Alla conquista del nostro Oltremare
Leonardo De Franceschi - 18-10-2011
Dallo Speciale Il tempo e la storia


Note sul convegno "La guerra immaginata - L'avvento della civiltà mediale e la Guerra di Libia (1911-1912)"

Martedì scorso,11 ottobre, alla Sala delle Bandiere di Roma, si è tenuto un interessante convegno sulla giolittiana Guerra di Libia (1911-12) di cui quest'anno ricorre il triste centenario, amabilmente rimosso dai media, televisione in testa, e intorno al quale questo convegno, insieme a una mostra del Museo storico italiano della Guerra di Rovereto tuttora in corso (vedi), rappresenta finora una delle poche occasioni di riflessione e dibattito pubblico. La guerra immaginata. L'avvento della civiltà mediale e la Guerra di Libia (1911-1912) (vedi programma), questo il titolo del convegno curato da Giovanni Spagnoletti e Luca Mazzei, e organizzato dalla Facoltà di Lettere e Filosofia - Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", nell'ambito delle Settimana della Diplomazia, in collaborazione con l'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito Italiano, si inserisce nell'ambito di una ricerca nata da una tesi magistrale di Sila Berruti, che poggia sulla scommessa, tutt'altro che agevole, di coinvolgere l'Esercito nel sostegno a un progetto universitario di storiografia del cinema e dell'immaginario mediale, basato anche sui materiali visivi contenuti negli archivi dello Stato Maggiore. Solo il tempo potrà evidenziare la portata dei risultati di questo progetto ma, a giudicare dal convegno, che auspicabilmente ne rappresenta solo una prima tappa, valeva la pena di fare questa scommessa.

Non che l'entità dei primi materiali visivi sulla (come allora fu definita) guerra italo-turca sia particolarmente significativa. Mi riferisco alle due brevissime cine-attualità dell'epoca, ritrovate nel Museo Storico dei Bersaglieri di Roma e in corso di restauro da parte della Cineteca Nazionale, di cui alcuni estratti sono stati pubblicati nei giorni scorsi da Repubblica Tv (vedi). Più interessante appare l'analisi del fenomeno delle cosiddette cine-cartoline, su un piano di storia sociale e dell'immaginario: dallo studio di Sila Berruti e Luca Mazzei, protagonisti di una delle relazioni più dense del convegno, è emerso come, appena poche settimane dopo il 3 ottobre, inizio ufficiale delle operazioni militari contro quello che allora era un possedimento dell'Impero Ottomano, per rispondere all'ansia dei familiari dei quasi 35 mila militari coinvolti nell'impresa coloniale, i quali scarse notizie riuscivano ad avere dal fronte circa la sorte dei loro cari, lo Stato Maggiore stesso, con la collaborazione della Cines, promosse e organizzò, oltre alla stampa e spedizione di migliaia di cartoline prestampate dal tono rassicurante e destinate ai familiari, la messa in cantiere di un campagna di cine-cartoline, vale a dire riprese mute di parenti dei soldati al fronte che, debitamente radunati in pubbliche piazze, li salutavano rivolgendosi alla cinepresa. Alla realizzazione di queste cine-cartoline, effettuata in numerose città italiane e in modo massiccio dal natale 1911, con una lunga coda fino alla primavera del 1912, avrebbe corrisposto un'insignificante e tardiva organizzazione di proiezioni per i soldati, solo a Tripoli, tra il 20 e il 25 marzo 1912. Particolare questo che ci fa annoverare quest'iniziativa insieme alle molte altre organizzate, con finalità propagandistiche, per promuovere e mantenere il consenso intorno al conflitto e che fanno di quella con la Libia la prima guerra mediatica del Novecento, per quanto riguarda l'Italia, tenuto conto del ruolo attivo svolto dalla stampa nazionalista e liberale, dai letterati intervenuti a sostegno della campagna e dalle prime tecnologie di telecomunicazione introdotte sul fronte grazie a Marconi.

Non altrettanto chiara e conseguente fu la strategia mediatica dei vertici politici e militari circa la realizzazione delle cine-attualità. Numerosi intervenuti, da Sarah Pesenti a Elena Dagrada, hanno messo in evidenza come l'Esercito e la Marina non fossero ancora dotati di un reparto cinematografico, come accadrà pochi anni dopo con la Prima Guerra Mondiale. Le stesse minitroupe di cinegiornalisti che dopo pochi giorni si unirono alle truppe italiane, cercando di documentarne l'avanzata, rivelatasi presto più problematica del previsto, furono tenuti ben alla larga dal fronte. Come ha brillantemente argomentato Pierre Sorlin, dotati di un'attrezzatura ingombrante, posti davanti a condizioni logistiche e diplomatiche che impedivano loro di documentare l'andamento della guerra, gli operatori presenti sul territorio - al servizio della Cines, della Pathé e della Luca Comerio Films, cui si aggiunse la LSSP vicina al Mattino di Napoli, per non contare i cineamatori come John Benett-Stanford - si trovarono a filmare esclusivamente sfilate o esercitazioni di soldati e più in generale la vita generale nelle retrovie, esaltando spesso l'umanità dei militari nei rapporti con la popolazione indigena, ma pensarono bene, al contempo, di allestire e e riprendere alcune scene di battaglie e assalti contro un nemico invisibile, potendo contare sulla collaborazione dei vertici militari stessi.

