Licenziamoli ... per giusta causa!
Pasquale Piergiovanni - 24-03-2012



Per quanto possa apparire paradossale - detto da un libertario - le iniziative del duo Monti/Fornero messe in campo in ambito sociale hanno l'indubbio merito di fare chiarezza e di evidenziare quello che anni di "concertazione" - in cui non si capiva chi fosse il governante e chi fosse il governato - avevano sopito e "annacquato" nella coscienza e nella memoria collettiva: l'esistenza del conflitto sociale. Ovvero l'insanabile conflitto che, da sempre, contrappone gli sfruttati agli sfruttatori. I servi dai padroni. Un conflitto che si attenuerà solo quando uno dei due - storici - contendenti della dinamica sociale avrà definitivamente prevalso.

Se gli effetti del, pesante, intervento governativo sulle pensioni di anzianità non sono stati ancora sufficientemente "metabolizzati" dai lavoratori non altrettanto può dirsi della riforma del lavoro in gestazione in queste ore. Gli scioperi spontanei che sono esplosi qua e la' sono la dimostrazione lampante che i lavoratori stanno realizzando da sé stessi - ovvero senza "imput" dall'alto - cosa succederà una volta che il "combinato disposto" delle 2 norme (quella pensionistica e quella del lavoro) dispiegherà tutti i suoi, perversi, effetti. Non occorre essere degli economisti, infatti, per comprendere quello che avverrà: la riforma delle pensioni obbliga le imprese a tenere i lavoratori anziani, demotivati e poco produttivi, fino a 67 anni.

Facilitando i licenziamenti economici si fornisce alle imprese l'incentivo a liberarsene per sostituirli con altri, più giovani e più economici. I cinquantenni di oggi rischiano quindi di trovarsi senza lavoro, senza pensione e con pochi ammortizzatori sociali, "esodati", come quelli (oltre 200 mila) travolti dalla riforma Fornero per aiutare i quali il governo non riesce a trovare le risorse. La motivazione addotta dai "professori" è quella di ... "aiutare le giovani generazioni" ma ... sostituire un'emergenza sociale con un'altra non mi pare un gran risultato.

Né tanto meno i lavoratori che stanno, spontaneamente, scioperando si lasciano ingannare dalla "monetizzazione" del licenziamento cosiddetto "economico" poiché si tratterebbe di un risultato effimero, già contestato dalle imprese, e sempre a rischio di decurtazione ... come dimostra quanto accaduto in Spagna dove la riforma Rajoy - contro la quale proprio in questi giorni si assiste ad una interessante "sinergia" anarcosindacale - non solo ha reso più facili i licenziamenti (per motivi economici!) ma ha dimezzato il periodo di retribuzione dovuto dalle imprese che licenziano ai lavoratori agevolandone il compito. La riduzione del "costo" dei licenziamenti è una delle misure centrali della riforma spagnola: essa, infatti, prevede di ridurre da 45 a 33 giorni, per anno di lavoro in una impresa, l'indennità di licenziamento da versare al lavoratore, con un massimo di 24 mesi. La Spagna rappresenta una cartina di tornasole importante per gli osservatori esterni non tanto per la vicinanza geografica quanto come "laboratorio sociale" nel quale si sperimentano situazioni che, successivamente, sono "importate" - peggiorandole! - in Italia. E' già accaduto con le elezioni sindacali.

Un discorso a parte merita la, pesante, ingerenza - in ambito sociale - del Capo dello Stato. A questo proposito illuminante è la riflessione offerta da Giuseppe Aragno su Fuoriregistro nella quale leggo (testuale) (...) "In questa logica di "militarizzazione" della politica in nome di un'equivoca union sacrée, il governo che interviene nella dialettica tra le classi, impone un'idea di solidarietà alla rovescia, che cancella i diritti dei lavoratori in nome di un "superiore interesse nazionale" dei padroni e, per dirla alla Bottai, manifesta la volontà tipica dello Stato corporativo, di eliminare dai rapporti sindacali il "ramo secco" della mediazione politica. Ne esce stravolta un'idea di democrazia che non fu di De Gasperi o Pertini, ma risale all'alba del Novecento e all'Italia liberale e prefascista. I riferimenti, per esser chiari, non sono Giolitti e Nitti, ma Rocco, il cui pensiero fu volgarizzato nella celebre formula per la quale: "tutto è nello Stato, niente contro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato". Rozza quanto si voglia, è una formula che sembra spiegare la posizione più volta assunta da Giorgio Napolitano, quando ha invitato i Presidenti delle Camere a modificare i regolamenti parlamentari, a votare rapidamente, senza troppe discussioni, una eccezionale e dolorosa legge finanziaria e - siamo a ieri - quando ha dettato le regole al sindacato, ripetendo senza la minima prudenza istituzionale che è tempo di smetterla di discutere, perché di fronte alla crisi non si possono difendere posizioni particolari. Per Napolitano, quindi, garante della Costituzione della Repubblica fondata sul lavoro, chi lotta per la tutela dei lavoratori difende "interessi particolari". (...)"



Compito dei libertari in questo contesto è, ovviamente, quello di appoggiare tutte quelle forze che - senza delegare ad altri - sono disposte a "prendere in mano il proprio destino" in una lotta che non sia meramente rivendicativa ma sia, soprattutto, sociale e politica.

Perché il mondo va radicalmente cambiato dal basso ... non "riformato" con la delega in bianco rappresentata - ad esempio - dal voto. Sia pure sindacale. Se lo rammentino i libertari che ... votano e fanno votare!

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 Luigi Marangoni    - 25-03-2012
Temo che non sarà proprio una passeggiata, ma concordo: licenziamoli tutti.

 Gian Paolo Trevisani    - 01-04-2012
Tutte le volte che il Presidente Napolitano ha detto qualcosa di "sinistra" è stato accusato di essere un comunista. Chissà perché negli ultimi tempi nessuno gli dà del comunista?