"È la pulce d'acqua che l'ombra ti rubò", così cantava, nel 1977, Angelo Branduardi. In quegli stessi anni, un'altra pulce, nana ed ignota ai più, saltellava di calle in calle, in laguna, nella sua Venezia. Era alla ricerca di una maschera, di un impresario e di un copione. Nella città di Goldoni, da grande, sognava di essere guitto, di recitare a soggetto. Non crebbe e non fu mai grande, ma guitto sì. Si ritagliò la parte del castigatore di mascalzoni e fannulloni, assenteisti e pagnottisti. Di suo la pulce d'acqua, però, saltava dal cronico assenteismo parlamentare al randagismo politico, dall'abusivismo immobiliare al parassitismo istituzionale. Un niente, si direbbe. Una tipica maschera del carrozzone politico italiano, un saltimbanco per tutte le compagnia di ventura, dal psi al pdl. Insomma: un niente che non varrebbe proprio niente lì dove, per far politica, occorre dignità e decoro, senso delle istituzioni e spirito di servizio. Ma da noi può bastare essere una pulce d'acqua, saper saltare di palco in palco, fare il demente ed urlare istericamente. Lo sa bene la pulce d'acqua, tant'è che coi deliri esagerati e gli strilli reiterati salta di blog in blog e sulla rete salta più dell'omino permaflex del vecchio carosello. Parafrasando, alla pulce, è grato il precariato della scuola, e non solo quello.
"È la pulce d'acqua che l'ombra ti rubò", alla luce dell'ultima esibizione demenziale, fa diventare profetiche le parole di Branduardi.