Le menzogna della scuola ovvero colloquio per un comando al ministero dell'Istruzione
Francesco Di Lorenzo - 15-07-2010

Racconto inventato.

Il candidato non appena si siede di fronte alla commissione, si accorge subito di aver sbagliato luogo. Vorrebbe scappare ma non può. Sembrerebbe troppo strano. Allora inizia a giocare. Il tavolo rettangolare è lunghissimo: due donne ai lati, un uomo e una signora vestita di nero di fronte a lui.

Quella di destra è una donna 'discuola' che avevo già notato in corridoio camminare incollata al cellulare. Inizia col farmi una domanda. Proprio lei. Premette che la domanda non è sua, la fa generalmente la signora in nero, per iniziare. Ma, intanto, la fa lei. Penso per rispetto gerarchico. Infatti, mi spiega che la signora in nero, che è la perfetta e riuscita imitazione della signora Moratti, ex ministro dell'istruzione, è il capo di tutto l'ambaradan.
La domanda è di una stupidità eccezionale: 'Per quale motivo avrei deciso di presentarmi lì'. Deludo subito tutti: accentuando il volevo ( per far capire che in quel momento molto meno), dico che volevo fare un'esperienza. Le due signore si guardano schifate.
Poi inizia una commedia abbastanza ridicola. Sempre la donna 'discuola' parla della riforma della secondaria che andrà a regime da settembre. Io la fermo dicendo che il Tar ha posto qualche problema al suo avvio. Cadono dalle nuvole. Scuotono la testa: dicono che non è vero. Mi chiedono da dove io abbia preso questa notizia. Dico che leggo i giornali. Loro non ne sanno niente. Interviene l'unico maschio. È un preside molto intelligente, con l'aria annoiata. Dice che questa notizia è falsa. È uscita su un unico giornale e il ministero ha già risposto. Sono solo stati richiesti dei chiarimenti e non è un blocco. Sarà? Le altre non lo sanno. È evidente cosa pensano dei giornali. (Una volta a casa, controllo sulla rete. Siti di riviste specializzate e blog, sono pieni della notizia. Ergo: i signori della commissione non frequentano la rete).
Sollecitato da una domanda inizio il racconto di come mi sia trovato coinvolto, negli anni novanta, in un progetto contro la dispersione scolastica. La signora in nero si spazientisce. Mi dice che loro conoscono bene i fatti del ministero. Spalleggiata dalla donna 'discuola', mi chiede di passare a cose concrete, a come mi organizzavo io in quel contesto. Mi sembra il ritornello del preside nel film La scuola di Lucchetti: 'Prof, qui non si fa poesia'. Io volevo arrivarci attraverso il racconto, ma capisco che non è il momento.
Poi arriva la domanda clou. La fa la signora in nero, il capo. Mi chiede: se io avessi a disposizione 60mila euro e dovessi far partire un aggiornamento in tutta la regione per l'avvio dell'anno scolastico, cosa farei?

Sbaglierò, ma a me sembra una domanda così inutile che mi verrebbe voglia di andarmene subito. Poi si fa strada in me l'impressione che avessero uno schema di risposte precostituite. Mi spiego. Alle loro sollecitazioni non vogliono sentire altro. Vogliono, come le mamme e le maestre di una volta, la parolina esatta. Semmai avrebbero anche voglia di suggerirti la letterina iniziale. (Qui, per esempio, ho capito in ritardo, avrebbero voluto che io dicessi che in così poco tempo, e con così pochi soldi, l'unico modo per raggiungere la maggioranza degli insegnanti, sarebbe stato l'aggiornamento online, attraverso la rete, un social-network, l'e-learning).

Ad un certo punto ho la grande e opportuna capacità di pensare veramente ad altro, di estraniarmi completamente. Con grande disappunto della donna 'discuola'. Infatti, mi pone una domanda, che non ricordo assolutamente, ma è collegata alla riforma delle superiori. Lei vuole che io ripeta esattamente quale parola è stata usata nel testo della legge. Io cerco di ragionare. Lei dice di aver capito, ma che sono troppo generico. Vuole che dica quella frase, le parole precise. Al che io che sono ormai sono perso dietro i miei pensieri, ai miei figli che da una settimana non vedo, rispondo brusco: 'guardi la frase non la so, se pure l'ho letta non la ricordo'. E mi giro dall'altra parte. Guardo la signora in nero, il capo. È sbalordita. Apre gli occhi per evidenziare il suo disappunto. Ad una certo punto sento le domande della donna 'discuola', ma neanche più mi giro a guardarla. Ho fame e voglia di andarmene. Poi faccio la mia bella figura. Pronuncio, mentre parlo di materie e di superamento delle discipline, la parola interculturalità invece che interdisciplinarità. Apriti cielo. Nonostante mi scusi più volte per la confusione, la donna 'discuola' continua a dire che sono cose molto distanti. E che fanno capo ad ambiti diversi. Invece di contraddirla, la ringrazio per la precisazione.
Gli ultimi minuti li trascorro parlando in forma molto colloquiale con il preside. Non mi ricordo neanche bene cosa ci siamo detti. Tutti e due, si capisce, abbiamo voglia di smettere quella sceneggiata e magari mangiare qualcosa, vista l'ora. O bere, per il caldo. Magari, bevendo e mangiando, il preside, potrebbe dire qualcosa, sfogarsi con le colleghe della commissione. Me lo vedo che sbotta e come un fiume in piena, dice: ma com'è che facciamo queste domande così idiote? Com'è che li vogliamo subito e solo tecnici e mai pensanti, con una qualche opinione? Perché non chiediamo, invece di come spendere sessantamila euro, quale concezione hanno della scuola? Che cosa rappresenta oggi per loro la scuola? In che contesto sociale stiamo vivendo? Quali aspettative possiamo tutti insieme dare a chi frequenta la scuola? In che modo darle? Com'è che non siamo mai riusciti a fare una riforma condivisa? Perché tutte le norme importanti che riguardano la scuola, devono essere inserite in leggi che con la scuola non c'entrano niente? Che danno o che beneficio hanno prodotto i cinquant'anni di monopolio catto-democristiano nella scuola? Da che storia scolastica veniamo? Perché la valutazione del sistema scolastico italiano è così difficile da fare e da definire? Quale fiducia si ha ancora nell'istituzione scuola? Oltre ad interessi, orticelli e potere, cosa abbiamo seminato nella scuola italiana?

Naturalmente tutto ciò non è avvenuto. Ho solo sognato ad occhi aperti. Invece, civilmente, ci siamo stretti la mano. Per ultimo l'ho stretta al preside e l'ho guardato. E mi è venuto un dubbio. Vuoi vedere che è uguale agli altri?

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