breve di cronaca
2008-2009: bilancio di un anno scolastico in movimento
Tullio Carapella - 20-06-2009
Il testo che inoltro mi è stato inviato dall'autore, Tullio Carapella, che insegna all'Istituto Superiore di Besana Brianza (Milano). E' lungo, esaustivo, molto ricco di annotazioni. Spero possiate e vogliate leggerlo. Buona fine e buon inizio...
Doriana Goracci



Quello che segue non vuole essere un'analisi esaustiva del movimento in difesa della scuola pubblica sviluppatosi in questi ultimi mesi, ma è semplicemente un punto di vista personale e parziale di alcuni suoi momenti "salienti", per individuarne limiti e potenzialità, in vista di una sua probabile ripartenza nel prossimo autunno. Non ritengo importante risultare universalmente condivisibile e, al contrario, non mi meraviglierà scoprire di aver scontentato tutti. Io stesso, se ripenso alla mia piccola parte, so che non rifarei tutto allo stesso modo e credo sia utile dare uno sguardo all'indietro per migliorarci. Mi auguro di poter contribuire a sviluppare un'analisi più completa ed oggettiva che ci consenta di non ripetere gli errori commessi e di sviluppare i punti di forza del nostro movimento.



1. I contenuti (minimi) della riforma.

L'anno scolastico che si sta concludendo è stato caratterizzato dal varo della cosiddetta "riforma Gelmini" e dal malcontento e la protesta che ne hanno accompagnato e ne accompagnano l'approvazione. Il movimento, che è cresciuto costantemente dal primo giorno di scuola almeno sino alla fine di ottobre, in particolare nelle "elementari", nasceva dalla viva preoccupazione per i quasi 8 miliardi di euro di tagli contenuti nell'articolo 64 della legge 133, approvata il 6 agosto 2008. I timori, non solo dei docenti, ma anche degli alunni e delle loro famiglie, non venivano certo dissipati dalla bozza di Piano Programmatico presentata dal Ministero dell'Istruzione a fine settembre e dal decreto legge 137 del 1 settembre (dal 29 ottobre Legge 169). Appariva subito chiaro che "la riforma" nulla aveva a che vedere con i grembiulini, sui quali pure la stampa intelligente si andava interrogando. In estrema sintesi i testi di legge prevedevano:

- Tagli economici (art. 64, L 133): "economie di spesa, non inferiori a 456 milioni di € per il 2009, a 1.650 milioni di € per il 2010, a 2.538 milioni di € per il 2011 e a 3.188 milioni di € dal 2012".

- Tagli per i lavoratori (Piano Programmatico, pag. 14): 44.500 non docenti e 87.341 docenti in meno nel triennio 2009-2012 (circa 30.000 per ognuno dei tre ordini di scuola). In totale 131.841 precari non vedrebbero riconfermato il proprio contratto.

- Per tutti gli ordini di scuola:

§ Aumento degli alunni per classe: (c.1, art.64, L.133): "sono adottati interventi e misure volti ad incrementare, gradualmente, di un punto il rapporto alunni/docente".

§ Docenti più flessibili (c.4, art.64, L.133): "accorpamento delle classi di concorso, per una maggiore flessibilità nell'impiego dei docenti".

§ Chiusura delle "piccole scuole", (P.P. pag.9): "un minimo certo del 15% e un massimo probabile del 20%, non potrà funzionare come istituzione autonoma".

- Nella scuola d'infanzia (P.P. pag.6): "...anche solamente nella fascia antimeridiana, impiegando una sola unità di personale docente per sezione".

- Nella scuola primaria (P.P. pag.6): "Classi affidate ad un unico docente per un orario di 24 ore settimanali". Insegnerà l'Inglese alle elementari il docente unico, grazie ad un corso di 150/200 ore (pag.7). Dall'art.4 della L.169: "si tiene conto delle esigenze... delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo-scuola... in ogni caso senza maggiori oneri per la finanza pubblica".

- Nella scuola media (P.P. pag.8): "L'orario obbligatorio delle lezioni è definito, in via ordinaria, nella misura di 29 ore settimanali". Vengono cancellati i laboratori.

- Nella scuola superiore (P.P. pag.8): l'orario "nei licei classici, linguistici, scientifici e delle scienze umane sarà pari ad un massimo di 30 ore settimanali...Per tecnici e professionali non potrà essere superiore a 32 ore, comprensive del laboratorio".

La "riforma della scuola", vista da vicino, appariva a tutti poco più di un piano di soli tagli, pensato per risparmiare sulla cultura e sul futuro di bambini e ragazzi. Intanto si decideva di spendere sempre di più per armamenti (14 miliardi per 131 nuovi cacciabombardieri Joint Strike Fighters, una nuova portaerei), per aprire il rubinetto dei finanziamenti per quel ponte sullo stretto che non vedrà mai la luce o per regalare un'Alitalia senza debiti ai "soci italiani".

La crisi economica, con i tagli, non c'entra, perché questi erano già stati messi nero su bianco nel Decreto 112 del giugno 2008 (il crollo della Lehman Brother è del 9 settembre) e non c'entra neanche il rilancio della qualità di strutture scolastiche e didattica o il "premiare il merito", perché non un solo euro, tra quelli tagliati, è destinato alla scuola (si fa solo un timido riferimento a quanto, forse, sarà possibile fare a partire dal 2013).

2. La propaganda.

La campagna di disinformazione del governo non si limita alla fase iniziale del percorso descritto, ma continua in tutti questi mesi e non è un caso se ancora oggi la maggior parte dei cittadini, e forse anche dei docenti, non conosce i reali contenuti della riforma. Qui mi preme però sottolineare come la scure della "riforma Gelmini" possa abbattersi sulla Scuola pubblica anche grazie ad una adeguata "preparazione" dell'opinione pubblica.

Durante tutta la scorsa estate e la precedente primavera la stampa è sembrata impegnata in una campagna di diffamazione sistematica di chi opera negli edifici scolastici: i "ragazzi ultimi in Europa", o forse nel mondo (in questi casi pare si sviluppi nella stampa la tendenza a fare a gara a raccontarle più grosse), le maestre che tagliano la lingua agli alunni e quelle che cuciono loro la bocca, la giovane insegnante molisana che corre in Lombardia per dare sfogo alla propria turpe voglia di violentare ragazzini in sala mensa, a gruppi di tre, i docenti meridionali ignoranti e quelli di ogni regione pavidi e fannulloni. Spontanea o meno che sia, questa campagna comincia in modo sospetto in era Fioroni[1], si alimenta di dicerie e di notizie di reato spesso integralmente inventate e contribuisce a creare quel clima di disprezzo per chi lavora nelle scuole, che farà accogliere con gioia o indifferenza, dalla maggioranza degli italiani, la notizia della punizione collettiva di 132.000 parassiti ignoranti.

Come se non bastasse si inaugura una campagna di disinformazione sulle spese della pubblica istruzione che ha i suoi punti di forza nelle affermazioni: "la spesa dell'istruzione è fuori controllo", "l'Italia spende più di tutti gli altri paesi d'Europa" (anche in questo caso è facoltativa l'aggiunta "...e del mondo"), "gli stipendi dei docenti assorbono il 97% della spesa" e, per l'università, "succhia soldi grazie a 37 corsi di laurea con un solo iscritto e i 1.469 con meno di 15 iscritti".

Sono dati inventati ad arte ("la propaganda è come l'arte: non ha bisogno di rispettare la realtà", amava dire Joseph Goebbels) e ripetuti fino alla nausea per tener fede al vecchio adagio, tanto caro al ministro della propaganda nazista, secondo il quale una bugia, ripetuta all'infinito, diventa realtà.

In alcuni casi si tratta di "leggende metropolitane": il sistema informatico del ministero, ad esempio, nel 2007 inseriva provvisoriamente il numero 1 ai 37 nuovi corsi per i quali ancora non si conosceva il numero effettivo degli iscritti, il dato veniva riportato nel libro "La casta" e nessuno si preoccupava di verificarlo, nemmeno il Ministero.

Spesso si fa riferimento a problemi reali, ma non certo per risolverli: in Italia esistono davvero molti corsi universitari inutili o quasi, inventati per far piovere denaro sulle baronie. Nella riforma universitaria si tagliano il 20% dei fondi, ma non si colpiscono i baroni e le piccole realtà. Non sorprenda, ad esempio, che proprio il ministro Gelmini si sia recato l'11 aprile 2009 ad Edolo (4.291 abitanti, nella sua provincia: Brescia) per inaugurare un nuovo, minuscolo centro universitario!

Quasi sempre si confrontano dati non omogenei: non si dice, ad esempio, che molte figure professionali, come quelle dei docenti di sostegno, non sono, fuori dall'Italia, alle dipendenze del Ministero dell'Istruzione e questo dà la sensazione che qui sia più alto il rapporto insegnanti/alunni. Si trascura che le spese per l'edilizia scolastica sono a carico delle amministrazioni locali e non del ministero, che spiega l'alta percentuale di spesa per stipendi (non 97 ma 80%, come in Francia).

Si capovolge la realtà: nel 2007 l'Italia destinava all'istruzione il 9,6% della spesa complessiva, contro il 10,5% della media europea (dati pubblicati dall'Istat il 23/2/2009), a seguito dei tagli descritti questa percentuale verrà ulteriormente ridotta. I dati ufficiali rintracciabili a settembre (per chi voleva cercarli) non parevano più confortanti: la spesa per l'istruzione non era affatto fuori controllo, anzi... dal 1997 al 2007, a fronte di un numero di alunni cresciuto del 2% (+152.246 alunni), il numero dei docenti diminuiva del 2,38% (-17.651 insegnanti) e la percentuale di spesa sul P.I.L., che nel 1992 era pari al 3,9%, nel 2008 era già scesa al 2,8%, cioè 42 a miliardi di euro, che la "riforma" intende ridurre ulteriormente fino a 34 miliardi all'anno.

