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Caro Pinocchio, corriamo tutti insieme a te
Vita no profit - 04-10-2002
In anteprima l'editoriale di Vita magazine in edicola da sabato, dedicato al film di Benigni, manifesto di una società civile disobbediente ma positiva

Bentornato, carissimo Pinocchio. Non sai la nostra contentezza nel vederti di nuovo qui, a scapicollarti tra quegli orribili marziani, mostri, eroi più di plastica che di cartoon. A sentirti correre “a salti come una lepre”, con quelle tue gambette di legno che sul selciato fanno “un fracasso, come venti paia di zoccoli da contadini”. Ti hanno sempre liquidato con quel ridicolo stereotipo di bugiardo, scambiando la tua voglia di vivere, di guardare e curiosare il mondo per una colpa. Ma ora che ritorni, al tuo naso lungo non farà caso nessuno. Perché di bugiardi è pieno il mondo, mentre di ragazzi che non stanno nella loro pelle, che non fanno i burattini, se ne vedono in giro sempre meno. Tu che sei finto, che sei nato da un pezzo di legno, hai più carne addosso, hai più occhi, più gambe, più orecchie di tutti noi. Ha detto di te Roberto Benigni (uno che certamente conosci bene) che non c'è stato verso di educarti, girando il film con le tue straordinarie avventure. “È stato un film disobbediente, proprio come Pinocchio” ha detto Benigni. “Ma aveva un cuore grande e l'unica cosa che si poteva fare era seguirlo dove voleva, perché in questa favola ci sono tanti di quei regali che non ci si raccapezza: l'avventura, il dolore, il rimbombamento della vita, l'allegria, lo sconforto, la crudeltà, l'eroismo, l'amore che si arrampica dappertutto”.

Benigni certamente è uno che ti ha capito. Non s'è inventato interpretazioni strane sul tuo conto. Non ha mascherato l'impeto di curiosità, l'ingenuità, la sfacciataggine, l'affettività che ti spinge ad agire. Tu sei l'avventura della conoscenza della realtà; in te riconosciamo l'impeto irripetibile di quella stagione della vita umana in cui ad occhi sgranati si divora tutto quello che ci viene incontro: nulla è estraneo, nulla è nemico. In tutto il libro (pardon, il film) tu continui a correre. Corri a perdifiato a destra a manca, in su e in giù. Corri per scappare o corri per andare incontro a qualcosa che ti attira. Ma corri, corri sempre. A nessuno viene in mente di chiederti il perché: intanto è chiaro a tutti che tu corri perché hai la vita che ti scoppia dentro, perché c'è sempre una positività che ti attira, anche se ti sta ficcando in un guaio. Anche quando hai davanti il peggior ceffo della terra.

Poi, siccome la fortuna non bacia i forti, ma gli entusiasti, hai avuto la buona sorte di incontrare sulla tua strada personaggi, anzi adulti, che ti hanno amato per quello che eri. Prendi la fata Turchina. Lei ti ha amato così come sei. In cuor suo le piacevi così, bizzarro e ribelle sempre pronto a tornare a chiedere perdono alla porta di casa. Le piaceva, come piace a tutti noi, la dinamica commovente di un piccolo scapestrato che impara non in virtù delle punizioni che subisce ma per la felicità di averla scampata un'altra.
E poi c'è quel tuo stupendo papà. Che prima ti vuole (e al giorno d'oggi è già fatto raro), poi si fa mettere in galera per te. Poi ti insegna quelle poche, semplici regole per imparare a rispettare gli altri, le cose, il mondo: ti ricordi quando ti disse che non si buttano le bucce delle pere, perché sprecare è un peccato? Una regola semplice, che tu hai sperimentato subito nella sua bontà. Un gran tipo tuo papà, sempre pronto ad aspettarti a braccia aperte, incapace di pensare una sola pretesa nei tuoi confronti. Si è visto quanto quell'uomo semplice fosse un grand'uomo, quando l'hai ritrovato nel ventre della balena. Allora è stato scritto che a “quella vista il povero Pinocchio ebbe un'allegrezza così grande e così inaspettata». Cosa possiamo augurare a un ragazzo o una ragazza se non di sperimentare, prima o poi, una simile «allegrezza» e in forza di quella diventare grandi?
C'è un piccolo particolare della tua avventura che ci ha sempre colpito. Alla fine, quando ti sei messo sulla retta via, avevi comperato “per pochi centesimi un grosso libro, al quale mancavano il frontespizio e l'indice”. Un libro senza frontespizio e indice? Sembra una bizzarria. Invece con quella scelta ci suggerisci che l'avventura educativa non può mai ridursi a formule o a itinerari preordinati. Si deve accettare il rischio di non sapere dove finirà quel libro, desiderando sempre che in ogni pagina contenga una situazione in grado di stupirci e di prenderci per mano. Grazie Pinocchio di essere tornato, di aver per un momento spento le luci su quei noiosissimi eroi disneyani, tutti uguali tutti finti.

A proposito quel Benigni che con entusiasmo e bravura ti ha spintonato di nuovo sulla scena, ha avuto un'idea:
“Che bellezza, Pinocchio. Mi vien proprio voglia di mandare un mazzo di rose a Collodi”. Sai che quasi quasi lo mandiamo anche noi.

Anteprima di Giuseppe Frangi

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 Gianni Mereghetti    - 05-10-2002
Carissimo Roberto Benigni,
io non so se il film renderà al meglio l'idea ( sono curioso di vederlo!), ma che la differenza fra Pinocchio e Lucignolo stia nel fatto che il burattino abbia avuto una Fata che gli ha voluto bene mi sembra straordinario. Del resto è questo il problema serio di oggi, del bambino, del giovane, come dell'adulto, non sapere essere qualcuno, bensì incontrare sul faticoso cammino dell'esistenza uno sguardo ricco d'amore. Lo aveva già detto a chiare lettere Cesare Pavese, "nessuno che mi degni di uno sguardo di simpatia totale!", lei lo ha espresso con estrema efficacia nelle interviste che appaiono oggi sui quotidiani, togliendo l'equivoco del moralismo con cui spesso abbiamo guardato Pinocchio. Qualcuno che gli vuole bene per quello che è, questo fa del burattino più noto della storia un essere umano, qualcuno che vuole bene a lei, a me, ad ogni persona, questo è ciò che ci fa felici. Non lo sforzo di essere buoni, di non dire bugie, di obbedire alle regole, ma uno sguardo d'amore totale, questo, ossia incontrarlo, apre all'uomo la strada del suo destino.
Grazie, carissimo Benigni, di avercelo ricordato.

 Paola    - 19-10-2002
Condivido.
Ritengo che, in questo senso soprattutto, il regista abbia saputo dare l'interpretazione più vera e autentica del testo collodiano.