L'integrazione scolastica dal De Amicis alla Gelmini
Giulio Cesare Viva - 17-10-2009
In questi ultimissimi tempi la questione dell'integrazione è stata presa, ripresa e offerta in molte salse all'opinione pubblica italiana come se fosse "la questione del giorno" dalla cui soluzione dipendessero le sorti dell'Italia tutta. Per molti da un'accoglienza senza regole dei farabutti provenienti dal mare, derivano gli scippi ed altri delitti orrendi, possibili, a quanto pare, "solo in Italia". Da qualche giorno, da quando la Ministra della pubblica istruzione ha cercato di dire la sua sull'argomento proponendo la collocazione degli alunni stranieri in classi ad hoc per un migliore apprendimento della lingua italiana, sono riemerse vecchie ed insulse dispute che si pensavano definitivamente superate dalla cultura pedagogica e didattica mondiale ed in particolare italiana. Tutti, quando discutono del problema, sembrano aver dimenticato la passata esperienza degli Italiani "meridionali" emigrati nelle miniere del Belgio, nelle fonderie germaniche, nelle campagne francesi, nei cantieri stradali della Svizzera o nelle metropoli dell'Italia del nord quando ai "terroni" del sud, soprattutto se con moglie e figli, non si davano in affitto gli alloggi. Coloro che in questi giorni sostengono che gli stranieri debbano essere respinti con ogni mezzo e "senza se e senza ma" ai paesi d'origine, mi sembrano come il giovane Rosso Malpelo della novella verghiana il quale, non riuscendo a capire le ragioni per cui era picchiato dagli adulti, per vendicarsi dei pugni che riceveva prendeva a calci il povero asino che pur lo aiutava nel faticoso lavoro della miniera di zolfo.
Sulle modalità dell'accoglienza la stampa, la TV, i politici e i comuni cittadini a volte le dicono grosse perché puntano all'emozione di chi ascolta piuttosto che alla ragione che forse potrebbe essere l'unica a dare soluzioni eque e accettabili. Un apprezzabile scostamento da questo andazzo mi è sembrato rintracciabile nello spettacolo televisivo "Volami nel cuore" condotto da Pupo e da Ernestino, il piccolo presentatore prodigio calabrese. Lo spettacolo, senza volerlo, mi ha spinto a ricordare il "Ragazzo calabrese" descritto da E. De Amicis nel libro "Cuore" e di conseguenza a ripensare al cammino che l'Italia, in tema di integrazione, ha fatto negli anni.
Sono andato a rivedere innanzi tutto come il De Amicis nel suo libro descriveva il "Ragazzo Calabrese": "dal viso molto bruno, coi capelli neri, con gli occhi grandi e neri, con le sopracciglia folte e raggiunte sulla fronte; tutto vestito di nero e con una cintura di marocchino nero intorno alla vita ... piccolo italiano, nato a Reggio Calabria, a più di cinquecento miglia di distanza" e che era entrato nella scuola (piemontese) nella quale, i compagni di classe, come precisava il maestro gli avrebbero fatto " vedere che un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta piede, ci trova dei fratelli". Belle parole e bellissima situazione descritta nel 1886 da uno scrittore, che dopo poco avrebbe aderito (1891) al Partito Socialista. In riferimento alle problematiche dell'integrazione, i convincimenti dello scrittore erano quelli della fine dell'800, che però sarebbero stati approfonditi e migliorati soprattutto dopo le tenebre del secondo ventennio del '900. A me per un momento, vedendo la disinvoltura del calabrese Ernestino diventato Superstar dell'Italia, sembrò essersi compiuta l'Unità dell'Italia e l'integrazione prospettata dal De Amicis tra tutti i ragazzi italiani. Il telegiornale della stessa sera e sulla stessa rete, però, mi fece tornare subito e con apprensione al problema che veniva continuamente riproposto dal dibattito culturale politico intorno ai problemi della sicurezza e dai proclami del ministro Gelmini sulla possibile reintroduzione di classi speciali (se non proprio differenziate) nella scuola italiana. Mi pareva come se tutto ad un tratto la scuola italiana venisse riportata indietro e sollecitata a dimenticare anni ed anni di esperienze di integrazione fatte con l'educazione per gli adulti analfabeti negli anni '50-60, con l'istituzione della scuola media unica per sollevare il grado di istruzione delle masse, con l'inserimento dei diversamente abili nelle scuole pubbliche, con l'apertura a tutti i diplomati dei corsi universitari e via dicendo per ritornare a vecchi schemi del passato. E' vero, pensavo, la scuola italiana aveva perso prestigio, bisognava conoscere i meriti di grandi e piccoli, era necessario tornare a studi più seri, ma questo non significava assolutamente che la si dovese allontanare dagli umili e dai diseredati per farla diventare "economicamente" produttiva, privandola del fine essenziale per il quale era istituita: quello di sviluppare l'intelletto umano ma anche tutte quelle altre qualità che solo gli uomini hanno, e che ciascun uomo possiede in misura particolare. Gli esseri umani, senza una tale educazione, diventano branchi di pecore capaci solo di pascolare nei luoghi voluti dal pastore. Non è questo forse il fine politico e sociale dei regimi assolutisti e dittatoriali?
Se, tornando al decreto della Ministra della P.I., la conoscenza della nostra lingua e della nostra cultura è necessaria ai fini di una più rapida ed immediata integrazione perché la scuola deve separare i giovani stranieri dai loro coetanei italiani? Non si imparano le lingue soggiornando tra coloro che le parlano? I corsi di lingua italiana per stranieri, che sembrano stare nei pensieri dell'attuale Ministra, ben vengano se servono per "integrare" e non "per differenziare"; ben venga l'aiuto della scuola pubblica italiana alla migliore conoscenza del nostro paese da parte degli stranieri che, all'uopo, dovrebbero utilizzare quelle ore aggiuntive che gli alunni italiani utilizzano per studiare quelle discipline lasciate alla libera scelta delle famiglie. Gli alunni stranieri potrebbero così avere crediti scolastici extra curriculari in lingua e cultura italiana come gli altri alunni italiani potrebbero averli in musica, in storia della Cina, in cultura islamica, in lingua latina, etc.
Nella mia lunga esperienza didattica ho accolto nelle classi degli istituti di primo e secondo grado molti alunni e alunne stranieri provenienti da paesi europei ed extraeuropei. Sono stati sufficienti pochi mesi e la frequenza di corsi extracurriculari predisposti ad hoc per una rapida integrazione. Costituire con gli alunni stranieri classi "differenziate" con la speranza di affrettarne l'integrazione nel percorso formativo dal paese ospitante è pura illusione!

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Giuseppe Comune    - 19-10-2009
Questa signora, diventata ministro per quali meriti nessuno sa bene, forse non conosce il significato preciso della parola integrare. La scuola dovrebbe offrirle, gratis perché è scuola statale, un bel corso di recupero per ministri improvvisati.

 una docente    - 20-10-2009
I centri territoriali permanenti svolgono corsi di lingua italiana per stranieri giovani e adulti.
Tuttavia sarebbe necessario un chiarimento, da parte del MIUR, sulle modalità di accesso a tali corsi. In questo momento non si accettano stranieri che non siano già in possesso del permesso di soggiorno.