Ancora una volta la storia dà ragione ai Goebbels e le bugie del governo hanno avuto le gambe lunghe, malgrado sarebbe bastato per smontarle una opposizione appena decente e una stampa disposta a fare un po' di lavoro d'inchiesta. A settembre, infatti, pochi si commuovono per i precari della scuola che perderanno il posto, anche se il loro numero è pari a 10 volte il tributo pagato dai lavoratori Alitalia e anche se per loro non è previsto alcun ammortizzatore sociale.

3. Cronaca di un anno in movimento[2].

3.a. L'autunno caldo della scuola.

Malgrado il pessimo inizio di anno scolastico qualcosa, lentamente, cambia: dalle prime spontanee manifestazioni cominciano a costituirsi primi sporadici gruppi "di resistenza", un po' in tutta Italia, quasi sempre al di fuori delle realtà sindacali e politico-istituzionali. Si tratta certo, di docenti e non docenti precari, ma si tratta anche di insegnanti di ruolo, che mettono al primo posto non tanto la difesa del proprio posto di lavoro, che non corre pericolo, ma la qualità della scuola e dell'insegnamento. È principalmente grazie a questi piccoli nuclei di resistenza che i reali contenuti della riforma vengono "divulgati" a tutti: agli alunni, alle famiglie, ai cittadini in generale. Non c'è bisogno di fare "polemica politica", basta riassumere fedelmente cosa dicono gli articoli di legge per mostrare chiaramente a tutti che, piacciano o meno professori e bidelli, il programma Gelmini-Tremonti danneggia tutti coloro che non potranno permettersi una scuola privata.

La diminuzione del tempo scuola, ad esempio, mette in difficoltà soprattutto quelle famiglie nelle quali lavorano entrambi i genitori e non è un caso se le presenze alle manifestazioni di dissenso, in queste prime settimane di scuola, si moltiplicano in maniera esponenziale soprattutto nel nord Italia. A Milano, ad esempio, si organizza il 17 settembre un'assemblea alla quale partecipano un centinaio di persone di un'ottantina di scuole, prevalentemente elementari. L'8 ottobre i partecipanti saranno 450, in molti casi rappresentanti di comitati che si stanno costituendo in diverse scuola e realtà territoriali.

Ottobre è il mese sul quale vale la pena soffermarsi maggiormente, perché ritengo costituisca il momento "più alto" del Movimento della scuola, quello durante il quale si ha la chiara percezione che anche un governo monolitico, con una maggioranza schiacciante, possa essere costretto a ritirare i propri provvedimenti. Dalla "base" si decide di prendere parte a tutti i momenti di protesta, a prescindere da quale organizzazione sindacale li proclami e questa è la ricetta che garantisce la riuscita degli scioperi e delle manifestazioni del 17[3] e del 30 ottobre[4]. Il governo perde consensi, e anche il "test elettorale del 26 ottobre, in Trentino sembra testimoniarlo[5].

Il centro-destra avverte una sensazione di pericolo e comincia a cambiare strategia: sceglie un profilo almeno apparentemente più basso. Gelmini e Brunetta, portatori dei sentimenti più rancorosi nei confronti degli statali di larghe fette della popolazione, spariscono improvvisamente dagli schermi o vengono ricondotti al silenzio. Appare chiaro che non è più il tempo delle provocazioni.

Illuminante a tal proposito è la conferenza stampa Berlusconi - Gelmini del 22 ottobre, nella quale il ministro dell'Istruzione appare meno vivace delle due bandiere alle sue spalle e il presidente del Consiglio presenta "le bugie della sinistra" gridando a gran voce, ad esempio, che "l'obiettivo non è la riforma strutturale della scuola" e che non si è "mai parlato di maestro unico", ma solo di "maestro prevalente, perché accanto a questo maestro c'è l'insegnante di educazione fisica, l'insegnante di religione e l'insegnante delle lingue straniere. Anche l'informatica potrà avere un docente specifico, quindi un docente in più". Il presidente legge queste frasi su un documento, ma non si capisce bene cosa sia, perché la riforma che descrive non è quella che tutti hanno letto e non ha nemmeno nulla a che vedere con quella che avremmo scoperto in seguito.[6]

Contemporaneamente si prova a "contaminare" il movimento studentesco nato spontaneo, con i limiti e i grandi pregi della sua "purezza". Ad una generazione di ragazzi refrattari alla politica dei partiti si lascia intendere che "immischiarsi" in affari "da grandi" equivale a farsi strumentalizzare dalla sinistra o a trovarsi comunque impelagati nei contrasti degli opposti estremismi.

Le acque vengono intorbidite. Il sempreverde Francesco Cossiga si fa portavoce dei più inquietanti messaggi trasversali nel corso della sua intervista a "QN" del 23 ottobre, nella quale chiede esplicitamente di "Infiltrare il movimento con agenti provocatori...", di "non avere pietà e di mandarli tutti in ospedale... soprattutto i docenti, non dico quelli anziani, ma le maestre ragazzine sì."

Ancora più inquietante è quanto accade a Piazza Navona il 29 ottobre, giorno di approvazione della Legge 169. I neofascisti del "blocco studentesco", non studenti, armati di spranghe, picchiano ogni ragazzo delle superiori capiti loro a tiro, durante una manifestazione studentesca. Solo quando arrivano gli universitari, i manifestanti si riorganizzano e per i 14 mazzieri si mette male, le forze dell'ordine decidono di intervenire e creano intorno ai fascisti un cordone sanitario[7].

Lo stesso ministro degli interni, Maroni, il 30 ottobre invoca il pugno di ferro contro gli studenti che non consentono il regolare svolgersi delle attività didattiche e minaccia denunce e arresti.[8] È il giorno del milione di manifestanti di Roma, ma è anche il giorno nel quale il movimento deve fare i conti con il muro di gomma del governo, la sua sostanziale "indifferenza", almeno apparente.

Qualcuno aveva pensato che bastava riportare alla ragione i ministri, far capire loro che con quei tagli la scuola è destinata a diventare poco più di un parcheggio, un infernale parcheggio imbottigliato da automobilisti isterici, la brutta copia di quella brutta cosa che è oggi. Qualcuno sarà costretto a bruciare in fretta le sue illusioni: il governo sa cosa sta facendo e ha coscientemente deciso di smantellare la pubblica istruzione, non ha intenzione di venire a miti consigli. Di più: si precisa che "la finanziaria non può essere oggetto di modifiche"[9], anche se pochi giorni dopo, con decisione unanime, una modifica si fa: si cancelleranno i tagli previsti per le scuole private.

Eppure qualche risultato il movimento comincia ad ottenerlo: il 6 novembre, ad esempio, con un emendamento all'articolo 3 del decreto 154/2008 si decide che per il prossimo anno scolastico le piccole scuole non saranno chiuse. I deputati della VII commissione parlamentare (quella che si occupa di "cultura") mostrano una vivacità inusuale e criticano l'aver avviato un processo di riforma senza un confronto con i soggetti interessati e in assenza di un vero decreto, cioè solo sulla base di una "bozza di piano programmatico". La stessa commissione, presieduta da Valentina Aprea, PdL, chiede che il maestro unico e le 24 ore diventino "una possibilità che può essere richiesta dalle famiglie", cioè che si conservi il tempo pieno a 40 ore con due insegnanti e il maestro specializzato in inglese, che non si aumenti il numero massimo di alunni per classe, ma solo il minimo. Il 27 novembre il "Parere" viene approvato, ma con il richiamo, ripetuto tre volte, alla compatibilità con gli "obiettivi previsti dall'articolo 64" della Legge 133. Il 13 novembre, inoltre, il governo prende tempo decidendo di rinviare a marzo le preiscrizioni: comincia la lunga stagione, che continua tutt'ora, dei mille ripensamenti del ministero, che tanto disorientamento crea nei docenti e nei loro alunni.

Il 12 dicembre è il giorno dello sciopero generale di tutte le categorie proclamato dalla CGIL, che non gradisce gli incontri separati tra governo e la coppia CISL - UIL. Si associa alla giornata di protesta, con manifestazioni in tutte le principali città, anche il sindacalismo di base. È chiaro a tutti che, visto il clima generale, sarà il movimento della scuola a dover svolgere il ruolo di protagonista. Non è un caso se il pomeriggio dell'11, a poche ore dallo sciopero, i ministri Gelmini, Sacconi e Brunetta convocano i sindacati confederali, la Gilda e quelli "meno distanti" e si impegnano a recepire il parere della commissione cultura ed in particolare: nella scuola dell'infanzia a garantire le 40 ore; nella scuola elementari a lasciare alle famiglie possibilità di scelta tra i modelli a 24, 27, 30 e 40 ore; nelle scuole medie a garantire il funzionamento di un tempo prolungato con non meno di 36 e fino ad un massimo di 40 ore; a congelare per l'anno 2009/2010 l'incremento del numero massimo di alunni per classe; a tutelare il rapporto di un docente ogni due alunni disabili; a rinviare al 2010-2011 l'attuazione dei regolamenti per le scuole superiori; a costruire un tavolo di confronto sul tema del precariato. I sindacati coinvolti esultano anche se, come vedremo, c'è poco di concreto.

