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Ferdinando Cordova se n'è andato
Giuseppe Aragno - 12-07-2011
Ferdinando Cordova, fino a novembre scorso ordinario di Storia Contemporanea alla Sapienza, era nato a Reggio Calabria nel 1938 e se n'è andato nelle prime ore del mattino di lunedì 11 luglio. L'ha portato via, in poco più d'un mese, un male che non perdona e che aveva affrontato così come ha vissuto: da uomo schivo e gentile, col coraggio sereno e consapevole di chi è in pace con se stesso. La notizia dolorosa si è materializzata improvvisa sul pc, come capita in questo tempo nostro di veloci vie tecnologiche: "lutto", la parola in oggetto, secca, tagliente e irrimediabile. Sapevo che sarebbe giunta, ma non credevo così terribilmente presto e non immaginavo quanto amara e difficile da accettare. Nando, così ero abituato a chiamarlo, era un uomo al quale non potevi che voler bene. E me ne accorgo oggi, come mai l'avevo sentito prima, perché è così, perché è il fatto compiuto e senza rimedio quello che ti pone davanti a te stesso e ti parla come non sa fare nessun altro momento della vita. L'avevo sentito a telefono, ora non ricordo più bene se venerdì o sabato. Stava malissimo, era consapevole ma anche sereno e ancora capace di far cenno agli "amici affettuosissimi", con quel tratto umano inconfondibile, che la sofferenza devastante non aveva potuto e non poteva cancellare. Era stato lui stesso a dirmi della sua malattia il 3 luglio scorso. "Farò di tutto per uscirne, - mi aveva scritto - ma, se dovesse andare male, ricordami ad amici e studiosi".
Cordova è stato allo stesso tempo studioso serio e valoroso e uomo onesto e geloso della sua autonomia di pensiero. Dopo quarant'anni d'amicizia, me lo ricordo così, rigoroso nella ricerca, pronto e acuto nella "battaglia delle idee", netto, se necessario, ma pacato, sereno e mai fazioso. A leggere oggi i suoi molti saggi, non è difficile riconoscere i tratti migliori della scuola di Renzo De Felice, che ci fu maestro comune e di cui egli fu allievo degnissimo, sebbene indocile e soprattutto indipendente. L'ho conosciuto ch'ero ancora uno studente-lavoratore, nella fertile confusione che fu la mia vita negli ultimi anni Sessanta. Il primo ricordo è un esame di storia, dopo la prova scritta, i suoi generosi complimenti e le parole che segnano una vita: "Renzo, questo è Aragno...". L'inizio d'una intensa e lunga collaborazione negli ormai lontanissimi anni Settanta, vissuti in una Salerno che non c'è più, in un edificio di via Irno, dov'eravamo distaccati e dove il caso e il magistero di De Felice ci avevano messi assieme. Si occupava, in quegli anni, degli arditi e dei legionari dannunziani e aveva appena pubblicato un saggio ancora oggi utile a chi voglia capire la cause della crisi del mondo liberale. Così valido e "anticipatore", che nel 2007, quasi quarant'anni dopo, il Manifestolibri l'ha potuto riproporre com'era uscito nel 1969. I ricordi sono mille: i pranzi frugali, da giovani più o meno spiantati - l'accademia non è stata mai ricca - in una sorta di taverna a ridosso del Corso Italia, le lunghe, formative e appassionate discussioni con De Felice, che andava pubblicando la sua monumentale biografia di Mussolini, un anno drammatico, non saprei dire con certezza, ma credo il 1974, con le polemiche sugli "anni del consenso" che investirono anche noi e giunsero a separare i due allievi dal maestro che, intanto, era approdato a Roma. Abbiamo poi preso strade diverse, ma non ci siamo mai persi di vista e, nonostante il trascorrere degli anni, il posto in cui era più probabile incontrarlo era ancora l'Archivio Centrale dello Stato, a Roma. Lì ha trascorso tanta parte della sua vita di ricercatore. Lì aveva proficuamente studiato la Massoneria e il sindacato fascista e, ormai vecchio, ancora studiava da maestro il fascismo, lo Stato totalitario la storia e la cultura del nostro Paese dall'Unità alla Repubblica. Ha scritto saggi pregevoli che lasciano un segno. L'ultimo - Il 'consenso imperfetto' quattro capitoli sul Fascismo - cui tanto teneva, quasi presagisse la fine, aveva pagine e spunti davvero illuminanti. La cultura del nostro Paese perde un protagonista serio, coerente, capace di assumersi la responsabilità del rischio, senza inseguire mode, con la fermezza di chi sa di essere un riferimento. Non è perdita lieve. Mancheranno il suo contributo autorevole, il senso della misura e la capacità di cogliere il significato profondo degli eventi storici. Personalmente gli devo molto e sempre, quando avevo un dubbio o sentivo il bisogno di andare a fondo in una ricerca, lo trovavo disponibile, aperto, pronto a dare una mano, a dire la sua con intuizioni sempre felici, idee chiare e una cultura fine e ricca di umanità. L'anno scorso, dopo aver pubblicato due mie biografie di antifascisti sul suo "Giornale di Storia Contemporanea", con affettuosa insistenza, mi aveva convinto a mettere assieme alcune biografie di sconosciuti antifascisti per farne un "Quaderno" della sua rivista. L'introduzione sarebbe stata sua, se la morte non se lo fosse portato via, ma terminerò il lavoro e troverò modo di farlo uscire ugualmente. Glielo devo, come gli dovevo questo tentativo di ricordarlo e rispondere a quel suo invito del 3 luglio scorso, quando lottava per la sopravvivenza e mi chiedeva di ricordarlo alla comunità degli studiosi.
Degli storici parlano soprattutto le mille ricerche e i saggi prodotti. Quelli di Ferdinando Cordova lo faranno a lungo: hanno a buon diritto il loro posto tra quelli degli studiosi che la morte non cancella.

"Il Manifesto" 14 luglio 2011

Tags: Ferdinando Cordova, Renzo De Felice, Salerno, Mussolini, anni del consenso, Massoneria, sindacato fascista


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