Noi in piazza il 19 settembre ?
Doriana Goracci - 17-09-2009
Perchè noi dovremmo essere in piazza il 19 settembre? Corpo Spazio e Comunicazione ? Non esageriamo con le domande pesanti, forse basterebbe trasportare in piazza Italia l'energia di una pizzica una tamorra una tarantella, uè uè...E veniamo a quanto in parecchie e molti, si domandano a proposito del fare e perchè e per chi, il 19 settembre...di sabato: Noi? Ho condiviso tutto ciò che Enza Panebianco ha scritto, il contenuto e lo stile, finanche la punteggiatura e le volute maiuscole e minuscole che sono significanti di per sè ed Enza usa il condizionale per dire che si dovrebbe si potrebbe. Io in qualche modo mi sento chiamata a commentare questa retorica domanda comune fatta a noi da loro, perchè lo spaccato c'è e spesso non è solo un muro invisibile, è una porta sbattuta in faccia se penso a tutto il mondo del precariato che ruota sulla comunicazione ed i media. Enza è infaticabile nello scrivere, nell'esserci sempre con il corpo e la testa, ed Enza una volta ancora è vicina a quel soggetto comune che è oggetto di tante vergognose contese della cronaca gossip, la donna. La domanda me la sono posta anche io e ho letto anche altre risposte sul web. Quelle che non si leggono mai sulla stampa, che non emergeranno mai. Non ci sarò a Roma, anche se mi è vicina, sono certa che ci saranno tante e tanti altri per me e non farò nessuno sciopero della scrittura sul web. Nessuno mi paga e non voglio io, per scrivere o non scrivere. L'impegno che mi sono data da Genova è anche quello di esserci, laddove non c'è il/la giornalista, di non essere copy right di nessun potere, di testimoniare per chi non ha voce nè tempo, di andare a Roma o in altre città, in nome dell'Ordine di un Giornalismo che troppo spesso non ha aggiunto dignità alcuna alle donne e agli uomini di questo paese, se non per tirare alla giornata e al grido battuto dalla cronaca, attenta questa si, a quella nera e rosa, a giorni alternati. Grazie Enza ed è poco. - D.G.

A proposito di libertà di stampa: perchè noi dovremmo essere in piazza il 19 settembre?

di Enza Panebianco

Perchè noi dovremmo essere in piazza il 19 settembre? Me lo chiedo e provo a darmi una risposta. La stampa non è libera, appartiene per la maggior parte ad una sola persona e ai suoi prestanome. E' una cosa nota a tutti eppure anni fa quando si parlava di conflitto di interessi dal centro sinistra si levavano voci di gradimento del riformismo bipartisan. Poco male, mi dico. Il problema è qui e ora. Devo mandare giù il boccone amaro e fare causa comune con una parte politica che ha grosse responsabilità rispetto a quanto accade nel presente.

