Una guerra pacifista
Salvatore Camaioni - 21-10-2002
Non so se qualcuno ha notato come me l'imbarazzato silenzio dei rappresentanti politici e delle cosiddette istituzioni quando si denuncia la contrarietà della guerra al dettato costituzionale.
Talvolta si è cercato di eludere il problema sviando l'attenzione sugli impegni internazionali dell'Italia, talaltra tentando di camuffare la dura realtà della guerra sotto etichette di comodo, come quando si parla di guerre umanitarie, di operazioni di polizia internazionale.
Ultimamente qualcuno, rivangando il vecchio adagio latino "si vis pacem para bellum", cerca di introdurre il concetto, davvero ardito, di guerra pacifista.
Il silenzio più 'rumoroso', per così dire, è quello del Capo dello Stato, a cui spetta principalmente il còmpito di custode della Costituzione.
Né si potrebbe dire che il silenzio è giustificato dalla inattualità del problema, perché è vero il contrario: da quando è finita la guerra fredda e si pensava ad un lungo periodo di pace i conflitti bellici (Jugoslavia,
,Afghanistan, Iraq ) che hanno coinvolto l'Italia sono stati non occasionali ma anzi tanto frequenti nell'arco di un decennio da rendere ormai ineludibile una chiara ed inequivoca presa di posizione sulla
compatibilità o meno della guerra con il nostro ordinamento giuridico.
E ciò tanto più che sembra purtroppo profilarsi l'apertura imminente di una ulteriore fase bellica, che si preannuncia molto più devastante, lunga ed
incerta negli esiti finali complessivi di quella appena conclusa con la presa dell'Afghanistan. Insomma, nel momento in cui l'Italia mette l'elmetto per andare alla guerra si vorrebbe che questo sia frutto di una decisione responsabile, adottata senza l'elusione dei problemi, non soltanto etici e politici, ma anche giuridici che la scelta bellicista implica.
E sotto tale ultimo profilo bisogna prendere posizione, adesso, sull'art.11 della Costituzione, che afferma il principio fondamentale per cui " l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli
altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Si tratta di una delle dodici disposizioni che compongono la parte introduttiva della nostra Carta costituzionale, cioè quella più importante
perché indica i principi su cui si fonda la repubblica. La norma, che non ha un significato puramente ideale ma ha valore precettivo, cioè cogente, non
lascia àdito a dubbi sulla scelta pacifista della Costituzione.
La guerra, infatti, viene contemplata come oggetto non tanto di un generico divieto ma di un vero e proprio "ripudio", espressione che meglio di altre denuncia il disgusto etico-politico e l'inappellabile condanna per questa barbara forma
di confronto tra popoli.
La Costituzione ripudia la guerra sia "come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli", cioè come mezzo di conquista, sia come "mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", cioè come affermazione violenta delle (presunte) ragioni, proprie o altrui. In altri e più riassuntivi termini, l'Italia condanna e vieta -a sé stessa- le guerre offensive: resta invece non soltanto consentita, ma anzi doverosa (art.52 Cost. "la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino") la sola guerra
difensiva, quella cioè che deve essere ingaggiata per difendere il suolo patrio da aggressioni esterne. Peraltro il concetto di difesa legittima non può assumere carattere preventivo nel senso esplicitato dall'America, perché altrimenti sarebbe facile svuotare di significato il chiaro divieto costituzionale.
Il pericolo di aggressione esterna da evitare con una
legittima azione bellica, cioè deve essere incombente e non soltanto futuro, o peggio ipotetico o virtuale.
Se alla luce di queste considerazioni si riguardano le guerre cui l'Italia ha sinora partecipato, si vede che nessuna di queste presentava i requisiti dell'azione bellica di tipo difensivo e dunque l'amara conclusione
è che l'Italia, già da un decennio, fa strame di un principio fondante del suo ordinamentocostituzionalenell'indifferenza e spesso nella festosa soddisfazione di molti, e delle istituzioni in blocco, che salutano con orgogliosa fierezza il nuovo volto interventista assunto dall'Italia.
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