16 aprile: Manifestazione nazionale contro la guerra a Napoli
Assemblea contro la guerra - 07-04-2011
L'Italia che a parole ripudia la guerra si è lanciata in una nuova aggressione militare a senso unico, come le precedenti, questa volta contro la Libia che rappresenta la "nostra" quarta sponda. La quinta in vent'anni, la terza nel giro di un decennio in cui si è persa ogni remora nei confronti dell'intervento bellico.

Ma a differenza delle altre occasioni pochi sembrano indignarsi, pochi alzano la voce per gridare che questa, come già altre guerre, ha dei motivi ben precisi: le immense ricchezze del sottosuolo libico, il gas, il petrolio, gli affari delle grandi aziende e della grande finanza. Motivi che stanno causando già centinaia di morti fra i libici, e che ne causeranno ancora di più, appena l'uranio impoverito, sganciato in quantità, comincerà a fare effetto. Motivi che potrebbero portare, come già successo nei Balcani, in Afghanistan o in Iraq, alla devastazione della Libia, alla fine della sua sovranità, all'occupazione militare di un territorio-chiave per controllare e addomesticare tutte le rivolte che stanno agitando il Nord Africa e il mondo arabo.
Come al solito, la prima vittima della guerra è stata la verità: per giustificare l'uso della forza abbiamo visto squadernarsi tutte le retoriche guerrafondaie, nelle varianti di destra e di "sinistra". Da un ritrovato e sfacciato spirito colonialista ("dobbiamo intervenire perché la Libia è casa nostra") al ritornello della guerra umanitaria ("dobbiamo proteggere la popolazione contro il tiranno"), passando ovviamente per i cliché razzisti ("dobbiamo intervenire per portare la democrazia ai popoli sottosviluppati"). Soprattutto si è cercato di neutralizzare l'impatto emotivo di una nuova guerra, di farla sparire dalla nostra percezione, di inserirla nel tessuto della quotidianità, parlando di "no-fly zone", "pattugliamento umanitario", "sostegno ai ribelli".

Dovremmo sapere bene cosa si nasconde dietro questi eufemismi: il profitto delle multinazionali dell'energia, il desiderio delle potenze occidentali di accaparrarsi, anche dopo il disastro nucleare giapponese, risorse preziose in tempo di crisi, la voglia di controllare un pezzo di mondo che si è risvegliato e cerca da sé la sua libertà. Si interviene in Libia proprio come si sono sostenuti fino alla fine i regimi di Ben Alì o Mubarack, o come si appoggia la repressione dei movimenti popolari in Bahrein o nello Yemen... Ancora una volta il "diritto internazionale" si rivela nei fatti solo la legge del più forte.

Giusto otto anni fa, contro analoghe menzogne, eravamo in milioni a scendere in piazza. Oggi il silenzio dei pacifisti e dei movimenti è assordante, mentre la sinistra istituzionale si nasconde dietro ad una risoluzione ONU scritta, come già altre volte, ad uso e consumo di USA, Gran Bretagna e Francia, mentre a spingere per l'intervento ci sono in prima fila il PD ed il Presidente Napolitano... Ad "opporsi" alla guerra c'è solo la destra estrema della Lega, che parla di "invasione dei clandestini", lascia marcire i profughi a Lampedusa, crea strumentalmente un'emergenza umanitaria, esaspera l'odio contro i più deboli e i "dannati della terra" per rastrellare voti sotto elezioni.
Forse è giunto il momento di riscattare questa vergognosa Italia, che dal baciamano a Gheddafi, il "nostro miglior alleato", è passata alle bombe, per paura di perdere i propri affari in Libia.
È giunto il momento di dire la nostra, mentre riscrivono la storia del Mediterraneo attraverso le bombe, la violazione dei diritti dei migranti e la continua militarizzazione del nostro e del loro territorio.
È giunto il momento di affermare che non esistono interessi "nazionali", ma solo gli interessi degli sfruttati e dei dominati di tutto il mondo contro quelli dei dominanti e dei regimi di tutto il mondo.
È giunto il momento di proclamare che i popoli, e lo hanno scritto in questi giorni proprio i tunisini e gli egiziani in rivolta, o si liberano da soli o non si liberano affatto.

Tutto questo lo vogliamo dire chiaro e forte proprio a Napoli, dove è appena passato il comando dell'operazione ora a guida NATO. Ed è per questo che facciamo appello ai movimenti, alle associazioni, ai comitati, alle forze politiche e sindacali, a tutti i pacifisti coerenti ed a tutti i cittadini a far crescere in tutta Italia la mobilitazione contro la guerra e costruire insieme una grande manifestazione nazionale proprio a Napoli, sabato 16 aprile.

