Storia di don Giacomo, prete sotto protezione, e di un centro per disabili che dovrebbe nascere nella casa dei mafiosi
I beni confiscati alle mafie e assegnati a organizzazioni di volontariato sono un’opportunità per i territori interessati, ma possono anche esporre a seri rischi. E’ il caso di don Giacomo Panizza, presidente della Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme, che da quest’estate si è aggiunto alla schiera di sacerdoti del sud sottoposti a un “programma di protezione” da parte della polizia.
Don Giacomo, originario di un paese del bresciano, trapiantato in Calabria da quasi 30 anni, viene oggi accompagnato dalla polizia in vari suoi spostamenti e sorvegliato sia sul luogo di lavoro che nei diversi luoghi in cui è impegnato: dalle lezioni all’università della Calabria, alle messe e alle processioni nei paesini, molti di montagna, che fanno parte della sua parrocchia (“E’ questo il risvolto più antipatico”, afferma). Deve inoltre consegnare ogni settimana in commissariato il prospetto dei suoi spostamenti nei giorni successivi. Il motivo del provvedimento è appunto legato a un bene confiscato. La Comunità di Panizza si era vista assegnare alcuni mesi fa 4 piani di uno stabile a Lamezia, dalla superficie complessiva di circa 850 metri quadrati. La casa ha però una particolarità inquietante: confina e condivide il cortile con l’abitazione della famiglia mafiosa che ne era proprietaria prima della confisca. Con il paradosso che gli operatori di Progetto Sud devono suonare al campanello di quella famiglia per chiedere il “permesso” di entrare. Quando ciò avviene, Panizza si fa accompagnare dalla polizia, ma in realtà fino ad oggi non c’è stato molto bisogno di accedere ai locali. “Abbiamo il progetto per la ristrutturazione – spiega don Giacomo – che prevede tra l’altro un ascensore, dato che la struttura sarà destinata all’accoglienza di disabili. Ma non ho ancora trovato nessuno, né un muratore, né un elettricista o un idraulico, che accettasse di effettuare quei lavori…”.
Attorno alla casa c’è insomma un clima di intimidazione piuttosto forte, come conferma anche un altro episodio. I vigili urbani della città di Lamezia, a cui era stato assegnato il piano terra dello stesso edificio, sono addirittura scesi in sciopero per sottolineare il loro rifiuto della nuova sede. Uno sciopero rivolto all’allora commissario straordinario che amministrava il Comune di Lamezia, ma interpretato da molti come una sorta di messaggio di “vicinanza” indiretta alla cosca.
Le minacce al presidente di Progetto Sud da parte della famiglia proprietaria dello stabile erano arrivate in più occasioni: frasi come “questa casa la abitiamo noi o non la abita nessuno!”; oppure “piuttosto che farci entrare i mongoloidi, la facciamo saltare in aria!”. Parole generiche quanto si vuole, ma “indicative di un ‘metalinguaggio’ che chi vive qui ha imparato a comprendere”, dice Panizza. “Quell’edificio è, se vogliamo, un caso a sé. Per il fatto che si trova accanto alla sua casa, rappresenta per la famiglia un motivo di debolezza continua davanti alla gente della città”.
I problemi per Panizza si sono comunque concretizzati nel giugno scorso. Un esponente di spicco del clan – condannato in primo grado a 30 anni, ma appena uscito di prigione per decorrenza dei termini - ha minacciato il sacerdote davanti a diverse persone, tra cui alcuni agenti della polizia in borghese. E’ scattata quindi la denuncia, in seguito alla quale l’uomo è stato rimesso in galera in attesa del processo. All’udienza di ieri mattina, l’uomo è stato condannato ed ha ottenuto gli arresti domiciliari, ritornatesene in quella stessa casa…
La vicenda di Panizza e il clima della cittadina calabrese assumono un significato particolare alla luce della denuncia fatta nei giorni scorsi da don Luigi Ciotti sulla volontà – non ancora esplicitata dal governo – di mettere in vendita i beni confiscati alla mafia piuttosto che assegnarli a fini sociali come previsto dalla legge 109/96. Panizza non ha esitazioni nel giudicare il progetto:
“I mafiosi faranno terra bruciata attorno ai potenziali compratori, poi riacquisteranno i beni a quattro soldi usando dei prestanome. Ma tutti sapranno chi sono i veri ‘nuovi’ proprietari. E traducendo nel solito metalinguaggio, il messaggio che da loro passerà all’opinione pubblica sarà il seguente: ‘vedete? Chi comanda sono sempre io’...”.
dirigente di PP.AA. Dr. G. P. - 06-05-2004 |
la mia è una piccola idea, è possibile creare per i terreni confiscati alla mafia una forma di collaborazione fra pubblica amministrazione e privati per la creazione di campi sperimentali su nuove specie sia vegetali, che animali, da vendere ai privati, con la certificazione rilasciata dalla PP.AA., si otterrebbe un lavoro, redditizio, utile, formativo, costruttivo senza termini di progetto, in quanto spazierebbe dalla produzione al riuso dei rifiuti e delle acque reflue, e chi vuole incominciare una sua attività, la può aprire in franciasing con la ditta base. invio cortesi saluti |