Il vero fallimento di Berlinguer
Marino Bocchi - 08-07-2001
Mercoledì il Governo presentera’ al Parlamento il DPEF (Documento di programmazione economica e finanziaria) il quale conterra’ anche le linee guida sulla politica scolastica del prossimo anno elaborate dai tecnici del Ministero. Stando alle notizie anticipate da Il Sole 24 ore del 4 luglio, in un articolo intitolato Scuola, gli insegnati valutati per «merito», tali linee guida “tracceranno una riforma della professionalità, della carriera e dell’orario di lavoro degli insegnanti pubblici. Queste misure si inseriscono nel più generale quadro di riferimento già anticipato dal ministro Moratti, che vede fra le priorità la centralità dello studente, la qualità dell’insegnamento e la valutazione, appunto, del sistema d’istruzione”. Opportunamente, Il Sole ricorda che “Il nodo del «merito» è delicatissimo: proprio il tentativo di introdurlo, con il «quizzone» che provocò la rivolta degli insegnanti, costò la poltrona, un anno fa, all’allora ministro Luigi Berlinguer”.
Dubito che la stessa sorte tocchera’ anche a colei che Bernocchi, leader dei Cobas, chiama “la manager Moratti”. Non solo perche’ il governo e’ molto piu’ solido di quello di D’Alema ma in quanto la situazione nel frattempo e’ cambiata, tra gli insegnanti si respira un’atmosfera mista tra rassegnazione e assuefazione, con punte di convinta adesione e altre di convinto sconforto. La sterzata del ministro si inserisce in un quadro di totale smarrimento della sinistra e dei sindacati confederali. Sulla questione del rinnovo del contratto dei metalmeccanici, la Triplice ha proceduto in ordine sparso, Cisl e Uil firmando un accordo separato con il padronato, la CGIL, tramite la federata Fiom, promovendo uno sciopero nazionale della categoria. Sulla questione del “merito”, la CGIL rischia seriamente l’imbarazzo. Durante la gestione Berlinger, ha fatto da cinghia di trasmissione: si’ all’autonomia, alla riforma dei cicli, al concorsaccio. Adesso sembra preparare le armi unicamente per difendere la riforma dei cicli e i diritti dei precari pubblici oggetto del famigerato decreto di fine giugno.
“Quando in autunno riprenderanno le attività scolastiche – ha detto Cofferati - metteremo in campo gli elementi di contrasto che sono necessari per cercare di ritornare alla riforma dei cicli scolastici così come era stata varata» (Il Tempo, 7 luglio). E sul Corriere della sera dello stesso giorno, Andrea Ranieri, segretario generale della formazione e ricerca della CGIL, ha aggiunto: “Sosterremo con forza tutte quelle scuole ed autonomie locali che hanno investito nei progetti di sperimentazione e che vorranno proseguire nell'impegno di qualificare la scuola pubblica».

Stessa musica esce dalle stanze dei DS. Il capogruppo al Senato Gavino Angius promette battaglia: “«Chiediamo - spiega l’esponente diessino - che il governo venga subito in Parlamento perché è molto grave e inaccettabile l’annuncio del ministro Moratti di aver cancellato con un atto amministrativo una riforma approvata dalle Camere. E’ stato un atto di restaurazione che non ha precedenti» (La Stampa, 7 luglio). Lo schieramento dei Ds e delle associazioni professionali che ad esso fanno riferimento e’ compatto, per una volta almeno unisce dalemiani e non. L’offensiva iniziata da Berlinguer, con l’appello alla disobbedienza civile rivolto ai presidi, invitati ad avviare la riforma non tenendo conto dello stop dell’attuale ministro, sara’ portata avanti anche dal CIDI, Centro d’iniziativa democratica degli insegnanti, il cui presidente Alba Sasso, deputata Ds, non ha dubbi: “La decisione del ministro della Pubblica istruzione Letizia Moratti di ritirare i provvedimenti attuativi della legge dalla Corte dei Conti è molto grave e fa precipitare la scuola in un empasse totale…Nessun compromesso è possibile, e ancora meno in un settore delicato come quello dell’educazione dei nostri figli, che devono formarsi per essere cittadini europei e di un mondo globalizzato» (Espresso Online, 5 luglio).