3.b. La "campagna" d'inverno (governativa e nostra).

Il 18 dicembre, quando le scuole stanno chiudendo i battenti per le vacanze natalizie, il governo licenzia 4 schemi di regolamento, relativi ai diversi ordini di scuola e, per quei pochi che ne avranno notizia e potranno leggerli, non sarà un bel regalo di Natale[10]. C'è l'incremento del numero di alunni per classe, il "blocco" del numero di insegnanti di sostegno voluto già da Fioroni, la riduzione media di 3 ore per 100.000 delle 138.000 classi delle elementari, il taglio delle 11.200 specialiste di lingua inglese e la cancellazione delle 4 ore di compresenza. Queste spariscono anche alle medie, dove ci saranno 29 ore più 1 di approfondimento (con possibilità delle 36 e 40 ore in casi eccezionali) e con taglio dei laboratori per come li abbiamo conosciuti sino ad oggi. C'è per tutti, anche per gli insegnanti delle scuole superiori, la cancellazione delle cosiddette "ore a disposizione", il che equivale a dire che non potrà esserci più spazio, nell'orario dei docenti, per coprire le "assenze brevi", per l'alternativa all'insegnamento della religione o per progetti di recupero e potenziamento.

In quel momento nessuno degli schemi di regolamento è legge, perché mancano i pareri, obbligatori ma non vincolanti, del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (CNPI), della Conferenza Unificata e del Consiglio di Stato, per poi essere definitivamente approvati dal Consiglio dei ministri.

A gennaio non ci sarà il confronto con le parti promesso dalla Gelmini, e nemmeno la campagna ministeriale di informazione per le famiglie sulla riforma delle scuole superiori. Al contrario: continueranno a circolare "schemi di regolamenti" in diverse versioni, quasi a voler alimentare ulteriore confusione e nascondere il reale progetto fino alla sua definitiva approvazione. Di nessuno di questi schemi il ministero rivendicherà la paternità e nessuno, di contro, verrà smentito. Si cercherà di ripercorrere la strada già sperimentata tante volte nei mesi precedenti: nascondere un progetto possibilmente fino alla sua definitiva approvazione.

La Gelmini si limiterà a ripetere continuamente che è un'ottima riforma, che potenzia e migliora un po' tutto, senza spiegare come e perché, come farebbe un venditore televisivo di materassi a molle. Dovrebbe allarmarci proprio il continuo richiamo alla riforma Gentile, perché in particolare per quanto riguarda le scuole superiori si cerca effettivamente di riprendere principi forse innovativi, ma 86 anni fa. Con la scuola del ventennio fascista c'è in comune il richiamo ad una certa idea di disciplina ed "educazione all'obbedienza" (il 5 in condotta, l'educazione alla cittadinanza), la valutazione in decimi e la riproposizione di due canali ben distinti e separati, con 6 indirizzi liceali sempre meno professionalizzanti (pensati per chi dovrà iscriversi all'università) e 11 istituti tecnici sempre più legati al mondo delle aziende (che farà il suo ingresso "paritetico" negli organismi decisionali) e più poveri di contenuti culturali. Si cancellano tutte le sperimentazioni e tutti quegli indirizzi, come il liceo scientifico-tecnologico, che potevano costituire "un ponte" tra i due canali[11].

Il 12 febbraio il CNPI[12] diffonde l'atteso parere sul "regolamento della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione": è una bocciatura senza possibilità di appello. Il CNPI "critica fortemente la scelta di fondo in quanto non coerente con le prerogative delle istituzioni, lese sui principi che regolano l'autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, di sperimentazione e sviluppo secondo quanto disposto dal DPR 275/99", "rileva come il Regolamento, nel prospettare un'ampia offerta di tempi scuola, possa alimentare nelle famiglie aspettative che, in assenza di congrue risorse, potranno difficilmente essere soddisfatte mettendo la scuola nella difficile situazione di dover riorientare le scelte e riorganizzare l'offerta". Ritiene, infine, che si delinei un quadro formativo che: compromette l'efficacia dell'offerta formativa nella scuola dell'infanzia e nel primo ciclo di istruzione, lede la dignità dell'istituzione scolastica pubblica e non garantisce pari opportunità di offerta e di scelta sull'intero territorio nazionale". Malgrado il parere negativo della conferenza Stato-Regioni e del CNPI il Governo approva definitivamente, il 27 febbraio, i regolamenti relativi ad il primo ciclo di istruzione ed alla rete scolastica, cioè la riforma peggiore che la scuola della Repubblica abbia conosciuto.

Qualche settimana dopo, il 16 marzo, il ministro Gelmini firma un Protocollo d'intesa con il governatore della Lombardia Formigoni, attraverso il quale si sostiene la regionalizzazione dell'Istruzione e Formazione professionale.

L'Onda non ripete i numeri dell'autunno ma si muove per affilare le armi promuovendo ricorsi legali, seminari di studio su questi piani di tagli e sulla "Riforma possibile" e, soprattutto, per raccogliere le volontà reali dei genitori dei bambini delle elementari (ed in parte anche delle medie) attraverso le segreterie della buona scuola. Queste segreterie "autoprodotte" si occupano non solo di "spiegare la riforma" ai genitori e le opzioni proposte dalle scuole, ma anche di suggerire di consegnare alle scuole un modello integrativo, nel quale si chiede, coerentemente con la volontà espressa dal ministro di voler venire incontro alla volontà delle famiglie, di poter conservare i modelli offerti fino a questo anno, con moduli, compresenze, insegnante specialista di lingua inglese e, alle medie, le attività laboratoriali. A Milano, il 14 febbraio, le segreterie danno vita ad una manifestazione allegra e partecipata nella quale si raccoglieranno buona parte delle 28.000 richieste "alternative" di iscrizione, che saranno consegnate il 19 marzo al direttore del locale ufficio scolastico provinciale.

Ma anche il dato inequivocabile delle iscrizioni sui moduli prestampati proposti dal ministero segna per il governo una sonora bocciatura: solo il 3% dei genitori ha scelto le 24 ore, cioè il "modello didattico Gelmini"[13]. Di fronte ad un simile fallimento un ministro coerente si dimetterebbe, e infatti la Gelmini non si dimette e, leggermente indispettita, non fa che ripetere che tanto per lei non cambia niente, perché "il maestro unico esiste indipendentemente dal quadro orario scelto", smentendo il 3 marzo quanto lei stessa e il suo presidente avevano dichiarato il 22 ottobre e rivelando al 97% dei genitori italiani che, fornendo loro una possibilità di scelta, ha voluto solo prenderli in giro.

3.c. Il clima incerto della primavera.

Sabato 21 marzo le "Segreterie della buona Scuola" organizzano a Roma una delegazione formata da genitori e insegnanti di Roma, Napoli, Torino, Bologna, Firenze, Venezia, Pisa, Parma, Padova e altre città, con il compito di consegnare al ministero le conferme e le iscrizioni raccolte in tutto il Paese. Sono decine di migliaia: oltre alle adesioni lombarde ce ne sono circa 50.000 tra Veneto e Emilia-Romagna, la sola provincia di Bologna ne consegna circa 17.700. Il dato testimonia anche di un movimento che ha messo radici soprattutto nel nord Italia e che non ha mai "conquistato" fino in fondo il mondo delle scuole medie, tanto meno in questo momento.

Il 18 marzo c'era stato lo sciopero nazionale di tutti i settori della conoscenza indetto dalla CGIL, che aveva superato il 50% delle adesioni in moltissime città del centro-nord con 18 manifestazioni territoriali in tutta Italia. A Roma la polizia impediva, usando le "maniere forti", che il corteo degli studenti universitari dell'onda potessero uscire dai confini dell'università La Sapienza.

Le superiori, malgrado la parabola discendente, danno ancora segni di vitalità. Il 27 e 28 marzo in molte scuole superiori del milanese ci sarà una 2 giorni di informazione e protesta promossa da genitori, studenti e insegnanti. Le reti di lavoratori della scuola, studenti e famiglie cominciano, in particolare ad aprile, a dare vita a tutta una serie di iniziative "di resistenza" all'attuazione dei provvedimenti approvati, come la campagna "per il 10 pedagogico" alle elementari, per sottolineare la povertà del messaggio trasmesso ai bambini marchiando le loro conoscenze, competenze e capacità con un numero. Analogamente c'è chi promuove il rifiuto a dare "il 5 in condotta", indicato dalla Gelmini come la panacea di tutti i mali della scuola. C'è ancora, in particolare alle superiori, la campagna per non trascurare i criteri di sicurezza nel comporre le affollatissime classi previste dal "razionale utilizzo". Continuano i presidi dei lavoratori precari, che animano anche lo spezzone "della cultura" nel "may day" del 1 maggio milanese. Il 15 maggio l'Onda è ancora i piazza in occasione dello sciopero del sindacalismo di base e a fine maggio in alcune città si promuovono sit-in e occupazioni simboliche degli uffici scolastici provinciali. Ancora a giugno, ed è storia recente, la povera Gelmini scopre che non può muovere un passo, neanche nelle province più remote, senza che frotte di contestatori la inseguano per ricordarle cosa sta portando avanti.