Queste scene di battaglia erano il pezzo forte delle cine-attualità dal fronte che riempirono di folle eccitate le sale cinematografiche durante l'inverno 1911-12. L'etica rappresentazionale del tempo non poneva scrupoli particolari ad operatori e produttori, anche alla stessa Pathé, considerata come un'autorità mondiale nella realizzazione di cinegiornali e serie di attualità (ma che pure produsse un ironico making of di un'attualità ricostruita, mostrato da Sorlin): queste scene venivano accompagnate da didascalie e articoli promozionali che ne garantivano l'assoluta autenticità (Mazzei ha citato addirittura il caso di una lettera aperta di Filoteo Alberini, noto operatore del tempo, a riprova della veridicità delle riprese effettuate dal nipote Bixio Alberini per la Pathé e relative alla battaglia di Zanzur, poi risultate un falso). Mazzei e Dagrada hanno sostenuto che tuttavia, proprio lo straordinario successo di queste cine-attualità ricostruite nel biennio 1911-12 fu la premessa del rapido tramonto e superamento della formula. L'idea di invitare reduci dal fronte libico a presenziare alle proiezioni, come fattori di richiamo promozionale, si rivelò un boomerang inatteso: furono infatti gli stessi ufficiali a denunciare più volte, come testimoniato dalla stampa dell'epoca, il carattere grossolanamente fittizio di queste cine-attualità. Ne derivò un ripensamento delle categorie epistemologiche ed estetiche alla base di questo genere, che avrebbe, secondo Mazzei, portato di lì a poco alla nascita del documentario moderno.

Ma il convegno, e non poteva né doveva essere altrimenti, ha rappresentato anche un'occasione per riaccendere il dibattito storiografico intorno alla Guerra di Libia. In questo ambito, la relazione di Nicola Labanca, tra i maggiori esperti mondiali sul colonialismo italiano, ha gettato un provocatorio e salutare sasso nello stagno di una storiografia che lo stesso Labanca ha definito nazionalista, civile e ignorante, denunciando con forza la pochezza degli studi italiani rispetto alla ricerca internazionale, la chiusura totale nei confronti delle analisi prodotte da studiosi libici e arabi, la sottovalutazione totale dei fattori militari nella comprensione della storia coloniale italiana, e, nello specifico della Guerra di Libia, la generale messa sotto silenzio degli enormi fattori di criticità da essa posti, a partire dallo stesso dato terminologico, vale a dire la tendenza ad usare ancora oggi un termine del tutto desueto e improprio come guerra italo-turca o lo stesso guerra di Libia (termine adottato ufficialmente solo nel 1934, con l'unificazione di Tripolitania e Cirenaica), a ignorare le coordinate temporali reali di un conflitto che si prolungò di fatto fino al 1931 (con l'impiccagione di Omar Al Mukhtar e la repressione della resistenza dei senussiti, definiti dal presente colonnello Antonino Zarcone come integralisti islamici), ma può essere in realtà esteso fino allo stesso 1943 (in cui, dopo la Guerra d'Africa, l'Italia dovette rinunciare ai suoi possedimenti libici), per non dire della disorganizzazione militare enorme con cui fu condotta la campagna di Libia e delle atrocità di cui si macchiò l'esercito italiano, a partire dal tristemente noto episodio di Sciara Sciat nell'ottobre 1911, quando un rovinoso rovescio militare (378 morti, con numerosi feriti italiani, mutilati e giustiziati dalla resistenza locale) fu seguito da una sanguinosa e indiscriminata repressione, condotta anche sulla popolazione civile, che alcune fonti giornalistiche dell'epoca stimarono a quattromila morti e migliaia di deportati ad Ustica e alle Tremiti, dove ancora oggi, nel cimitero musulmano, fa bella mostra, per sommo sfregio, una croce.

A pochi giorni di distanza dalle vergognose parole di Mustafà Abdel Jalil, leader del CNT che il 9 ottobre ha inteso rivalutare l'esperienza storica del colonialismo italiano in Libia, parole che dimostrano il rischio di una vera e propria svendita della memoria storica e immateriale di un intero popolo per esigenze di Realpolitik mentre ci pongono davanti al problema di quale percezione possa avere la generazione di oggi del sessantennio di storia coloniale italiana, è stato importante poter riaccendere per qualche tempo i riflettori sulla Guerra di Libia grazie a questo convegno. Dalle relazioni dei due ufficiali in scaletta, impeccabili entrambi nel loro ripercorrere date e cifre della spedizione militare, così da difendere le ragioni dell'esercito, rintuzzando con un certo infantile puntiglio le tesi di Labanca e scaricando in larga parte la responsabilità delle difficoltà incontrate sulla classe politica del tempo (l'avvio della campagna fu anticipato di alcune settimane da Giolitti, il contingente inviato avrebbe dovuto secondo i piani limitarsi all'occupazione della costa, il servizio di intelligence aveva sottovalutato la resistenza della popolazione locale), non è emerso il barlume di un ripensamento sulle ragioni né sulle forme della presenza italiana in Libia. Ma forse era chiedere troppo. C'è da augurarsi che questa scommessa diplomatica produca nuove scoperte d'archivio e ulteriori occasioni di studio.


Il pezzo è stato pubblicato sul portale Cinemafrica, a cui va il ringraziamento di Fuoriregistro


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