Nuovi scenari per il curricolo
Giancarlo Cerini - 24-10-2002
Idee per una ricerca

Durante l’estate 2002 sono apparsi, nel dibattito sul futuro della scuola italiana, nuovi documenti che ambiziosamente aspirano a prendere il posto dei programmi nazionali ancora vigenti (e che ormai, chi più chi meno, esibiscono qualche decennio di vita). L’operazione è in sé legittima, perché è necessario dare attuazione al dispositivo dell’art. 8 del Regolamento dell’autonomia (Dpr 8-3-1999, n. 275) che definisce, appunto, nuove regole per la gestione delle scelte curricolari. L’autonomia scolastica invita le scuole a progettare l’offerta formativa, a definire le caratteristiche degli insegnamenti e delle attività educative, a sviluppare forme di verifica e di rendicontazione dei processi e dei risultati.
Questo diritto di iniziativa si esplica però nell’ambito di regole nazionali. Infatti il curricolo della scuola trova le sue ragioni, i suoi fondamenti, i suoi capisaldi, negli indirizzi di carattere nazionale, nelle discipline e nei saperi che si ritengono fondamentali per le nuove generazioni. Questo determina l’equilibrio che si trova delineato nel regolamento dell’autonomia. Nel curricolo obbligatorio di scuola una quota è di carattere nazionale (indicativamente, per ora, è fissata all’85 %) e una quota, diciamo il 15%, è riservata alle scelte locali. Esiste poi la possibilità di aggiungere una fascia di arricchimento o di ampliamento dell’offerta formativa, ma in termini facoltativi. Una simile composizione, tra discipline fondamentali, quota opzionale/elettiva (però obbligatoria) e quota facoltativa, rappresenta bene il quadro dello sviluppo curricolare che si sta prospettando nella scuola dell’autonomia.
Non siamo in presenza di un “fai da te”, con casualità di approcci e di proposte, ma ad un progetto culturale che affonda le sue radici nella storia, nell’arte, nella letteratura, nella poesia, che guarda indietro per capire, affrontare la storia (le storie ?) come ricostruzione culturale del passato (e non solo come memoria). Dobbiamo dare ai ragazzi il senso dell’identità propria ed altrui; aiutarli a de-banalizzare il “quotidiano”, a scoprire il “senso” delle cose, ricostruirle, vederle in una luce diversa per apprezzarle, per non consumarle troppo in fretta… Questo è ciò che chiamiamo formazione disinteressata, ma forse proprio quella più utile per un mondo diverso dove il lavoro cambia, le tecnologie evolvono, dove servirà un’intelligenza più “curiosa” per affrontare un problema, lavorare in un gruppo, portare a termine un compito con passione.
Attraverso le proprie scelte la scuola deve riuscire a promuovere queste caratteristiche. Non si tratta di rendere più facile la scuola (proponendo solo esperienze concrete, piacevoli, partecipate, operative) o di distruggerne la sua base culturale (limitandosi a garantire la socializzazione, lo star bene insieme). La scuola ha dei compiti impegnativi di formazione culturale: deve fornire strumenti per capire, conoscere, immaginare, pensare, costruire, connettere.
Ecco perché nella scuola ci sono le materie, le discipline; non le possiamo vedere come una camicia di forza che costringe la libertà, la fantasia, la creatività dei bambini; le discipline “valgono” se liberano energie… esse pongono dei vincoli, dei confini, delle strutture, ma –appunto- “disciplinano” l’intelligenza e la mente. In questa ottica le discipline diventano contesti operativi e simbolici (campi di esperienza) e tutto questo comincia fin dalla scuola dell’infanzia, perché già a tre anni si fanno scienze, lingua, matematica, arte, musica, ecc., ed è molto più difficile farlo a 5 anni piuttosto che a 16 anni.

Il curricolo nella scuola

Gli spazi di ricerca sul curricolo devono considerare almeno tre livelli di osservazione della dimensione curricolare nella scuola “agita”:

a) il curricolo come offerta formativa effettivamente progettata, come insieme degli insegnamenti e, dunque, connessione tra i saperi in un contesto (tempi, spazi, gruppi) sostenibile e praticabile. In questa prospettiva “curricolo di scuola” è sinonimo di “piano dell’offerta formativa” (o, meglio, degli aspetti di contenuto del Pof: il core curriculum, le discipline fondamentali, l’orario obbligatorio); diventano importanti le sedi di decisione e di responsabilità nel configurare le caratteristiche dell’offerta formativa; occorre aprire spazi di dialogo e di interlocuzione attiva con i soggetti “esterni” alla scuola, per meglio contestualizzare il progetto ed arricchirlo con una adeguata conoscenza dell’ambiente sociale e culturale di riferimento; appartiene all’autonomia l’etica del “render conto”, del documentare i processi, della pratica della valutazione e dell’autovalutazione;