4. Alcune considerazioni sul quadro politico e sindacale.

I pestaggi del 29 ottobre a piazza Navona ci mostrano una estrema destra disposta ad assumersi il compito di intimorire studenti e picchiare su commissione. La destra, per parte sua, non sta alla finestra ed offre subito protezione: in parlamento Bocchino e Nitto Palma, sottosegretario agli interni, si scagliano ferocemente contro la sinistra antagonista che avrebbe aggredito i poveri nazi-skin.[14]

Come tutti sanno al bastone si accompagna sempre la carota. Nella maggioranza in particolare la Lega soffre del disinnamoramento del proprio popolo, che è composto anche e soprattutto da operai che non gradiscono la prospettiva di vedere uscire i propri figli da scuola alle 12.30.[15] Da un lato si corre ai ripari rassicurando sulla possibilità di scelta di modelli orari più ricchi delle 24 ore, anche se appare subito chiaro che le ore "in più" non costituiranno un completamento di un progetto didattico, ma un vuoto doposcuola. Dall'altro si scarica sui bambini "migranti" anche la responsabilità dei limiti del nostro sistema scolastico. Parlamentari che hanno sempre avuto un rapporto conflittuale con il mondo dell'istruzione, senza consultare alcun docente, giurano che il lavoro di noi insegnanti sarebbe molto più facile se non fossimo ostacolati da un'invasione di zingari e piccoli neri. Ancora una volta si istiga all'odio razziale, si intercettano e si infiammano i sentimenti più retrivi del nostro popolo e, con la mozione Cota, approvata alla Camera il 14 ottobre, si promuove una "discriminazione transitoria positiva",[16] musica per le orecchie di tanta povera gente abituata a credere che i propri guai siano "importati" da chi è ancora più povero.

Se in fondo la maggioranza svolge in questa vicenda quello che è il ruolo che gli compete, più difficile è comprendere la logica che muove la cosiddetta opposizione. Il dibattito sulla scuola non appassiona l'UDC di Casini, e sembra interessare solo a corrente alternata l'IdV di Di Pietro, che si sofferma su aspetti "gustosi", ma secondari, come l'"imbroglio" della Gelmini, che nel 2001 si era finta residente a Reggio Calabria, solo per superare più agevolmente l'esame di Stato.

Il PD, poi, ha un governo ombra mica da ridere e un ministro, ombra, dell'istruzione, di tutto rispetto, Mariapia Garavaglia, che in una intervista a Radio Anch'io del 10 ottobre dichiara: "ci voleva la razionalizzazione della spesa ed eravamo disponibili a valutare fino a 6 miliardi". Tra gentiluomini non ci si formalizza per pochi spiccioli e il PD non si scandalizza più di tanto per gli 7,8 miliardi di tagli alle scuola pubbliche. Si indigna il 5 novembre, però, insieme alla conferenza dei vescovi, per i 133 milioni tagliati alle scuole private, tanto da ottenere che vengano ritirati nel giro di 24 ore.[17]

Con una maggioranza così, con una opposizione assente, qualcuno spera che il santo buono a cui rivolgersi possa essere il presidente della Repubblica Napolitano, così lo si sommerge di petizioni e si intasa la sua casella postale di suppliche. Si spera di non aver inteso le sue parole, quando, il 29 settembre, in merito all'Istruzione, dichiara che bisogna fare "scelte coraggiose di rinnovamento"[18], ma tutto è molto più chiaro quando, a distanza di un mese, firma la legge 169 senza battere ciglio.

Se fissiamo l'attenzione sul passaggio "chiave" segnato dal 29-30 ottobre vediamo anche IdV e PD scendere apertamente in piazza e far sentire la propria voce vibrante: è la brevissima, ma intensa stagione della campagna referendaria. Oggi pochi lo ricordano, ma per qualche giorno l'opposizione non parla d'altro, sembra la panacea di tutti i mali e ha un effetto soporifero su un movimento che sarebbe costretto a fare un ben diverso salto di qualità.[19]

Anche quella che una volta chiamavamo "la sinistra" non ha dato grandi segni di vita nei "mesi decisivi". Voglio dire che le strutture dei partiti che la costituivano si sono eclissate con il venir meno della rappresentanza parlamentare e, se Comunisti italiani e Verdi sono scomparsi, Rifondazione è sembrata troppo impegnata in brutte vicende interne[20].

Il movimento, in fondo, non sembra poter contare nemmeno sull'appoggio dei comunisti più fedeli alla tradizione marxista-leninista, forse perché troppo condizionati da un antico anatema che vede nella scuola lo strumento di conservazione delle istituzioni borghesi, delle quali giustamente non piangerebbero la fine[21]. Come spiega Bucharin nell'"A.B.C. del comunismo", del 1919 "Nella società borghese la scuola persegue tre scopi principali: educare la giovane generazione dei lavoratori a uno spirito di devozione e di rispetto verso il regime capitalistico; preparare, fra la gioventù, delle classi dirigenti di ammaestratori "istruiti" per il popolo lavoratore; servire la produzione capitalistica, utilizzando la scienza per perfezionare la tecnica industriale ed aumentare il profitto dei capitalisti". Conseguentemente, con accenti diversi, i gruppi della sinistra estrema nutrono scarsa fiducia nella crescita di un "movimento della scuola", soprattutto in assenza di un valido contraltare di fabbrica, che effettivamente lo scorso autunno non ha fatto sentire la sua voce come sarebbe stato lecito sperare. Non è qui in discussione il ruolo che avrebbe potuto avere, per la protesta della scuola, la contemporanea presenza di un movimento più vasto. Sembra però evidente che questo non si è avuto o è stato molto parziale, tanto che tutti i tentativi di creare un'auspicabile "unità dei settori in lotta" si sono trasformati, per il momento, in una finzione[22].

Anche con il mondo sindacale il movimento della scuola ha avuto un rapporto difficile.

Il sindacalismo di base, soprattutto in quelle componenti che più ricordano la struttura di un partito, ha spesso mostrato nei confronti del movimento della scuola una "diffidenza" simile a quella dei "marxisti". La mia sensazione è che, constatata l'impossibilità di legare la lotta della scuola a quella di un mondo operaio ancora fermo sui blocchi, si sia deciso che la prima non aveva possibilità di successo. Non per questo la si sarebbe abbandonata a se stessa, perché i cortei e le assemblee di docenti e studenti costituiscono il luogo ideale per acquisire nuovi militanti, o per affermare e consolidare posizioni politiche da poter spendere con successo alla partenza del vero movimento.

Più "a destra" i segretari della CISL e la UIL, con una tempistica eccezionale, il 30 ottobre non sono presenti sul palco per salutare le folle di lavoratori alle quali hanno chiesto di scioperare, ma al cospetto di Brunetta per firmare l'accordo separato con il quale accettano gli aumenti di 40€ netti.

La politica seguita dalla CGIL, poi, meriterebbe un capitolo a parte, per quanto si sia mostrata a dir poco contraddittoria, in molti passaggi chiave. A tal proposito appare ambiguo, ad esempio, il silenzio in merito al "laboratorio di sviluppo e sostegno all'innovazione", promosso dal ministero alla fine di aprile, che prevede l'anticipo del riordino, ai sensi del regolamento del 18 dicembre, in alcuni Istituti tecnici a partire dal prossimo anno scolastico. A Milano vengono coinvolte 15 scuole superiori, molte delle quali, si dice, presiedute da dirigenti vicini alla CGIL. Anche in merito ai reali contenuti di questa "sperimentazione" (non si usa nemmeno questo termine, tanto per restare ancora più nel vago) non si sa molto: impossibile trovare uno straccio di programma da nessuna parte. Insomma alle scuole viene chiesto di firmare una vera e propria cambiale in bianco "a sostegno dell'innovazione", cioè del riordino degli istituti tecnici (alias "riforma Gelmini"). Ci sono tutti gli elementi per rigettare al mittente la polpetta avvelenata, ma invece "l'anticipo di riforma" trova ottimi sostenitori proprio tra colleghi illuminati e di sinistra[23]. Il maggiore sindacato italiano non prende posizione ufficiale in merito.

La contraddittorietà del mondo "riformista", sindacale e politico, ha probabilmente radici profonde e, comunque, ha anche a che vedere con le scelte fatte non solo negli ultimi mesi, di opposizione, ma anche in quelli precedenti, o negli anni precedenti, dei "governi amici".

Si sa, ad esempio, che la commissione che si è occupata di progettare la riforma degli Istituti tecnici, a differenza di quella che si è occupata dei Licei, è quella voluta da Fioroni. Il nuovo ministro non l'ha rimossa, né ne aveva bisogno, visto che svolgeva diligentemente il suo compito e disegnava modelli orari che tagliavano molto più delle 3 ore settimanali richieste e visto che ha continuato a programmare percorsi di studio in perfetta sintonia con le richieste del mondo confindustriale.

Va sottolineato che il richiamo alle esigenze del mondo della produzione, nella riforma "progressista" degli Istituti tecnici e professionali, è continuo ed ossessivo. I rappresentanti delle imprese potranno sedere al tavolo dei commissari dell'esame finale di Stato, svolgere lezioni e, soprattutto, sedere con pari dignità (e pari numero di componenti) nel comitato tecnico-scientifico, con potere per ora solo consultivo, ma sin da subito determinanti nelle scelte di organizzazione didattica. Un'ulteriore, preoccupante accelerazione in direzione di una "aziendalizzazione" delle nostre scuole verrà impressa dalla approvazione del DDL Aprea, che si vuole conseguire già in questo mese di giugno e che pure non sta vedendo l'opposizione che meriterebbe da parte dell'universo riformista.