La stampa non è libera, appartiene per la maggior parte ad una sola persona e ai suoi prestanome. E' una cosa nota a tutti eppure anni fa quando si parlava di conflitto di interessi dal centro sinistra si levavano voci di gradimento del riformismo bipartisan.
Poco male, mi dico. Il problema è qui e ora. Devo mandare giù il boccone amaro e fare causa comune con una parte politica che ha grosse responsabilità rispetto a quanto accade nel presente.
La stampa è lottizzata. Appartiene ai partiti, a poteri che talvolta vivono in pax lobbistica e altre volte si fanno la guerra.
La stampa è fatta di servi di regime. È propaganda. E' esercizio di potere che difficilmente può essere attraversato, penetrato da soggetti che vorrebbero godere di quell'articolo 21 della costituzione per mettere a segno anche solo una frase ben assestata che non soddisfi nessuno, ma che indubbiamente corrisponde ad una verità che pochi vogliono vedere.
La stampa in italia è una casta. Ricordo i pochi bravi professionisti e le poche lungimiranti professioniste che guardavano noi volontari dell'informazione indipendente senza temere la concorrenza, senza tentare di irreggimentarci, senza provare a rimetterci tutti in fila per due, senza lasciarsi prendere dai pruriti di denigrazione o di censura perché noi non tiravamo le veline d'agenzia o di questura, perchè questo significava che non eravamo qualificati, non avevamo le carte in regola, perché "per fare questo mestiere bisogna conoscerlo", perché ci sono regole da seguire, perché in fondo il libero dissenso e le voci che si autorappresentano fanno paura a tutti.
Era il 2001 e ci fu il g8 di genova e noi vituperati scribacchini del web, quelli contro i media mainstream, quelli che si erano stufati di cercare invano notizie che corrispondevano a quanto realmente accadeva, quelli che usavano slogan come "non odiare i media, essilo", registrammo uno degli eventi più importanti che segnò l'inizio di una lunga stagione di repressione che si realizzava su un registro vecchio e nuovo: strategia della tensione, tecnica della paura, il terrore come arma per chiudere a chiave una intera città, militarizzarla ed avere la libertà di attuarvi ogni genere di violazione dei nostri diritti.
Subito dopo la tecnica repressiva si spinse fino alla perquisizione e al sequestro di documenti e immagini, alla intimidazione di tutta indymedia italia, alla punizione conseguente il fatto che noi, centinaia di persone sparse a fare fotografie, video, a registrare attraverso la parola scritta quanto avveniva, avevamo fatto crollare l'intero palazzo di bugie che quelle istituzioni, le forze dell'ordine, la stampa asservita avevano reso pubblico per giustificare la mattanza.
Noi scendemmo in piazza, l'Fsni al nostro fianco e con essa anche le testate immediatamente di sinistra. Non ricordo di aver letto l'adesione di repubblica o dell'unità, impegnate com'erano a stabilire la differenza tra buoni e cattivi, a identificare la violenza con "alcuni" manifestanti e a farsi portavoce delle forze dell'ordine e della loro tesi di legittima difesa per ogni colpo inferto.
Ma poco male, mi dico. Il problema è qui e ora e devo fare causa comune con una parte politica che in ogni caso quando parla di libertà di stampa si riferisce alla libertà di veicolare quello che più gli piace, la propria versione della verità, trascurando tutto ciò che ai suoi occhi appare giusto un pochino più radicale della spinta vibrante, densa di passione del politico sullo stile di d'alema.
La stampa, oggi, nel tempo di internet, della condivisione veloce di notizie attraverso i social network, i blog, youtube e tutto ciò che tecnicamente si avvierebbe verso il web 3.0, è una dimensione ancora più obsoleta, terribilmente autoreferenziale, spesso al traino dei "volontari dell'informazione indipendente" salvo delegittimarli quando è il caso di incassare privilegi.
La stampa oggi è in guerra, parte attiva di uno scontro tra poteri che giunge all'ultimo stadio e il cui livello è stato reso altissimo dai suoi attori principali.
La stampa è ad uso e consumo di fazioni precise che adoperano cecchini per infliggere colpi e poi chiamano il popolo a scendere in piazza per difendere la loro battaglia.Così accade sempre, la storia ce lo insegna, la gente viene armata, strumentalizzata - come viene strumentalizzata l'indignazione - e ciascuno viene sollecitato a scendere in piazza su spinta di potenti, feudatari, baroni, oppure di borghesi, notabili, burocrati. Non saprei dire qual è la suddivisione attuale tra le forze in campo. So solo che quando sono scesa in piazza per combattere le mie battaglie, rispetto alle mie urgenze, c'erano in pochi e quasi mai erano quelli che ora fanno la chiamata alle armi.
La stampa in questo ultimo periodo ha avuto il ruolo preciso di distrarre l'opinione pubblica da questioni gravi che riguardano tutti noi. Ci siamo concentrati sulla vita del presidente del consiglio e i giornali del presidente del consiglio si sono concentrati sulla vita di un giornalista cattolico e i giornali dell'opposizione hanno leso la privacy delle escort per vendere qualche copia in più e i giornali della maggioranza hanno detto che quelle escort hanno visitato i letti di tutti gli avversari politici del premier.
La stampa ha legittimato la pratica dell'uso di scandali privati per denigrare l'avversario. Qualunque cosa tu dica o faccia di cattivo se la tua vita sessuale non corrisponde a quella che piace alla santa sede allora puoi sempre dare del frocio al tuo detrattore e quello dovrà dimettersi nel giro di pochi giorni. Qualunque cosa tu dica o faccia di buono se la tua vita sessuale non corrisponde a quella che piace alla santa sede allora non hai più alcun diritto di parlare.
E per fare corrispondere questa pratica oscena ad una sorta di volontà popolare di chi sta a sinistra sono stati tirati fuori tutti i motti femministi, parole e persino pareri illuminati di donne che hanno parlato di pubblico e privato, di personale e politico dimenticando che il personale/politico di cui abbiamo sempre parlato noi non era gossip/politico e in ogni caso non riempiva un vuoto di capacità critica e di azione politica visibile nell'attività parlamentare dell'opposizione, completamente appiattita sulle ragioni della maggioranza a proposito di temi etici e di soluzioni securitarie come metodi di controllo sociale.