b) i curricoli come organizzazione formativa di un insegnamento, di una disciplina, cioè il suo caratterizzarsi come ambiente di apprendimento; è l’idea di una disciplina “a banda larga”, che facilita la connessione tra conoscenze dichiarative, conoscenze procedurali, atteggiamenti; nell’analisi disciplinare è necessario un approccio storico-epistemologico, gnoseologico:…la disciplina come vettore di conoscenza. Vanno analizzati e conosciuti gli “oggetti” delle discipline, i contesti d’uso, i gradienti di difficoltà ed i livelli di padronanza. Analogamente, è indispensabile sviluppare una riflessione sulle caratteristiche dell’apprendimento, sui suoi aspetti costruttivi, interattivi, situati e strategici; sulla sua qualità (cioè sugli elementi di flessibilità, di trasferibilità, di connessione);

c) il curriculum, come percorso formativo coerente, lungo, dai 3 ai 18 anni, caratterizzato da elementi di continuità e discontinuità; in questi anni si è investito molto sulla verticalità del curricolo (es.: scuola di base unitaria), ma non si è raccolto altrettanto (se si esclude il “successo” degli istituti comprensivi, su cui sarebbe opportuno ritornare). Cosa cambia a scuola, dai 3 ai 18 anni ? Quali sono gli elementi variabili e quali gli elementi ricorsivi del curricolo verticale; quali gli elementi “generativi” di nuove conoscenze e competenze ? Occorre riflettere sul rapporto tra elementi di primarietà e di secondarietà: sulle polarità distanza/vicinanza, testo/contesto, informale/formale, predisciplinare/disciplinare. Su questa base si può costruire il ritmo verticale (es.: per bienni) del curricolo, che dà il segno al progressivo incontro di ogni allievo con i saperi organizzati. In questo quadro sta anche la riflessione sull’organizzazione della scuola elementare, per riscoprire le ragioni autentiche della pluralità docente, nel concetto di “alfabetizzazione culturale”.

L’autonomia determina nuove condizioni di esercizio e di governo di questi diversi livelli di progettazione curricolare.

Occorre garantire alla scuola effettive condizioni operative per alimentare la ricerca sul curricolo. Innanzi tutto è necessario disporre di quadri (Indirizzi) di riferimento nazionali condivisi, frutto di un dibattito aperto e pluralistico. Si richiede poi un sistema valutativo coerente con le scelte pedagogiche e culturali, per evitare l’enfasi docimologica, la pretesa della misurabilità di ogni prestazione scolastica, l’uso tecnico (e politico) improprio che si potrebbe fare dei dati forniti da un sistema nazionale di valutazione basato esclusivamente su prove standardizzate. Agli operatori scolastici vanno forniti incentivi che stimolino un lavoro di ricerca (dipartimenti disciplinari con figure di coordinamento, risorse per consulenze qualificate, rapporti con sedi universitarie e di ricerca, tempo di lavoro). Le associazioni professionali possono rappresentare un ambiente integrato di apprendimento, ove mettere a confronto “buone pratiche”, ma anche sviluppare un impegno etico e democratico sui valori della scuola della Costituzione.