5. Una riforma "a treno in corsa", che cambia volto continuamente.

Ciò che in questi mesi più ha disorientato chi nelle scuole prova a studiare e a lavorare sul serio è che si è approvata e si resa operativa con effetti immediati, per l'ansia di apparire efficienti e inflessibili, la parte di manovra che si voleva pubblicamente visibile: una operazione di facciata che si può definire "per una scuola seria", ottima dal punto propagandistico perché riassunta in slogan unanimemente condivisibili, e che non costa un euro! Si è affermato con grande enfasi di voler premiare il merito, anche se dietro la facciata non c'era assolutamente nulla. Si è affermato di voler promuovere una scuola più severa e in questo caso si dava sostanza all'affermazione approvando le nuove norme sull'ammissione all'Esame di Stato del prossimo 25 giugno. Ad inizio anno vigevano le "vecchie" norme (DM 42 del 2007), poi, il 13 marzo, il CdM stabiliva che, per l'ammissione, era necessario almeno il 6 in condotta ed in tutte le materie, in ultimo, l'8 aprile, il ministro ci ripensava emettendo la circolare n.40: è ammesso all'esame di Stato chi ottiene la media del 6!

Per comprendere come il ministero abbia poche idee, ma confuse, si pensi alla tanto propagandata bocciatura con il 5 in condotta. Viene sbandierata con grande clamore, approvata con la legge 169, di ottobre, e se ne specificano i contenuti con il DM 5 del gennaio 2009. Si dice che il 5 in condotta si attribuisce per "comportamenti di particolare gravità [...] che comportino l'allontanamento temporaneo dello studente dalla scuola per periodi superiori a 15 giorni". Lo schema di regolamento del 13 marzo, però, stabilisce che il 5 si applica nei casi di mancanze ai doveri di: "...frequentare regolarmente i corsi e assolvere assiduamente agli impegni...avere nei confronti degli altri lo stesso rispetto, anche formale, che si chiede per se stessi ...utilizzare correttamente le strutture, i macchinari e i sussidi didattici e non arrecare danni", ossia la casistica diventa vastissima ed enorme il potere discrezionale dei docenti, che in molti casi intravedono la possibilità di recuperare l'autorevolezza venuta meno negli ultimi anni. L'inasprimento degli strumenti repressivi, però, non è garanzia nell'ottenimento di una maggiore rispetto e ne è prova il modello scolastico anglosassone, che da anni si distingue per la grande severità, senza per questo ottenere migliori successi, anzi...[24]

In verità molte delle iniziative del ministero negli ultimi mesi sembrano volte semplicemente al rifiuto e respingimento dei soggetti più deboli. Ne è testimonianza l'ultima, delirante vicenda. In questi ultimi giorni la Gelmini chiede di cambiare i criteri per la promozione degli alunni delle scuole medie, ora che gli scrutini sono in corso o si sono addirittura già svolti. Con la nota 6051, dell'8/6/2009 e un comunicato stampa del 9, specifica che i Consigli di Classe possono promuovere gli alunni che hanno palesato solo delle lacune non gravi e recuperabili, a patto però che esplicitino le motivazioni, espresse a livello collegiale. Non sarebbe quindi consentita l'assegnazione di sufficienze "in rosso", che rimandano al reale voto insufficiente, che è già stato espresso e registrato da diversi Consigli di Classe in questi giorni. Insomma molte promozioni e bocciature sono già state deliberate ed è probabile che alcuni Presidi si vedranno costretti a riconvocare gli scrutini.

Il problema è anche che queste norme, cambiate ad anno in corso, offriranno il fianco ai ricorsi dei genitori che riterranno i propri figli ingiustamente danneggiati, con ottime possibilità di successo, se potranno permettersi le spese legali. Si premierà così il censo, non certo il merito.

Anche per il futuro sono previste riforme che stravolgeranno i piani di studi degli studenti, a percorso già avviato. Il nuovo modello di Licei approvato dal CdM del 12 giugno, ad esempio, prevede a partire dall'anno scolastico 2010-2011 modifiche strutturali sostanziali per i piani di studi non più soltanto per le classi prime, ma anche per le seconde. È una truffa ai danni dei ragazzi: oggi ti faccio scegliere una scuola e domani ti ritrovi d'ufficio in un'altra, spesso completamente diversa. La stessa cosa, nelle intenzioni del governo, dovrebbe avvenire anche per gli istituti tecnici e professionali, dove gli stravolgimenti dei piani di studi sono ancora più radicali e sono numerosi i corsi interamente cancellati. In questo modo un alunno che si iscrive al primo anno di scuole superiori potrebbe non trovare più intere discipline: al Grafico o all'indirizzo Moda, ad esempio, studierebbe l'arte etrusca, ma non approderebbe mai a quella romana, perché la Storia dell'arte non è tra le discipline contemplate negli istituti tecnici del futuro. Ci sarà chi vedrà scomparire interamente il proprio indirizzo, come le migliaia di ragazzi che questo anno si sono iscritti agli indirizzi Erica, o Igea, o Mercurio... Anche chi oggi si iscrive al secondo e al terzo anno dei tecnici e dei professionali non potrà dormire sogni tranquilli: le ultime versioni in circolazione della "riforma" prevedono infatti la riduzione a 32 ore (mediamente oggi ne hanno 36) anche per le terze e le quarte classi del 2010-2011, pur permanendo il precedente ordinamento. In questo caso è demandato ad un futuro decreto la scelta delle discipline da "sacrificare" in nome del sacro principio del risparmio di spesa.



6. La risposte del movimento reale.

È chiaro che propongo qui solo per semplicità di esposizione una divisione netta tra un mondo istituzionale (politico e sindacale) e una "base", divisione che nella realtà esiste solo in parte o meriterebbe un maggiore approfondimento. So benissimo, ed è utile precisarlo, che a manifestare, c'erano anche quelli che votano "comunista", o "verdi", così come c'erano quelli che votano Pd o IdV. Non me la sentirei affatto di escludere di aver marciato spalla a spalla anche con qualche elettore del centro-destra. Quello che ho provato a spiegare è che, almeno da parte delle segreterie dei partiti e sindacali, o anche solo della stampa più vicina al mondo dell'opposizione, non c'è stata l'attenzione che un problema di tale rilevanza avrebbe meritato.

Insomma il movimento della scuola si è trovato a "dover fare da solo", soprattutto a fine ottobre, quando, con l'approvazione della 169, ha sentito che nemmeno manifestazioni enormi e lo sciopero più partecipato della storia della scuola sembrava scalfire la monoliticità del governo. In quel momento è come rimasto a metà del guado, non ha saputo o potuto fare il salto di qualità decisivo.

Malgrado ciò ha spesso sorpreso per la sua vivacità e longevità (sono già oggi in programma tante iniziative per il mese di luglio e di settembre).

Sorprende l'entusiasmo con il quale tanti studenti hanno saputo dare vita all'Onda. La riforma taglia tempo scuola, discipline e contenuti, dovrebbe quindi essere manna dal cielo per i peggiori allievi e invece... forse per la prima volta ci si trova di fronte ad un movimento studentesco che prova a difendere il suo diritto a crescere e maturare nella scuola. Studenti che rifiutano la comodità di una riforma che chiede che "lavorino meno" e cominciano a farsi domande su come sia possibile studiare non di meno o di più, ma meglio, in un ambiente scolastico più accogliente e disposto "ad ascoltare".

Senza imbastire nemmeno la parvenza di un dialogo, senza alcun riguardo per le istanze delle quali quei ragazzi si fanno portatori, il governo li ha bollati come una minoranza insignificante, ha minacciato rappresaglie esemplari e ha costruito la finzione di un movimento simmetrico e contrario di disciplinati sostenitori della riforma. Sono stati questi studenti, spesso spalla a spalla con bidelli, docenti e in tanti casi con i loro stessi genitori, che hanno dato vita tra novembre e dicembre, quando pure l'attenzione sulla scuola era molto diminuita, a comitati e coordinamenti.

Sono stati i loro insegnanti, spesso precari, a promuovere delibere nei collegi docenti, con le quali hanno espresso preoccupazione e contrarietà nei confronti del programma di tagli Gelmini-Tremonti. Hanno animato seminari e le assemblee, per spiegare i veri contenuti della "riforma", i presidi di piazza, le lezioni in strada insieme ai ricercatori universitari.

Credo pure si possa affermare che chi ha animato l'Onda ha avuto l'intelligenza di interpretare i differenti "momenti" e, alla fine del 2008, di rimodulare l'intervento, rispetto ad una manovra che stava avanzando, ma che in mancanza degli strumenti attuativi (un Piano Programmatico approvato) non si poteva dire ancora licenziata.

Abbiamo insieme continuato con pazienza a costruire comitati in ogni scuola, abbiamo intessuto più reti di contatti: quella animata dalle scuole elementari e quella delle superiori, quella dei precari e quelle finalizzate a costruire i contatti tra le diverse città. Da questo punto di vista non sempre è stato tutto facile, forse anche perché non potersi guardare negli occhi può dare più facilmente adito ad equivoci, perché comunicare soltanto in rete è difficile o perché qualcuno ha provato davvero a mettere il cappello ai "coordinamenti nazionali". Non lo so, vedo la cosa dal mio punto d'osservazione particolare, qui in Brianza, e non ho elementi sufficienti per dirlo, so per certo che su questo aspetto dovremo fare meglio in futuro, così come dovremo capire come sia potuto succedere che le "scuole medie" siano rimaste estranee al movimento e abbiano finito per pagare il tributo più salato.

