Obliquity
Vittoria Menga - 11-10-2010
Il successo è ricerca, non conquista. Lo sostiene John Kay, studioso scozzese, nel suo libro "Obliquità. Perché i nostri obiettivi si raggiungono meglio indirettamente". La strada che ognuno di noi percorre per raggiungere successo e felicità non è quella più breve e più facile. I sentieri dell'esperienza sono contorti, impervi, pieni di curve, come siamo contraddittori e incerti tutti noi, semplicemente perché siamo persone, e persona significa complessità. Il percorso a zig-zag fotografa meglio la complessità della dimensione umana. Secondo Kay, è impossibile andare avanti senza commettere errori e senza superare ostacoli, in un percorso lineare. In sintonia con questa visione chiaroscurale mi sembra la nuova pedagogia rilanciata dal Festival dell'errore di Parigi del 21 luglio scorso. "Détrompez-vous" significa deviare dalla strada principale, ma la storia insegna che le migliori scoperte sono avvenute per caso o per errore. Sbagliando si impara. Le peregrinazioni non sono solo perdita di tempo, ma quel tempo perduto si rivela a posteriori utilissimo e prezioso.

Mi sembra una riflessione utile, visto che il dibattito pedagogico nostrano è orientato verso altri lidi. L'enfasi che circonda il lessico oggi in voga con parole come "merito", "qualità", "successo formativo", "credito", "eccellenza", getta una luce sinistra su un curriculum che non sia adamantino come il cavaliere senza macchia. Il prestazionismo dilaga, frustrazioni e nevrosi si alimentano di questo clima. Si sollecita l'arroganza, l'invidia, la voglia di barare, il disprezzo per chi viene considerato "mediocre", il bullismo. La demonizzazione dell'errore, la competizione, sono controindicate in campo formativo.

Per crescere insieme nel rispetto della diversità il clima più favorevole è quello sereno e collaborativo dell'accoglienza, perché ognuno ha una ricchezza da offrire, anche fuori dagli standards. Basti pensare alle scoperte di Howard Gardner sulle varie forme di intelligenza che in ognuno di noi si manifestano in combinazioni sempre originali e imprevedibili. I tempi di ognuno sono diversi e i sentieri a zig-zag irriducibili e del tutto personali. Viene in mente Heidegger. La vita, come la filosofia, non consiste nel raggiungere mete, risultati e verità, ma è un insieme di percorsi, di itinerari. E' ricerca continua: "Wege, nicht Werke". Itinerari, non risultati. Domande, non risposte definitive. La formazione come abito mentale, come abitudine a pensare. I sistemi formativi dovrebbero essere rispettosi di questa complessità, allineandosi alle nuove frontiere delle neuroscienze. La pressione sociale serve solo a premiare, darwinianamente, il più adatto.

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Virginia    - 13-10-2010
Grazie per questo importante e illuminante contributo!

 Marco Tutema    - 13-10-2010
Bravissima.