Un saluto che si chiama speranza
Fuoriregistro - 13-06-2011
Era una scommessa, si poteva perderla, ma bisognava provarci. Non siamo usciti quando avremmo dovuto: niente news domenica. L'ultimo appuntamento di quest'anno di scuola e di vita scolastica, mai facile e spesso preoccupante, poteva e doveva attendere un po'. Questione di ore, ci siamo detti, poi, chissà, il saluto sarà ben diverso.
Ora sì, ora si può dirlo senza temere d'essere di parte e senza farne una questione di politica spicciola che non ci riguarda: c'è un abisso tra la temuta indifferenza "balneare" che qualcuno s'augurava e la partecipazione di massa, che era nell'aria, ma ha assunto proporzioni inattese, a quesiti essenziali per la vita del Paese e il futuro dei nostri figli e delle generazioni che verranno. Sì, bisognava ritardare l'uscita dell'ultima news e sperare di far festa. E festa è, festa per tutti, anche per la pattuglia minoritaria che s'è schierata legittimamente per il no. E' sempre festa, quando un Paese trova dentro di sé l'orgoglio della partecipazione, prende in mano il suo destino e sceglie con forza una via.

Si potrebbe star qui a discutere a lungo se stasera vincono schieramenti e partiti, o vince invece la gente, come a noi pare evidente. Lasciamo, però, ad altri, il compito delle analisi e l'onere di ricavarne indicazioni politiche. A noi piace far festa per l'evidente riconciliazione della gente con la politica, per i giovani, che in gran parte sono usciti dalle scuole nostre e in tanti sono andati a dire a chi governa o pensa di poterlo fare che in mente un progetto di società, loro, ce l'hanno. E' cosa di cui possiamo andar fieri, noi insegnanti, perché c'entriamo molto e se, infine, a tanta voglia di esserci, a tale maturità democratica, manca una vera rappresentanza, rifletta se sa e può la classe dirigente. C'è un Paese che pensa: faccia perciò festa con la gente. C'è un paese che guarda avanti, ha occhi aperti ed è molto stanco. Rifletta chi deve ricominci a pensare.

La nostra parte, noi, l'abbiamo fatta, in condizioni a volte disperate. E se qualcuno ha voglia di valutarci, com'è giusto che sia, parta da qui, dal dato che salta agli occhi e non costa un centesimo in test, quesiti e discussioni inutili su chi siamo e che facciamo. C'è un Paese che pensa e, nel far festa, noi vogliamo segnarlo nelle colonne dell'attivo in un ideale bilancio, questo risultato. Un Paese che pensa e un sistema formativo che sa ancora dare strumenti critici e capacità di scelta. C'è, nonostante tutto, nonostante la strumentale sfiducia che s'è cercato d'instillare nella gente, nonostante i tagli, il discredito e i tentativi d'imporsi con le maniere forti.

Salutiamo i nostri lettori e le nostre lettrici contenti, diciamo loro che contiamo d'esserci alla riapertura e siamo certi che ci ritroveremo tutti. Chi scrive, chi legge e chi commenta e fa vivere le nostre pagine virtuali.

Ora però si fa festa. E' un giorno in cui il saluto si chiama speranza.

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