Interrogarsi sui limiti non è mai una perdita di tempo e non è utile nascondersi che il numero di "non docenti" (o operatori ATA, o personale ausiliario e di segreteria, a seconda delle preferenze) coinvolti attivamente nelle iniziative "di movimento" è stato davvero basso. Il dato è ancor più significativo se si pensa che sono destinati a pagare un tributo di "teste tagliate" percentualmente superiore a quello degli stessi docenti e se si considera che hanno aderito ai diversi scioperi in modo massiccio, come mai prima di questo anno. La riflessione che si rende necessaria ha anche a che vedere con la distanza, o "puzza al naso", che alcuni tra gli insegnanti mostrano nei confronti dei non docenti o, in misura ancora maggiore con la diffidenza che nasce dall'aver assimilato anche noi professori alcuni dei luoghi comuni del tipo: i bidelli non fanno niente, il personale di segreteria è sempre maleducato e incompetente, nascosto dietro i monitor per fare i solitari o svolgere un secondo lavoro. Tra i bidelli, gli impiegati delle segreterie e i docenti, come tra tutte le categorie, c'è chi fa il proprio lavoro sul serio e nel rispetto degli altri e c'è chi pensa a risparmiare le energie: è paradossale, ma pure succede, che nello stesso ambiente di lavoro ci si possa far dividere dalle banalità e si possa cominciare a credere anche noi che "in fondo a quello ben gli sta se perde il posto!"

I nostri comitati, laddove sono nati, hanno provato a superare questa "distanza tra i ruoli" e a coinvolgere tutte le componenti di lavoratori della scuola e anche gli studenti, non solo: hanno provato a ricercare un rapporto con le famiglie dei ragazzi. È stato importante, perché alcune decisioni, come il rifiuto a fare straordinari o ad accompagnare le classi in viaggio d'istruzione, sarebbero apparse impopolari e controproducenti se non si fosse spiegata l'effettiva volontà. Bisognava mostrare che già oggi la scuola ha risorse insufficienti a garantire il "normale funzionamento" e che si riesce a "sopravvivere" grazie a tanto spirito di sacrificio e volontariato gratuito e che, ancora, si possono sacrificare le gite, oggi, per lasciar intendere cosa non sarà mai più possibile fare domani.

Anche in questi giorni, con le scuole che "chiudono per ferie" i nostri comitati continuano a mostrarsi preziosi, come testimonia la delibera del 12 giugno, con la quale i docenti dell'IC Thouar-Gonzaga hanno espresso "profonda indignazione per la mancata tutela dei diritti dei minori extracomunitari", ai quali il Comune di Milano chiede di esibire il permesso di soggiorno per consentire loro l'iscrizione ai centri estivi e ai centri vacanze per bambini dai 3 a 14 anni.

Abbiamo lavorato, a partire ognuno dalla propria realtà lavorativa o di studio, dovendo pure constatare che se gli organismi sindacali centrali non son sembrati "molto affidabili", le loro rappresentanze nelle scuole si sono dimostrate spesso assolutamente inadeguate ad affrontare l'attacco feroce che il Ministero ha mosso alla scuola pubblica. Le RSU, non sempre, ma spesso, sembrano essersi specializzate negli anni, nella migliore delle ipotesi, nella consulenza del lavoro: sanno al più fornire suggerimenti sul calcolo dell'anzianità o sulla normativa relativa ai permessi non retribuiti, ma non sanno, o non ricordano più, come si scrive un volantino, si organizza un corteo e si prepara uno striscione.[25] Poco male: il movimento ha saputo darsi, nel corso di questi mesi, nuove figure di riferimento e, spesso, inaspettatamente, non sono stati quelli che nelle scuole erano conosciuti da sempre come "veri duri", ma studenti primi della classe, bidelli che non piegano la testa, i più taciturni tra i professori e insospettabili giovani insegnanti precarie (proprio quelle che Cossiga avrebbe voluto far massacrare), a volta iscritti e iscritte, per i casi della vita, alla UIL o alla CISL, o chissà a cosa.

Il movimento contro la "riforma" si è mosso per primo nel denunciare, già durante l'inverno, il fatto che già oggi molte scuole sono "sofferenza economica" perché costrette ad anticipare le somme per il pagamento dell'ordinaria amministrazione, delle visite fiscali rese obbligatorie anche per un solo giorno d'assenza e delle supplenze. Questi Istituti vedono crescere a dismisura il credito vantato nei confronti di uno Stato che da mesi non eroga quanto dovuto e hanno dovuto rinunciare a corsi di recupero per studenti in difficoltà, risparmiare sulla carta igienica e lasciare "scoperte" le classi con docenti in malattia.

E ancora, in particolare il movimento delle superiori ha denunciato con forza i guasti che potrebbe causare l'aumento del rapporto alunni per classe. Le "norme per la riorganizzazione della rete scolastica", approvate a febbraio, prevedono infatti un numero minimo per la costituzione delle classi prime pari a 27 alunni e un massimo di 30, con una possibile oscillazione del 10%. Ciò equivale a dire che dal prossimo anno dovranno esserci dai 25 ai 33 alunni per classe, con conseguenze immaginabili sulla didattica, perché chiunque abbia provato ad insegnare sa che non è possibile svolgere una lezione decente in una classe affollata. Inoltre un'aula gremita è un'aula potenzialmente pericolosa, perché nessuna o quasi delle nostre scuole può garantire la sicurezza con classi di 27 o 33 alunni. Non a caso negli anni una serie di norme hanno cercato di fissare criteri che non dovrebbero essere ignorati, per affrontare possibili incendi e calamità naturali. In particolare il punto 5 del decreto 26/8/1992 del Ministero dell'Interno: "Norme di prevenzione incendi per l'edilizia scolastica", pone un limite massimo di 26 alunni per classe. Il D.M. 18/12/1975 indica inoltre "gli spazi minimi vitali per garantire la funzionalità dei locali scolastici", pari a 1,96m2 per alunno. Molti moderni edifici scolastici hanno infatti aule di 52m2, perché contengano non oltre 26 persone. Di recente nel DLgs 81/08 (Testo unico della sicurezza sul lavoro) si è definita la scuola "luogo privilegiato per promuovere la cultura della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro". Eppure in questo luogo "privilegiato" si vogliono inscatolare un numero tale di alunni che già il minimo (27 per classe) è superiore al massimo consentito dalle norme anti-incendio. I nostri comitati e i nostri coordinamenti territoriali si sono battuti, quindi, soprattutto nelle ultime settimane, per denunciare il rischio che possano ripetersi, anche e soprattutto a causa delle ultime novità legislative, nuove terribili tragedie. Non vogliamo che si arrivi fino a questo punto per poter aprire gli occhi o per dover sentire di nuovo le intollerabili parole di un governo che, colpevole, scarichi le proprie responsabilità sull'onnipresente fatalità! Abbiamo chiesto ai Dirigenti, in quanto responsabili della sicurezza negli edifici scolastici, di non cedere ai ricatti del ministero[26] e di rispettare le norme suddette.

Il nostro movimento ha denunciato e sta provando a denunciare, ancora una volta senza poter contare su un significativo appoggio dei sindacati confederali, le possibili conseguenze della "Disegno di Legge Aprea", che il governo intende approvare prima della fine di giugno. Abbiamo sottolineato che, come sempre senza consultare con il mondo della scuola, diversi suoi principi sono stati già introdotti e approvati all'interno di altri provvedimenti legislativi (come, ad esempio, la "riforma" dei Licei del 12 giugno) e che intende trasformare le nostre scuole in fondazioni (Art.2) con partner pubblici e privati. Queste saranno strutturate secondo un rigido modello piramidale (Art.3) con il dirigente al vertice e, più in basso, il suo vice, il "Consiglio di amministrazione" che sostituisce quello di Istituto (Art.5 e 6) e il Collegio dei docenti. Tra questi verrà stabilita una precisa gerarchia (art.17) con docenti "esperti" (quei baroni che, lungi dall'essere cancellati dalle università, vengono proposti anche alle superiori), docenti "ordinari" e, buoni ultimi, quelli "iniziali", sottopagati e continuamente ricattabili, perché soggetti a controlli periodici, come la caldaia.



7. I risultati ottenuti e il "Che fare".

Questo mio scritto non ha la pretesa di proporre ricette per il futuro, ma di dare un piccolo sguardo all'indietro, riflettere sulla strada fatta e capire "a che punto siamo", interrogarci sui limiti nostri e sugli ostacoli che dovremo superare se, come sono convinto, ripartiremo con grande forza in autunno. Molti nodi da sciogliere e temi da trattare credo siano contenuti nell'analisi delle "risposte del movimento reale". Sono convinto che potremo scioglierli se sapremo portare avanti, non disgiunte, l'analisi (i seminari, le assemblee) e l'attività pratica nelle scuole (le petizioni, le mozioni) e nelle piazze, senza cadere nel tranello, anche noi, della distinzione dei ruoli, senza dottrina calata dall'alto e massa che esegue. Dobbiamo continuare a fare informazione, in modo capillare. Non credo esistano scorciatoie e certo non avremo grandi partiti o sindacati a guidarci, come non li abbiamo avuti sino ad ora: dobbiamo fare da soli, "loro", al più, seguiranno.

Se gente come noi ha potuto e saputo accompagnare anche chi non si arrendeva ai tagli, ma non avrebbe mai fatto il primo passo, se siamo arrivati in piedi fino a qui, fino alla fine dell'anno, è stato perché abbiamo avuto sino ad ora l'intelligenza di non farci dividere da rivalità che non ci riguardano, di non badare alla tessera di chi "vuole starci", ma alla bontà delle sue idee e al fatto che siano sempre e soltanto finalizzate al raggiungimento del nostro obiettivo principale, che è la difesa dell'istruzione pubblica, e quindi, anche, quella delle nostre condizioni di vita e di lavoro.