Una manifestazione che, schierandosi a fianco del popolo libico e di tutte le popolazioni in rivolta dell'area, chieda:

• La fine immediata dei bombardamenti e dell'aggressione militare;
• La fine di ogni ingerenza straniera, compresa l'ipotesi di embargo e di sequestro dei beni libici non meno criminale dell'aggressione militare;
• Il diritto d'asilo per tutti i profughi e i migranti in fuga;
• Il taglio delle spese militari e l'utilizzo di fondi e mezzi per le vere priorità sociali di un'Italia in crisi: casa, lavoro, servizi sociali, reddito garantito, provvedimenti a difesa del territorio e dell'ambiente;

Chiediamo a tutte e tutti di diffondere e sottoscrivere quest'appello, per cercare nelle due settimane che abbiamo davanti di costruire insieme una grande e determinata manifestazione contro la guerra!
Nel caso questo appello dovesse incontrare come speriamo, il sostegno delle più significative realtà impegnate nella lotta contro la guerra proponiamo di tenere il giorno successivo alla manifestazione, domenica 17 aprile, una Assemblea nazionale del movimento contro la guerra per discutere insieme come proseguire la lotta contro questa infame politica che va a seminare in nome dell'umanità e della democrazia morte e distruzione presso altri popoli, con la vigliacca consapevolezza che questi paesi non hanno nemmeno le armi per potersi difendere adeguatamente di fronte alle micidiali armi di distruzione di massa utilizzate.

ASSEMBLEA NAPOLETANA CONTRO LA GUERRA

Per info, adesioni e contatti: assembleanowar.na@gmail.com
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 Iside Gjergji dal Fatto Quotidiano    - 08-04-2011
Libia e Italia, l’umanità dei mediterranei

Mediterraneo: cimitero postmoderno, fossa comune, immenso sepolcro. Queste sono le immagini che i giornali di oggi forniscono del Mare Nostrum, dopo la strage di ieri notte nel Canale di Sicilia. Più che un mare, il Mediterraneo sembra un campo di battaglia, dove si ammassano i corpi dei vinti. Perché il Mediterraneo è un teatro di guerra, in terra e in mare. Piovono le “umanitarie” bombe e missili all’uranio impoverito sulle teste dei libici e affondano le barche di coloro che da quell’inferno voglio fuggire (venivano proprio dalla Libia, infatti, gli uomini, le donne ed i bambini che sono morti annegati). Per i restanti abitanti della sponda sud del Mediterraneo è sufficiente la tattica silente: disoccupazione e riduzione alla fame, grazie agli “aggiustamenti strutturali” imposti dalla World Bank e dalla European Bank e dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi), che hanno come diretta conseguenza la cancellazione di tutto ciò che è pubblico (sanità, scuola, ecc.), in nome del liberismo e del profitto. Assistiamo, dunque, a quella che si chiama guerra totale. Ed è in corso da anni. Ma in pochi hanno occhi per guardare.

Eppure, negli ultimi decenni, non si è fatto altro che parlare di Mediterraneo. Si è così tanto parlato che il (tema del) “Mediterraneo” è divenuto, nel corso del tempo, un fertile terreno dove si producono teorie etico-politiche e si costruiscono persino assessorati e carriere burocratiche. I “mediterraneisti” hanno riempito biblioteche intere decantando – anche giustamente! – le virtù delle civiltà, delle culture, dei paesaggi e delle filosofie mediterranee. Alcuni, presi dalla passione, sono giunti perfino a vedere nel Mediterraneo quel “pluriverso” di civiltà che, da solo, può contrapporsi – e resistere – alle derive “oceaniche” della globalizzazione. Quindi, le “culture” del Mediterraneo ci sono state rappresentate per anni come (la naturale e facile) alternativa all’universalismo del Nord, cioè all’universalismo del capitale.

Riscontriamo, giorno dopo giorno, il fallimento di tali tesi. L’economia di rapina (e le sue conseguenti guerre “umanitarie”) si diffonde ovunque e si rivela l’unica forza in grado di piegare a sé, alla sua logica di accumulazione senza fine, ogni cultura e civiltà. Di fronte alla tragica realtà dei mediterranei, lasciati concretamente nelle mani degli eserciti, imprenditori e avventurieri vari, il ventennale dibattito sul “Mediterraneo” ci rivela soltanto la sua collocazione nel mondo dell’iperuranio.

Ma gran parte dei mediterranei, per fortuna, sanno, nonostante alcuni loro illustri intellettuali – che per ora preferiscono accomodarsi dietro la corazza abbagliante delle metafore e delle iperboli – che l’ingiustizia fatta da mani umane può essere disfatta da altre mani umane. Che non è più tempo di linguaggi cifrati e che bisogna aprire gli occhi e dire la verità, prima che una tempesta, o delle bombe, spazino via per sempre la “patria”. Che non è più tempo di discorrere di alberi e che bisogna dire no alle guerre, per costruire un Mediterraneo all’altezza della sua fama e della sua storia, e non un Mediterraneo eretto sulle lacrime solidificate e mute dei vinti di oggi. Bisogna dunque andare in tanti e convinti alla manifestazione nazionale contro la guerra indetta a Napoli per il 16 aprile prossimo, anche per iniziare a riscattare la nostra umanità di mediterranei.

Iside Gjergji
ilfattoquotidiano.it