Le “bozze” di nuovi curricoli

Le bozze dei testi (2002) contenenti i nuovi indirizzi curricolari per la scuola dell’infanzia, elementare e media presentano una netta separazione redazionale tra le INDICAZIONI (comprendenti gli obiettivi specifici di apprendimento minutamente descritti, disciplina per disciplina) e le RACCOMANDAZIONI (ove ritorna uno stile argomentativi e pedagogico simile a quello dei programmi vigenti).
Non è solo questione di editing, infatti le Indicazioni assumono un carattere prescrittivo (cioè indicano gli obiettivi specifici che tutti gli insegnanti e le scuole devono obbligatoriamente mettere al centro delle progettazioni didattiche a livello di scuola, di classe ed anche di alunno. In questa ottica gli obiettivi specifici sarebbero il corrispettivo e la garanzia di quei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) da assicurare a tutti i cittadini anche in presenza di una scuola fortemente “federale”.
Tra di essi è compreso il diritto all’istruzione, come diritto da esigere e su cui, giustamente, pretendere un affidabile sistema di rendicontazione e di valutazione; anche per la scuola dell’infanzia, se vuole (come in effetti vuole) essere considerata parte integrante del sistema nazionale di istruzione (pur con qualche inevitabile rischio).
Le Raccomandazioni, invece, vogliono favorire la migliore interpretazione del “senso” delle discipline di studio, la coerenza delle scelte metodologiche e didattiche, l’esemplificazione di possibili modelli organizzativi, con qualche nuovo oggetto di interesse pedagogico (il port-folio, il laboratorio, il piano personalizzato di studio, l’insegnante-tutor, ecc.), comunque carico di forti ambiguità.
Lo stile delle raccomandazioni risulta monocorde, eccessivamente espositivo-argomentativo, con alcuni passaggi decisamente unilaterali. L’effetto ottico, soprattutto per le indicazioni prescrittive della scuola elementare, è di un eccesso di minuziosità negli obiettivi, anche perché sono reiterati su tre distinti livelli (al termine della prima classe, della terza classe, della quinta classe), per tutte le 10 discipline del curricolo (italiano, inglese, storia, geografia, matematica, scienze, tecnologia, musica, arte ed immagine, attività motorie e sportive) e per l’undicesima, l’educazione alla convivenza civile, che si articola in 6 ulteriori educazioni (educazione alla cittadinanza, stradale, ambientale, alla salute, alimentare e all’affettività).
Apprezzabile è lo sforzo di distinguere, anche graficamente, il quadro delle abilità (colonna di destra) da quello delle conoscenze (colonna di sinistra). Le une (abilità) non riconducibili ad un mero saper fare esecutivo, le altre (conoscenze) non solo meri contenuti nozionistici da acquisire. Ma, appunto, c’è un ordine logico, epistemologico, psicodidattico nella disposizione degli obiettivi sulle 11 tavole prescrittive (10 discipline + 1 “educazione”) delle Indicazioni ? O ancora, con quale libertà (o discrezionalità professionale) gli insegnanti potranno utilizzare questi materiali (prescrittivi) per costruire un quadro di obiettivi formativi , in grado di trasformare contenuti e abilità descritti a priori in elementi di effettiva formazione e crescita degli allievi, cioè in competenze legate a specifici contesti operativi (l’ambiente, i ragazzi, la didattica) ?
C’è un filo logico che lega tra di loro obiettivi specifici, obiettivi formativi, unità di apprendimento e competenze degli allievi, certamente non univoco, né pedissequo. Serve un approccio ologrammatico, scrivono con nonchalance gli estensori dei nuovi curricoli, cioè considerare sempre aperto e reciproco il rapporto tra le parti e il tutto, tra il tutto e le parti (cioè tra il ruolo dei saperi e la formazione di una persona).
Ma afferma Laura Carotti Goggi, insegnante già impegnata nella elaborazione dei curricoli “De Mauro”, mi sarei aspettata un centro nazionale (il Ministero) che dicesse: “…la comunità nazionale vuole studenti che alla fine del loro percorso (o nelle tappe intermedie) siano in grado di …… (segue l’elenco di competenze complesse, naturalmente non analitiche) e tu docente (tecnico della disciplina) analizzi e declini in procedura la competenza, individui attraverso quali passaggi specifici, obiettivi di apprendimento strettamente connessi a contenuti, uno studente può arrivare all’esercizio consapevole della competenza richiesta…”
Al di là di un dibattito che potrebbe risultare sterile (“vengono” prima gli obiettivi specifici o gli obiettivi formativi ? dove “mettiamo” le competenze ?) ci sono questioni di forte impatto per il concreto lavoro didattico degli insegnanti.
Ci si dovrebbe chiedere, ad esempio, come mai esiste e permane uno scarto consistente tra pratiche didattiche quotidiane e indicazioni programmatiche nazionali (verrebbe da dire) indipendentemente dal loro contenuto. Non basta cioè un buon lavoro redazionale, di semplice editing e di maquillage (come è avvenuto nel caso della revisione limitata degli Orientamenti della scuola dell’infanzia) per rendere utile e funzionale un nuovo testo programmatico.
C’è un problema di metodo, di tempi necessari per il coinvolgimento degli insegnanti e delle scuole in un processo di condivisione di nuovi orientamenti culturali e pedagogici, che non possono essere imposti solo con la forza della legge. Ma c’è, soprattutto, un’esigenza di individuazione di un curricolo sostenibile, cioè di una credibile sintesi tra principi pedagogici, strategie metodologiche, condizioni organizzative, assunzione di responsabilità di tutti i soggetti che agiscono nell’ecosistema formativo (in una classe, in una scuola, in un territorio).
Sembra mancare, nei nuovi indirizzi, un “baricentro” progettuale (nella vita della classe), sembra venir meno il senso del lavoro di team (ecco riaffiorare il “maestro unico”), della collegialità e della responsabilità (non è questo il significato del tutoring, una funzione “educativa” per eccellenza, che non può essere affidata ad un solo docente). Esiste il rischio palese che l’idea dei percorsi personalizzati di formazione si trasformi in una pericolosa “disarticolazione” della vita della classe o del gruppo di coetanei (dove ci si forma e si dà anche un valore esistenziale all’apprendimento, come giustamente rivendicano i nuovi indirizzi pedagogici), per fare posto a storie scolastiche variamente “composte” (i piani di studio personalizzati) e gestite dallo stesso studente, secondo un’idea affascinante ma anche prematuramente rischiosa.
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