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«Noi , i veri global»
La Stampa - 01-10-2002
«NAOMI Klein gets global», scrivono quotidiani, riviste e siti nordamericani.
La vestale del movimento di Seattle è passata dall´altra parte, è diventata global?
No, risponde lei: lo è sempre stata Molto più dei manager della Silicon Valley. Esce, in Inghilterra, Canada e Stati Uniti, il nuovo libro della Klein, "Fences And Windows: Dispatches From The Front Lines Of The Globalization Debate" (Vintage, pp. 267, $22.95), che in italiano potrebbe suonare più o meno «Steccati e vie d´uscita: cronache dai luoghi di frontiera del dibattito sulla globalizzazione».


Nelle stesse ore Naomi, abitualmente scrupolosissima nel curare i suoi logo e parca nel concedere interviste, discute del saggio con una rivista di San Francisco .
Dopo, si lancia in un tour pubblicitario che prevede presentazioni pubbliche; chiacchierate coi giornalisti anglosassoni interessatissimi alla sua casetta di Toronto e al matrimonio con la star della Cbc Avi Lewis; spezzoni di conversazione come questa: «Il quotidiano australiano The New Statesman ha detto che io sarei come bin Laden, il titolo era "Quando bin Laden incontrò Naomi Klein". Beh, come se i miei telefoni non fossero già abbastanza intasati...».
In effetti. Da quando questa trentenne canadese ha scritto No Logo (pubblicato in italia da Baldini & Castoldi), provare a chiamarla o a contattare la sua pazientissima assistente Christina Magill è difficile quasi come chiedere un appuntamento a George W. Bush. Perché tutti chiamano Naomi e tutti, in teoria, avrebbero diritto di essere ascoltati: i giovani del movimento internazionale ogni volta che si avvicina una scadenza (la prossima è dal 6 al 9 novembre al Forum sociale europeo di Firenze), nonostante lei, adesso, ripeta «non sono il portavoce di nessuno»; i media; persino creativi del marketing, che hanno scoperto nel suo No logo un´efferata arma pubblicitaria.
Come chiosò l´Economist: «Questo No logo ormai è un logo».
Con rispetto parlando, l´accusa rivolta a quella che è stata definita «pin up rivoluzionaria» oppure «guru-glam» potrebbe essere male indirizzata, un po´ come rinfacciare a un comunista di esser ricco di famiglia. Naomi non è comunista (benestante sì) e, quel che conta, nel nuovo saggio spiega di rivolgere al liberismo la vera critica global: «Il paradosso dell´etichetta imposta dai media, antiglobalizzazione, è evidente. Proprio il nostro movimento ha trasformato la globalizzazione in una realtà di fatto. La globalizzazione l´abbiamo prodotta noi, presunti antiglobal, forse più dei manager delle multinazionali» .
Serve una prova? Leggete la prefazione su nologo.org: «Abbiamo messo in contatto coltivatori senza terra in Brasile, insegnanti in Argentina, impiegati part time nei fast food in Italia, lavoratori nelle piantagioni di caffè in Messico, emarginati delle bidonville in Sudafrica, televenditori in Francia, emigranti nei campi di pomodoro in Florida, sindacalisti nelle Filippine, ragazzi senza casa di Toronto, la città dove vivo...».
È la globalizzazione, bellezza. E tu puoi farci qualcosa. È la tesi centrale del nuovo libro, che unisce resoconti apparsi su quotidiani come Globe and Mail, Guardian, Los Angeles Times, più una serie di interventi inediti. «Non è un seguito di No Logo», ammonisce Klein. Al limite, è un No logo che diventa pamphlet, quello dottrinario, questo di pronto intervento. ««È come se No Logo avesse avuto un figlioletto maoista», scherza l´autrice. ««Il movimento - sostiene - sta vincendo con gli argomenti, guardate la crisi della Enron e del capitalismo della corporate governance, ma sta perdendo la guerra. Un mucchio di nostre tesi sono diventate mainstream, opinioni di larga diffusione. Eppure...». Eppure il movimento è anche appannato. Dopo l´11 settembre «ha dovuto subire una pesante repressione ovunque». Ha idee spuntate, sembra, contro la futura «guerra economica» all´Iraq. Bisogna arrendersi? No: occorre lavorare sui molti «fences», gli steccati del protezionismo neoliberista, che mostrano usura. Le «windows», le vie d´uscita? «Si intravedono proprio nelle zone di crisi come il Sudamerica». Un esempio di barriera da demolire? «Il Fondo Monetario che dice all´Argentina: ok, ti diamo un prestito, ma prima devi abbattere la spesa sociale, privatizzare tutto, mettere nuove imposte, e tutto nel bel mezzo di una crisi politica devastante...». Dietro c´è un inganno. Ai (paesi) ricchi si dice «tenete basse le tasse e il costo del denaro», ai poveri si intima «alzate le tasse e il costo del denaro». La denuncia, pragmatica, di Klein, incontra quella, teorica, dell´ex capo economista della Banca Mondiale Joseph Stiglitz, globalizzato e scontento. Come George Soros, il finanziere convertito alla causa umanitaria, Naomi Klein sta lanciando un suo «Fund», il «Fences And Windows Fund» .
I soldi raccolti finanzieranno i militanti «global», i paesi poveri del mondo piccolo e la speranza di trovare insieme, prima o poi, la «via d´uscita» oltre lo steccato.

Jacopo Iacoboni


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