E’ sconcertante e avvilente che la sinistra politica e sindacale si prepari a concentrare i propri sforzi sulla difesa della riforma dei cicli mentre verosimilmente tirera’ i remi in barca a proposito dell’introduzione del principio del “merito”, destinato a incidere in maniera profonda sugli assetti della scuola italiana. Sconcertante e avvilente perche’ non si tratta di un provvedimento qualsiasi ma del principio intorno a cui ruotera’ tutto il programma di politica scolastica del centro-destra e credo sia per questo che la Moratti, persona intelligente e decisa, di grande temperamento, abbia voluto inserirlo nel DPEF, in coerenza con le sue tradizionali posizioni, espresse ad esempio dal manifesto per una Scuola libera, promosso da Ferdinando Adornato nel ‘99 e da lei sottoscritto insieme a molti esponenti di Confindustria, fra cui Cesare Romiti.
Il principio del “merito” (applicato alla dirigenza scolastica, ai docenti, ad ogni singola scuola nel suo complesso) rinvia ad altri temi cari al centro-destra: centralita’ del preside manager, competitivita’ tra gli istituti privati e pubblici a parita’ di condizioni di partenza (cioe’ di finanziamenti), standard di efficienza fissati da un Ente esterno per la valutazione dell’organizzazione scolastica, come scrive su il Sole 24 ore dell’ 8 luglio Attilio Oliva, in un articolo dal titolo emblematico: Valutare i docenti, premiare i migliori. E in un altro intervento sullo stesso tema, Andrea Casalegno (Le tre sfide della Moratti), facendo un bilancio dei primi trenta giorni del ministro, ammette di apprezzare le misure finora prese, tranne una “lieve”sfumatura contenuta nel decreto precari, a proposito della equiparazione di punteggio tra insegnanti privati e pubblici, in quanto “la discrezionalita’ con cui gli istituti privati procedono alle assunzioni solleva effettivamente gravi dubbi sull’equita’ di tale decisione”. L’apprezzamento di Casalegno non era scontato, dato che il giornalista confessa che “per convinzioni politiche ho sempre fatto e faccio tuttora parte della Sinistra”.

Anche Giovanni Cominelli, che ha scritto il precedente editoriale di Fuoriregistro (Il fallimento di Berlinguer), ha sempre fatto e fa tuttora parte della sinistra ed e’ stato un membro della Commissione nazionale scuola dei DS. Cio’ che Cominelli rimprovera a Berlinguer e’ di non essere stato abbastanza deciso e conseguente rispetto alle premesse (e promesse). In particolare di essersi fatto condizionare dall’apparato burocratico-corporativo costituito dall’intreccio tra amministrazione e sindacati. E’ probabile che la Moratti non avra’ le stesse titubanze e incertezze di Berlinguer nel portare a compimento il suo disegno di riordino complessivo della scuola italiana sulle basi tratteggiate nel paragrafo precedente e su altre che si aggiungeranno, a cominciare dal rafforzamento del ruolo della formazione professionale, finalizzata all’avviamento precoce al lavoro degli studenti non adatti a seguire i percorsi formativi frequentati dalla futura classe dirigente. La Moratti, dunque, rischia di piacere a molti intellettuali di sinistra e non e’ da escludere che alcuni di questi collaboreranno con lei nel lavoro di smantellamento della scuola “centralista e statalista”.

Meritocrazia, competitivita’, selezione precoce dei “migliori”, controllo della qualita’ dei risultati formativi e dell’efficienza organizzativa dei singoli istituti, maggiori poteri ai presidi, compreso quello di assumere discrezionalmente e licenziare, integrazione piena tra pubblico e privato sulla base di finanziamenti e standard comuni, integrazione col mercato, ingresso degli sponsor nelle scuole migliori: come si vede, e mi scuso per la ripetizione, tutto ruota attorno alla figura del “merito”. Per conquistarsi questo “merito” le scuole si faranno la guerra tra loro, cercheranno di accaparrarsi i finanziamenti delle imprese presenti sul territorio e i docenti piu’ bravi, i quali a loro volta, per essere accaparrati e meglio pagati, si uniformeranno strettamente ai criteri di misurazione della qualita’ del loro lavoro, quindi fine della liberta’ di insegnamento, omologazione, conformismo, frantumazione della categoria . E poi: connivenze e ripiegamento sulle esigenze del mercato, dunque riduzione progressiva dei margini di autonomia delle scuole, a cui andra' aggiunta l’analoga e ulteriore perdita di autonomia dei docenti e degli alunni, costretti, questi ultimi, ad una competizione selvaggia per emergere; sommersi dalla filosofia del merito, i ragazzi vedranno aumentare i rischi tipici dell’eta’: lo stress, le paure, le ansie, l’aggressivita’ verso sé e gli altri.

