La denuncia di don Ciotti
Rolando A. Borzetti - 24-10-2002
''I beni confiscati non saranno più destinati a scopi sociali, ma messi in vendita''.

“NELLE ultime settimane hanno fatto alcune riunioni riservate... si sono già messi d’accordo: i beni confiscati alle mafie potranno essere messi in vendita, e non più destinati a scopi sociali”. Solo poche parole, “annunciate con molta amarezza”, per la denuncia che don Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele e di Libera, ha fatto durante il convegno organizzato lo scorso fine settimana ad Assisi.

Una denuncia che sarà forse ripetuta martedì 29, ma in una sede molto più istituzionale: un convegno organizzato dal commissario straordinario per i beni confiscati alla mafia, Margherita Vallefuoco, e al quale dovrebbero partecipare, oltre allo stesso Ciotti, il sottosegretario al ministero dell’interno Mantovano e i presidenti della commissione parlamentare antimafia Centaro e di quella per la giustizia del Senato.

Ma come nasce il grido d’allarme lanciato dal sacerdote?

“Abbiamo dei segnali molto concreti – dicono alla sede romana del Gruppo Abele – C’è stata una riunione tra politici e tecnici al ministero del tesoro la scorsa estate, e dopo di allora ce ne sono state altre per mettere a punto i dettagli”. Si tratterebbe di una sorta di riforma della legge 109/96, grazie alla quale in questi anni è stato possibile il recupero di numerosi terreni e immobili per finalità legate sia alla sicurezza che all’accoglienza e all’educazione alla legalità.
La denuncia di Ciotti ha l’aria di essere fondata su elementi concreti, anche se il Gruppo Abele non fornisce altri dettagli. Ma alle sue parole fa eco lo stesso ufficio del commissario straordinario, dove affermano di “sperare che chiarimenti possano arrivare dai rappresentanti del governo e della maggioranza” invitati al convegno di martedì.

Beni confiscati alle mafie: esperienze di uso sociale in Italia

L'utilizzo dei beni confiscati alla mafia e assegnati per fini sociali vede in primo piano la realizzazione di scuole e strutture di solidarietà seguite da parchi, centri sociali, attività ricreative, uffici. Alcune soluzioni sono già state avviate, le esperienze in atto vengono elencate dall'Agenzia dell'associazione LIBERA che si occupa dell'uso sociale dei beni confiscati alle mafie.
“Casi reali di assegnazione”
- una ex tenuta agricola del valore di oltre 2 miliardi di lire situata tra Capua (CE) e Santa Maria La Fossa (CE) è stata assegnata nel 1999 all'associazione di volontariato ANSPI (Associazione Nazionale "San Paolo Italia" per Oratori e Circoli). L'obiettivo dell'ANSPI è quello di crearci un'azienda zootecnica e tutta una serie di infrastrutture per il tempo libero, l'integrazione multietnica e l'accoglienza. Potranno trovare collocazione lavorativa non solo giovani italiani ma anche extracomunitari.
- una villa ottocentesca di 500 milioni confiscata alla Sacra Corona Unita nel territorio pugliese è stata destinata ad un Centro di recupero per mamme tossicodipendenti del CAPS (Centro Aiuto Psico-Sociale);
- un fondo agricolo coltivato a vigneto, uliveto e frutteto è stato assegnato in comodato dall'Amministrazione Comunale di Castelvetrano (TP) nel maggio '99 alla Casa dei Giovani che in questo immobile sta realizzando un progetto di reinserimento socio-lavorativo per ex tossicodipendenti;
- un immobile sito in località Cannelleto è stato assegnato al Sindaco di Massa e Cozzile (PT), Comune nel cui ambito è situato. Uno degli elementi essenziali di tale concessione è stata la gestione nell'immobile di un'attività di pronta accoglienza per tossicodipendenti;
- un appezzamento di terreno con villa di mq. 900 siti in territorio di Trabia (PA), contrada Sant'Onofrio è stato trasferito nel '97 al patrimonio del Comune di Trabia per essere adibito a colonia residenziale per l'infanzia. Nel '98 il Comune concede, a titolo gratuito, la gestione del suddetto immobile alla Cooperativa sociale “Nuova Generazione”, che da anni svolge servizi socio-assistenziali in favore di minori, disabili, anziani e categorie di persone disagiate.