Nell'illustrare la campagna per la sicurezza nelle scuole ho detto delle petizioni e dei documenti prodotti in diverse realtà per denunciare le carenze strutturali e richiedere il rispetto delle norme vigenti. Non possiamo nasconderci che siamo riusciti a farlo in un numero limitato di Istituti, perché mai come in questo caso abbiamo dovuto affrontare l'inaspettata resistenza di diversi colleghi e, soprattutto, delle loro rappresentanze sindacali.

Anche su questo dovremo interrogarci, o meglio dovremo chiederci se è opportuna la connivenza che dimostriamo tutte le volte che intendiamo proteggere il "nostro Istituto", ad esempio dalla possibilità che si "sappia in giro" che nasconde carenze, strutturali o di altro tipo. Sappiamo che chi difende la "sua scuola" lo fa per evitare emorragie di iscritti verso altri istituti e a volte anche con l'obiettivo nobile di evitare che dei colleghi siano costretti a trasferirsi, ma è una politica che non paga affatto, anzi. Alla lunga siamo omertosi e complici dell'impoverimento della Scuola pubblica, protagonisti di una battaglia che difende il posto di lavoro mio o del mio collega affinché si tagli quello di chi lavora nell'Istituto del marciapiede di fronte... non è dignitoso, non è utile, non serve ai ragazzi, eppure succede.

E non serve affermare che mostrare i nostri difetti aiuta la scuola privata a guadagnare sempre più iscritti, perché a fare quello ci ha già pensato il ministro dell'istruzione pubblica e sempre più vorrà farlo domani se non alziamo la voce oggi, gridando e spiegando a tutti, con chiarezza, come si vive e si studia oggi tra le mura della scuola. Forse spetta a noi in prima persona il compito di spiegare ai cittadini cosa è molto spesso la scuola privata: un luogo dove non solo il rispetto delle garanzie sindacali è un optional, ma lo sono anche le norme sanitarie e di sicurezza, ancor più che in quelle pubbliche. È un luogo dove raramente si garantisce il rispetto delle differenze religiose e dove il sostegno ai disabili è condizionato alla possibilità delle famiglie di pagare, e profumatamente. È un luogo dove il primo obiettivo è il profitto, che porta al reclutamento di personale super-precario, di docenti raramente abilitati e che a volte non hanno nemmeno titolo ad insegnare la propria materia, come ha dimostrato il "libro bianco" pubblicato il 3 aprile, non ci si crederà, dalla UIL.

Rifiutare gli atteggiamenti omertosi è forse oggi più facile, vista l'enorme numero di lavoratori precari della scuola, ai quali non interessa "rubare iscritti" alla scuola di fronte, perché l'anno prossimo potrebbe essere proprio quella la "propria" scuola. Raccontare la scuola è necessario, perché forse il risultato più grande che ha ottenuto questo movimento è stato proprio quello di costringere tutti a parlare di scuola. Possiamo iniziare a farlo ribellandoci a chi ci vuole bersaglio di una retorica ignorante, rifiutando le banalità e i luoghi comuni dei benpensanti di ogni epoca e di ogni colore politico. Oggi, ad esempio, Giordano, direttore del "Giornale" di Berlusconi, presenta la sua opera: "Cinque in condotta. Tutto quello che bisogna sapere sul disastro della scuola", è solo l'ultimo esempio di come si costruisce da sempre la corrente mitologia sulla scuola, senza curarsi di indagare la fatica quotidiana dei ragazzi per studiare e per crescere, per aprirsi agli altri, l'impegno e l'amore che ci mettono tanti docenti e tanti bidelli, per accompagnarli, per offrirgli un piccolo universo migliore del mondo "brutto" che vivono fuori. I grandi giornalisti preferiscono guardare dallo spioncino, partendo da barzellette inventate o episodi piccoli, ingigantendoli, rendendoli verità universali, dipingere la scuola, come fa il triste direttore del "Giornale", come il luogo dove si è convinti che nei Promessi sposi ci siano "tre preti: don Abbondio, don Cristoforo, don Rodrigo" e dove i ragazzi credono che l'ultimo libro della Bibbia sia "La pocalisse". Molto originale, per chi come Giordano non ha mai letto "Memorie di un vecchio professore" di Michele Lessona, che narra di quel docente che chiede "cosa vuol dire nubile?" e che si sente rispondere "vuol dire che vuol piovere". Non credo Giordano sappia che Lessona era amico di De Amicis e che raccontava queste banalità molto più di cento anni fa. Ignora probabilmente che tale Dino Provenzal nel suo "Il manuale del perfetto professore" si è già scagliato, come fa lui, contro il lassismo dei professori e "i giovani che non leggono più nulla", ma non ha attribuito la colpa ai guasti del '68, perché ha scritto i suo libro nel 1921. Potremmo continuare: tanti altri testi "sacri", tutti ugualmente arguti, hanno bersagliato la scuola pubblica dall'unità d'Italia a oggi, ma a chi è servito?

Noi oggi, grazie alla Gelmini (!), abbiamo la fortuna di poter avvicinare più facilmente il "mondo esterno" alla scuola, cioè esattamente quei lavoratori che, in tanti, me compreso, dicono che sono fondamentali per costruire quell'unità che garantirà il successo delle nostre lotte.

Non dobbiamo inventarceli, sono lì, in carne ed ossa, sono, anche se ancora troppo di rado, nei nostri comitati scolastici, hanno affollato le assemblee, i presidi e i cortei che abbiamo costruito con i nostri coordinamenti territoriali. Sono in primo luogo i genitori dei nostri alunni e, con loro, ci sono gli stessi nostri alunni, che abbiamo la fortuna di poter incrociare quasi quotidianamente, con i quali dobbiamo imparare a confrontarci sul serio, senza cadere nella tentazione di etichettarli prima ancora di aver imparato ad ascoltarli. È una grande occasione, perché con loro, insieme, possiamo finalmente iniziare a parlare davvero di "autoriforma" della scuola, capire cosa si aspettano i ragazzi dalla scuola, e non cosa si aspetta da loro "la realtà produttiva territoriale".

Come lavoratori della scuola, precari o meno, non possiamo pretendere di portare avanti una battaglia che guardi solo alle nostre tasche e alla nostra stabilità e chiedere che tutto il mondo attorno, chissà perché, si mostri solidale e pronto alla sollevazione popolare.

La nostra iniziativa non deve mai essere autoreferenziale: noi ci battiamo per la difesa dei nostri diritti e del nostro posto di lavoro, ma noi ci battiamo anche e soprattutto perché i bambini e i ragazzi, tutti a prescindere dal censo, possano avere accesso allo stesso modo ad un sapere quanto più possibile libero. Noi ci battiamo perché ai bambini si possa dare la possibilità di esprimere ognuno i propri bisogni, costruire e rivelare la propria personalità, in un ambiente che possa prestare attenzione ad ognuno di loro singolarmente, e quindi in una classe non affollata e dove la maestra può avvicinarsi a te, perché sa che ce n'è un'altra a seguire gli altri.

Noi vogliamo che le "medie" diventino davvero la scuola dell'orientamento, e non dell'esclusione dei più deboli, che non si cancellino i laboratori pomeridiani, che si possano sviluppare quelle abilità pratiche che gratificano anche coloro i quali non amano lo studio, o non hanno avuto la possibilità di poterlo amare.

Noi ci battiamo perché le aule delle superiori non contengano 33 alunni e, in generale, perché la scuola sia un luogo sicuro. Noi ci battiamo per una scuola che non escluda gli ultimi e non emargini i "diversi". Noi ci battiamo perché, al contrario, sia un modello di "inclusione" e di confronto e perché chi ha maggiori difficoltà possa trovare grazie alla scuola la sua strada, diversa per ognuno e parimente dignitosa.

Noi dovremmo affermare che la prima missione della scuola non è la "costruzione" di un futuro lavoratore e che quindi non è prioritario che l'alunno/a si formi sulla base delle momentanee esigenze "delle realtà produttive locali", anche perché queste stesse si dimostrano mutevoli e faranno di quelle ragazze e quei ragazzi degli uomini e delle donne ormai inutili, inservibili, frustrati.

Noi dovremmo, per quanto sappiamo e possiamo, lavorare per far nascere nei ragazzi quello spirito critico, quella capacità di interpretazione e quella curiosità per la conoscenza, per tutto ciò che li circonda, che forse non li farà diventare ricchi, ma appena un po' più liberi. Noi ci battiamo anche per affermare che la ricchezza, e tutti i suoi simboli, non sono un valore.

Senza per questo voler indottrinare nessuno, sorretti dalla presunzione di ritenere che se sapremo insegnare un metodo, questi ragazzi impareranno da soli a distinguere il giusto dal falso.





Tullio Carapella, 13 giugno 2009

[1] La grande montatura mediatica relativa ad abusi sessuali su minori da parte di maestre e bidelli, nell'istituto a tutti noto come "scuola degli orrori" di Rignano Flaminio, risale al maggio 2007. Il Ministero dell'Istruzione non ritiene di dover intervenire a difesa della presunzione di innocenza dei propri dipendenti fino alla conclusione del processo.

[2] È possibile che nel tentare di richiamare i passaggi più importanti di questo anno scolastico "movimentato" possa trascurare qualche avvenimento che altri riterranno essenziale. Me ne scuso anticipatamente.

