Il Paese delle tre i
Gianfranco Pignatelli - 08-10-2011
"I" come ironia, come ignavia, come Italia.

C'è un'ironia crudele ed una bonaria. La prima è del destino beffardo, quello che rende il suo popolo ostaggio di un miserabile tra i più ricchi al mondo. Di un malato, socialmente disturbato e politicamente depravato. Di un vecchio nano blandito e usato da olgettine e servi. Di un greve, capace solo di ironie rozze, ostentate con gergo ed atti volgari e triviali, degni del ragliatore celtico al quale contende il primato dello squallore e dell'esposizione mediatica.
Poi c'è un'ironia bonaria, quella mossa dal superiore distacco. Quella che irride con sarcasmo chi squalifica, spadroneggia, truffa, evade, delinque e si autoassolve. Questa è l'ironia peggiore, dell'Italia peggiore.

A incentivarla è l'ignavia. Quella del Paese del tanto così fan tutti, del capitasse a me non ci penserei su due volte, del potessi mi sistemerei anch'io, del tanto chi me lo fa fare, dell'ormai così deve andare, e via così, di ignavia in ignavia. È il popolo delle escort, né belle, né minorenni né giovani. È il popolo che non s'indigna ma ci sta, che si piega alle lusinghe del potere e ai propri tornaconti; salvo, poi, criticare e sparlare di sederi flaccidi, di sederi inchiodati agli scranni, di sederi che si danno per un non nulla. Sederi altrui, ovviamente. Tanto, quelli che ironizzano con "superiore distacco" sul forza gnocca, sul bunga-bunga, sul tunnel dei neutrini, sulle case donate chissà da chi e chissà per cosa, o sulle P2, P3, P4 e troppo, troppo altro ancora, il proprio sedere non se lo sanno proprio guardare.

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