(Associazione LIBERA)



Storia di don Giacomo, prete sotto protezione, e di un centro per disabili che dovrebbe nascere nella casa dei mafiosi

I beni confiscati alle mafie e assegnati a organizzazioni di volontariato sono un’opportunità per i territori interessati, ma possono anche esporre a seri rischi. E’ il caso di don Giacomo Panizza, presidente della Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme, che da quest’estate si è aggiunto alla schiera di sacerdoti del sud sottoposti a un “programma di protezione” da parte della polizia.
Don Giacomo, originario di un paese del bresciano, trapiantato in Calabria da quasi 30 anni, viene oggi accompagnato dalla polizia in vari suoi spostamenti e sorvegliato sia sul luogo di lavoro che nei diversi luoghi in cui è impegnato: dalle lezioni all’università della Calabria, alle messe e alle processioni nei paesini, molti di montagna, che fanno parte della sua parrocchia (“E’ questo il risvolto più antipatico”, afferma). Deve inoltre consegnare ogni settimana in commissariato il prospetto dei suoi spostamenti nei giorni successivi. Il motivo del provvedimento è appunto legato a un bene confiscato. La Comunità di Panizza si era vista assegnare alcuni mesi fa 4 piani di uno stabile a Lamezia, dalla superficie complessiva di circa 850 metri quadrati. La casa ha però una particolarità inquietante: confina e condivide il cortile con l’abitazione della famiglia mafiosa che ne era proprietaria prima della confisca. Con il paradosso che gli operatori di Progetto Sud devono suonare al campanello di quella famiglia per chiedere il “permesso” di entrare. Quando ciò avviene, Panizza si fa accompagnare dalla polizia, ma in realtà fino ad oggi non c’è stato molto bisogno di accedere ai locali. “Abbiamo il progetto per la ristrutturazione – spiega don Giacomo – che prevede tra l’altro un ascensore, dato che la struttura sarà destinata all’accoglienza di disabili. Ma non ho ancora trovato nessuno, né un muratore, né un elettricista o un idraulico, che accettasse di effettuare quei lavori…”.
Attorno alla casa c’è insomma un clima di intimidazione piuttosto forte, come conferma anche un altro episodio. I vigili urbani della città di Lamezia, a cui era stato assegnato il piano terra dello stesso edificio, sono addirittura scesi in sciopero per sottolineare il loro rifiuto della nuova sede. Uno sciopero rivolto all’allora commissario straordinario che amministrava il Comune di Lamezia, ma interpretato da molti come una sorta di messaggio di “vicinanza” indiretta alla cosca.
Le minacce al presidente di Progetto Sud da parte della famiglia proprietaria dello stabile erano arrivate in più occasioni: frasi come “questa casa la abitiamo noi o non la abita nessuno!”; oppure “piuttosto che farci entrare i mongoloidi, la facciamo saltare in aria!”. Parole generiche quanto si vuole, ma “indicative di un ‘metalinguaggio’ che chi vive qui ha imparato a comprendere”, dice Panizza. “Quell’edificio è, se vogliamo, un caso a sé. Per il fatto che si trova accanto alla sua casa, rappresenta per la famiglia un motivo di debolezza continua davanti alla gente della città”.
I problemi per Panizza si sono comunque concretizzati nel giugno scorso. Un esponente di spicco del clan – condannato in primo grado a 30 anni, ma appena uscito di prigione per decorrenza dei termini - ha minacciato il sacerdote davanti a diverse persone, tra cui alcuni agenti della polizia in borghese. E’ scattata quindi la denuncia, in seguito alla quale l’uomo è stato rimesso in galera in attesa del processo. All’udienza di ieri mattina, l’uomo è stato condannato ed ha ottenuto gli arresti domiciliari, ritornatesene in quella stessa casa…
La vicenda di Panizza e il clima della cittadina calabrese assumono un significato particolare alla luce della denuncia fatta nei giorni scorsi da don Luigi Ciotti sulla volontà – non ancora esplicitata dal governo – di mettere in vendita i beni confiscati alla mafia piuttosto che assegnarli a fini sociali come previsto dalla legge 109/96. Panizza non ha esitazioni nel giudicare il progetto:
“I mafiosi faranno terra bruciata attorno ai potenziali compratori, poi riacquisteranno i beni a quattro soldi usando dei prestanome. Ma tutti sapranno chi sono i veri ‘nuovi’ proprietari. E traducendo nel solito metalinguaggio, il messaggio che da loro passerà all’opinione pubblica sarà il seguente: ‘vedete? Chi comanda sono sempre io’...”.


interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 dirigente di PP.AA. Dr. G. P.    - 06-05-2004
la mia è una piccola idea, è possibile creare per i terreni confiscati alla mafia una forma di collaborazione fra pubblica amministrazione e privati per la creazione di campi sperimentali su nuove specie sia vegetali, che animali, da vendere ai privati, con la certificazione rilasciata dalla PP.AA., si otterrebbe un lavoro, redditizio, utile, formativo, costruttivo senza termini di progetto, in quanto spazierebbe dalla produzione al riuso dei rifiuti e delle acque reflue, e chi vuole incominciare una sua attività, la può aprire in franciasing con la ditta base.
invio cortesi saluti