La stampa non è libera perché centro sinistra e centro destra non hanno la più pallida idea di cosa si muova nel mondo del web. In entrambi i casi l'ignoranza li ha portati e li porta a proporre provvedimenti che limitano la libertà di espressione, le libertà digitali, che intercettano tutti noi in qualunque nostra comunicazione come fossimo preventivamente in stato di sorveglianza perciò tutti potenzialmente terroristi, pedofili, delinquenti.
La stampa non è libera perché ancora prima della punibilità verso chi pubblicherà le intercettazioni c'è da capire perché mai l'informazione si sia ridotta ad essere l'eco delle procure di tutta italia. Non c'è più una inchiesta decente, una ricerca ben fatta, una narrazione documentata. Mi vengono in mente due esempi di giornalismo non scandalistico, che non fa la sua fortuna facendo copia e incolla dalle carte dei magistrati, che non spettacolarizzano il lavoro dei giudici ma che si muove in tutt'altra direzione: report e presa diretta.
E anche questa è una cosa seria perché la stampa di questi anni è diventata strumento di poteri e megafono di giustizialisti. Dimenticando il ruolo fondamentale della stampa, che è quello di essere alternativa a tutto, equidistante da tutto, indipendente da tutto, esclusivamente al servizio della gente.
Poco male, mi dico. Il problema è qui e ora. Devo fare causa comune con soggetti che sono responsabili della origine culturale di questo governo di censura. Ne sono responsabili perché lo hanno sdoganato, perchè quello che contava non erano le ragioni ideali ma lo spazio ottenuto. Quello giusto, sufficiente, come fosse una tangente al silenzio, alla opposizione pacata, dai toni bassi, non urlata.
Devo fare causa comune ben sapendo che quella stampa non scenderà in piazza in favore di disoccupati, sgomberati, occupanti di edifici per rivendicare il diritto alla casa, di precari, di persone che non hanno mai creduto alla idiozia del capitalismo dal volto umano, del liberismo intelligente, della privatizzazione socio compatibile.
Devo fare causa comune anche se la mia idea di welfare è completamente diversa da quella di rosi bindi e di vittoria franco. Diversa da quella della serracchiani e di franceschini.
Devo fare causa comune perché nonostante mi dia profondamente e fisicamente fastidio immaginare di legittimare la loro politica miope comunque hanno diritto ad esprimerla, come io ho il diritto di criticarla in una gara dialettica che ci restituisce reciproca dignità. Questo è un diritto non può essere leso mai.
Devo fare causa comune perché la querela per diffamazione è un proiettile in fronte a chi si vuole far tacere. Un embargo economico che uccide sul piano sociale chi pratica dissenso. Una bomba che colpisce uno per educarne cento.
Devo fare causa comune perché io non ho mai pensato di querelare la padania e il giornale per tutte le volgarità che pubblicano, per le offese che ci infliggono. Chi invece si nutre della loro "cultura" pensa di far tacere chi non è d'accordo attraverso apposita legislazione e denunce mirate.
Devo fare causa comune perché mi fa troppo arrabbiare il fatto che non venga data assistenza legale ai giornalisti di report, perché attaccare vauro per vilipendio al reality di stato è una storia che dimostra esattamente in che tempi viviamo.
Perché è da un bel pezzo che siamo in pieno fascismo ed è un bel dilemma per tanti pezzi della sinistra che praticano l'antifascismo provando a sfuggire alle strumentalizzazioni di chi nel centro sinistra quel fascismo lo ha sdoganato.
Forse avremo l'onore di udire frasi partigiane uscire dalla bocca di chi fino a qualche tempo fa dichiarava che il fascismo non esiste più. Solo per vedere questo capovolgimento incoerente di intenzioni vale la pena attraversare la piazza del 19 settembre.
E poi per report, per noi, per tutti quelli che vivono il web, per quelli che fanno informazione dal basso e non hanno nessun riconoscimento, privilegio né tutela.
Il 19 bisognerebbe esserci in modo critico a difendere il diritto a scrivere e praticare il dissenso. Bisognerebbe esserci contro una offerta informativa che in italia oramai è per la maggior parte sessista, razzista e fascista.
Bisognerebbe esserci per chiedere una stampa libera dai monopoli di qualunque genere. Per chiedere la fine della separazione tra stampa di serie a e di serie b. Per chiedere l'abolizione dell'ordine.
Bisognerebbe esserci perché le donne hanno diritto di dissentire. Dissentire da altre donne che parlano di un fantasioso e retorico silenzio delle donne. Dissentire dalle testate che parlano di violenza maschile sulle donne difendendo e veicolando la cultura patriarcale. Dissentire dalla stampa moderata del centro sinistra che chiama "violente" le donne che praticano un femminismo indipendente dai partiti politici, radicale, con pregiudiziali antisessiste, antirazziste e antifasciste. Dissentire su chi stabilisce quali siano le forme lecite di dissenso e quali no. Dissentire dal pensiero unico, dalla pratica politica unica, dalla rappresentanza politica unica, dal bipartitismo, bipolarismo, biegocentrismo.
Bisognerebbe esserci innanzitutto per chiedere che noi si possa avere garanzia di spazi di diffusione di ciò che pensiamo. Perché quando si parla di libertà di stampa non posso certo solo parlare della libertà di stampa di repubblica e l'unità.
La stampa non è garanzia di democraticità di un paese se non si evolve e non si lascia penetrare da altre forme di comunicazione. Diventa solo una delle tante cristallizzazioni del potere. La democraticità di un paese non dipende mai da luoghi dediti all'autoconservazione del proprio status.
Bisognerebbe dunque esserci proprio per mettere in discussione qualunque luogo di conservazione di poteri che non ammettono dissenso e progresso. Stampa inclusa.

Enza Panebianco

  discussione chiusa  condividi pdf