[3] Lo sciopero del 17, proclamato dal sindacalismo di base, riguarda tutte le categorie, ma ha un successo al di sopra delle aspettative soprattutto nelle scuole: circa la metà degli istituti è costretta a chiudere. La manifestazione nazionale a Roma conta centinaia di migliaia di partecipanti, il no-Gelmini day Milanese quasi 50.000.

[4] Proclamato dai sindacati confederali, ai quasi si uniscono anche i sindacati di base, con adesioni intorno al 70%, è lo sciopero dei lavoratori della scuola più partecipato della storia della repubblica. Il percorso del corteo romano si dimostrerà troppo breve per veder sfilare l'enorme numero di manifestanti (un milione secondo gli organizzatori), tanto che la coda del corteo non riuscirà a partire, ma anche Torino, Milano e altre città del centro-nord accoglieranno manifestazioni di grandi dimensioni.

[5] Il candidato di centrosinistra, che vincerà in modo schiacciante, fa del rifiuto della "riforma Gelmini" la sua bandiera (l'autonomia del Trentino gli consente di non applicarla). PDL e Lega subiscono un tracollo nei propri consensi.

[6] Non intendo qui dilungarmi sulla facilità con la quale un presidente del Consiglio può mentire ai propri cittadini, e nemmeno sulla pochezza dei giornalisti presenti, nessuno dei quali sembra documentato sui reali contenuti della "riforma". Mi sembra importante rilevare, invece, come una maggioranza parlamentare schiacciante non si sentisse più al sicuro e si vedesse costretta a fingere (solo a fingere, come sappiamo) una clamorosa marcia indietro.

[7] I neo-fascisti vengono invitati a stare a terra, in piedi resta il loro capo, quello che i funzionari chiamano amichevolmente per nome, Francesco, che intanto si accerta che venga tutelata la salute dei "suoi ragazzi". Ad aiutarli intervengono anche Gianguido Saletnich, portavoce di Forza Nuova, e Andrea Antonini, già Fronte della gioventù e segretario di Storace, oggi consigliere in XX municipio, a Roma.

[8] Certo Maroni non sa, o meglio non gli interessa affatto, che spesso gli studenti apprendono molte più cose durante le autogestioni di quante non ne imparino nel corso di attività didattiche svolte in modo "regolare".

[9] Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Adnkronos.

[10] Il consiglio dei ministi del 18 dicembre approva 4 schemi di regolamento ai sensi dell'articolo 64 della legge 133.

1) Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale utilizzo delle risorse umane. 2) Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione. 3) Revisione dell'assetto ... dei Licei. 4) Revisione dell'assetto ... degli Istituti Tecnici. Di questi ultimi due non viene reso disponibile il testo, si sa solo che prevedono un taglio medio di 3 ore a settimana. Il ministro dichiara: "Per la prima volta, dopo la riforma Gentile del 1923, si mette mano alla scuola con un riordino organico di tutti i cicli".

[11] Nella versione approvata dal CdM del 12/6/09 si introdurrà un indirizzo tecnologico all'interno del Liceo scientifico.

[12] Il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione è un organo composto da 74 consiglieri, la maggior parte eletti dalle varie categorie del personale scolastico, ed è presieduto dallo stesso ministro della Pubblica Istruzione.

[13] Non è un complotto comunista: è chiaro che anche i genitori "di destra" non affiderebbero il proprio bambino alla scuola delle 24 ore tele-promosso dal ministro. Dall'indagine conoscitiva (decisa il 18/3 dal governo) sulle richieste di iscrizione alle elementari risulta: il 3 % delle famiglie che hanno iscritto i propri figli alla prima classe della scuola primaria ha scelto l'orario settimanale di 24 ore con il maestro unico, il 7 % ha scelto le 27 ore, il 56 % i moduli a 30 ore e il 34 % ha scelto il tempo pieno con l'orario di 40 ore. Non si comprende come possa il ministero soddisfare le richieste delle famiglie visto che i regolamenti del 27 febbraio prevedono l'attribuzione di una dotazione organica alle scuole tale da garantire il personale corrispondente ad un orario settimanale medio di 27 ore.

[14] Anche quando i neofascisti distruggono gli studi di "Chi l'ha visto?" (che aveva fatto informazione mostrando immagini dei pestaggi di Piazza Navona) al governo non si scandalizza nessuno, anzi... in fondo se l'erano cercata!

[15] Alcuni esponenti locali della Lega, in Brianza, provano coraggiosamente a prendere parte alle affollate assemblee informative sul futuro della scuola, ma vengono sonoramente contestati da mamme inferocite.

[16] Ci si è chiesto perché, trattandosi di una "discriminazione positiva", non possa essere permanente, e non solo transitoria, ma è difficile scherzare... Le classi ponte, con il pretesto di favorirne l'inserimento, renderanno gli immigrati ancora più emarginati. Non servono menti eccelse per capire che i bambini imparano giocando con gli altri bambini e che tenere cinesi insieme a rumeni e marocchini non aiuterà nessuno di loro ad imparare l'italiano.

[17] Il finanziamento alle scuole private è pari, in Italia, a 540 milioni, secondo quando stabilito dalla legge 62/2000. malgrado l'articolo 33 della Costituzione riconosca il diritto di creare scuole private, ma senza oneri per lo Stato. Non sorprende sapere che la mozione "per l'immediato ripristino dei 133 milioni al fondo scuole paritarie", è stata presentata proprio dal Ministro, ombra, Garavaglia in uno con la richiesta di aumentare ulteriormente quei fondi.

[18] Il presidente riconosce nella scuola una priorità per il Paese, ma a scanso d'equivoci aggiunge: "l'Italia deve ridurre a zero nei prossimi anni il suo deficit pubblico... Nessuna parte sociale e politica può sfuggire a questo imperativo; ed esso comporta anche, inutile negarlo, un contenimento della spesa per la scuola".

[19] Un'opposizione così Berlusconi dovrebbe pagarla. Il corteo del 30 ottobre percorre le strade di Roma tappezzate di manifesti giganti, del PD, che promuovono un referendum inutile, impossibile e perdente. Le leggi di bilancio non possono essere sottoposte a referendum e se pure il quesito fosse dichiarato ammissibile non si voterebbe prima di tre anni. Si aggiunga pure che dal '91 praticamente mai un referendum abrogativo raggiunge il quorum... non è un caso se i promotori hanno lasciato che la boutade cadesse nel dimenticatoio, dopo aver alimentato false speranze.

[20] A fine luglio si tiene a Chianciano il congresso di Rifondazione, che vedrà il partito dividersi in due componenti di pari forza, che si combatteranno senza esclusione di colpi, anche con reciproche accuse di brogli. Finirà con la sconfitta di misura e l'uscita uscita dal partito di Vendola e i suoi, che il 24 gennaio daranno vita ad un nuovo partito.

[21] Credo possa far riflettere che molte formazioni politiche legate a questa tradizione, quanto più sono "operaiste", tanto più sono costituite da docenti e lavoratori del pubblico impiego.

[22] Personalmente non sottovaluto affatto l'attualità della formula di Bucharin, anzi... abbiamo introiettato così tanto il ruolo di educatori all'obbedienza che recentemente ho letto, da una collega "molto alternativa", che noi insegnanti dobbiamo essere per gli allievi modello di rispetto delle istituzioni. L'attualità di quel pensiero è testimoniata anche dall'insistenza con la quale questo governo ha chiesto il ritorno dell'educazione alla cittadinanza. Sono convinto, però, che nemmeno i migliori rivoluzionari (sull'utilità delle riforme sociali vale la pena di rileggere la Luxemburg del 1899) escludessero che ci si possa battere per "migliorare" la scuola o perché non diventi peggiore. Infine lo stesso Nicolaj Ivanovic non ce ne vorrebbe se a distanza di 90 anni ci interrogassimo su come i giovani siano oggi addestrati al rispetto e la devozione per l'"unico mondo possibile" molto più, ad esempio, da palinsesti televisivi facilmente gestibili, che dalle lezioni che teniamo nelle "oscure aule", quando richiudiamo la porta alle nostre spalle.

[23] Il 28 aprile, ad esempio, il Collegio dei docenti dell'ITSOS di Cernusco sul Naviglio approverà "di misura" l'avvio della sperimentazione grazie all'appoggio convinto di un autorevole rappresentante sindacale della CGIL.

[24] I nostri alunni sono, forse, meno bravi dei loro coetanei d'oltralpe nel compilare un questionario prestampato, ma mai ad oggi sono entrati in una scuola con un fucile, sono significativamente meno inclini al suicidio e raramente aggrediscono i loro docenti con pugni o armi. La difesa del "prestigio" della figura del docente dovrebbe cominciare dall'opposizione di quella campagna di diffamazione, orchestrata dalla stampa e dagli stessi governi.

[25] Non pare per nulla casuale la decisione di Brunetta, del 4 giugno del 2009, di presentare un decreto che congela le attuali rappresentanze sindacali della scuola per il prossimo triennio, annullando di autorità le elezioni fissate per il prossimo dicembre. Le RSU non contano poi tantissimo, ma per il governo è sempre meglio evitare che siano rappresentative di una realtà in lotta.

[26] Il c. 5 dell'art. 64 della legge 133 contiene uno "strano avvertimento" ai Presidi: "i dirigenti scolastici, coinvolti nel processo di razionalizzazione di cui al presente articolo, ne assicurano la compiuta e puntuale realizzazione. Il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati, verificato e valutato sulla base delle vigenti disposizioni anche contrattuali, comporta l'applicazione delle misure connesse alla responsabilità dirigenziale previste dalla predetta normativa". È un modo, nemmeno tanto velato, per dire loro che se non si adeguano saranno licenziati



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