacalismo tradizionale, perché rischiano di perdere il residuo credito che ancora hanno tra i lavoratori, ma rappresenterebbe un inaccettabile tradimento di tutti coloro che sono scesi in piazza nello sciopero. Perché l'obiettivo non è la "riforma" della riforma, ma la sua l'abrogazione. Entrambe le organizzazioni dovranno scegliere se riconciliarsi con i poteri dello Stato preservando - oltre ai privilegi - il loro ruolo istituzionale, oppure, come è loro dovere, difendere i diritti dei lavoratori continuando ed incoraggiando la lotta.

Come CNT abbiamo ben chiaro quale sia il nostro posto in questa sfida tra il capitale e la società e continueremo la lotta con ogni mezzo in nostro potere per ottenere quello che abbiamo chiesto fin dall'inizio: che la riforma del lavoro venga riposta definitivamente nel cassetto.

Per questo obiettivo continueremo a chiedere l'unità della classe operaia, perché solo con l'unità è possibile raggiungere questo obiettivo. In quanto al metodo: continuare a combattere senza sosta qualunque sia il prezzo da pagare. Questo è l'unica via possibile.

Segreteria di Prensa
Comitato confederale della CNT


FONTE: periodico CNT n. 388 aprile 2012 Libera traduzione di pasquale piergiovanni
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 Andrea Leoni    - 12-04-2012
In Europa si assiste all’inasprimento del codice penale contro chi ha partecipato alle manifestazioni di protesta degli ultimi mesi e alla criminalizzazione degli stessi movimenti che si mobilitano per opporsi alle nuove misure economiche.

E’ accaduto rispetto agli scontri di Londra lo scorso agosto, a quelli di Roma lo scorso ottobree per i fatti avvenuti la scorsa estate in Val Susa e ora ci passano anche i giovani spagnoli dopo l’enorme mobilitazione che ha visto scendere nelle piazze della penisola iberica migliaia di persone.

Una nuova riforma del codice penale è stata pensata già da tempo in Spagna e nelle varie comunità autonome. Il ministro degli Interni, Jorge Fernández Díaz, ha giustificato oggi in una sessione del Congresso, le nuove proposte in materia di sicurezza dicendo che questo inasprimento delle pene è necessario per combattere contro quella che il ministro definisce una “spirale di violenza” praticata da “collettivi anti-sistema” che praticherebbero “tecniche di guerriglia urbana”, secondo quanto riporta l’agenzia Europe Press e il quotidiano Publico.

Tutte le misure che sono state annunciate nei giorni scorsi, insieme a quelle sostenute oggi dal ministro degli Interni, sono destinate a mantenere un maggiore controllo dell’ordine pubblico. Ma la preoccupazione più grande denunciata dai movimenti di protesta sta nella maniera in cui certe misure sono state pensate.

Una condanna più severa riceveranno coloro che parteciperanno a manifestazioni violente, con misure che ricordano i precedenti nei Paesi Baschi, secondo quanto ha offerto lo scenario del 29 marzo a Barcellona. Verrà proposto il reato di “minare le autorità con resistenza passiva o attiva” con chiari riferimenti, invece, a quanto avvenne il 15 marzo dopo le manifestazioni studentesche a Valencia.

Quest’ultimo provvedimento condannerebbe per aggressione tutte le persone che parteciperanno a proteste spontanee e che quindi non avrebbero ottenuto un previo permesso da parte della presidenza del governo. Non solo la partecipazione è giudicata un atto punibile, secondo le nuove misure infatti è considerato reato anche la diffusione nella rete (social network in primis) di materiale che viene chiamato “violento” e “inquietante per l’ordine pubblico”. Potrebbero ricadere sotto quest’ultima fattispecie la pubblicizzazione di eventi che non sono stati autorizzati o nei quali si rifiuta di sgomberare un posto nonostante l’avvertimento della polizia. Esattamente quanto successe il 15 maggio e nei giorni seguenti a Puerta del Sol a Madrid.

I movimenti di protesta salutano, per ora, le nuove misure con un ironico “Hola dictatura”. Ma ci sarà da aspettarsi ben altro, visto che il recente acuirsi della repressione ha portato anche ad un morto nei Paesi Baschi.

FONTE: www.eilmensile.ir