Ridotto a variabile indipendente, da sottoporre a una misurazione fredda, oggettiva, a rigidi standard di qualita’ che non tengono conto delle infinite e mutevoli identita’ e diversita’ che costituiscono la ricchezza della scuola italiana, il principio del merito che il ministro si appresta ad inserire nel DPEF cosa ha a che fare con l’articolo della Costituzione italiana in cui si dice che la scuola deve premiare gli alunni piu’ meritevoli? In quella cornice, tale concetto ha ben altro significato: e’ la misura di un impegno da parte della scuola pubblica, pluralista, finanziata solo dallo Stato come garanzia della sua indipendenza, a rimuovere le cause che impediscono l’emergere della personalita’, degli interessi, delle aspettative, secondo strategie e modelli di approccio del tutto estranei a quelli proposti da questo insano connubio di destra e sinistra. In tale ottica, il momento della valutazione del lavoro docente avviene a due livelli: a monte, attraverso un monitoraggio continuo dell'amministrazione centrale tramite il dirigente scolastico, il quale giudica anche in base alle condizioni socio-culturali e materiali in cui opera il proprio istituto; a valle, grazie al controllo esercitato dalle famiglie, dagli alunni e dagli stessi docenti i cui organi di rappresentanza vanno ridefiniti e rafforzati nelle competenze, sottraendo parte di quelle attualmente riservate al Consiglio di Istituto

Il vero fallimento di Berlinguer, della sinistra, dei sindacati (primo fra tutti la CGIL) e’ stato quello di aver cercato di introdurre nella scuola concetti, modelli, strategie tecnocratiche e implicitamente autoritarie, a cominciare dall’inizio: da quella perversa, distorta forma di autonomia che ha finito e finira’ per imprigionare le scuole e le coscienze di chi ci lavora, al posto di quella vera, autentica autonomia che e’ innanzitutto tale se libera il lavoro e le menti dall’obbligo di dover subire i condizionamenti esterni. Per questo la titubante opposizione della Sinistra e’ destinata a fallire. E proprio per non aver capito che la modernita’ che ha voluto abbracciare e’ quella che lo status quo politico-economico ha deciso di darsi per perpetuare se stesso. In tutt’altro contesto, dello stesso concetto parla Scalfari nell’Editoriale di Repubblica dell’8 luglio (Dove ci portano i finti moderni), citando il dizionario curato da Kundera per Le Monde.
“Fino a qualche tempo fa i conservatori erano quelli che volevano conservare lo status quo. Ma improvvisamente lo status quo e’ entrato in movimento e scorre come un tapis roulant verso la modernita’. Cosi’ anche i conservatori si muovono con esso. E i moderni veri sono costretti a essere antimodernisti”.
Ma, a parte che il “riformista” Scalfari dovrebbe ritorcere questa bella frase di Kundera, suggerita da Gombrowicz, contro se stesso, la traduzione non rende l’originale, che preferisco.
“....tandis que, jadis, l'homme vivait dans un même décor d'une même société apparemment immobile, le moment est venu où, soudain, il a commencé à sentir sous ses pieds l'Histoire tel un tapis roulant : le statu quo était en mouvement ! D'emblée, être d'accord avec le statu quo fut la même chose qu'être d'accord avec l'Histoire qui bouge ! Enfin, on a pu être à la fois progressiste et conformiste, bien-pensant et révolté !..... aujourd'hui, le seul modernisme digne de ce mot est le modernisme antimoderne» (Le Monde, 4 luglio).




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