Ideologia della Prassi Scolastica
Gennaro Tedesco - 13-06-2009
Castelli di Sabbia e Cattedrali nel Deserto

Negli ultimi anni, prima come docente e poi come ricercatore nell'area educativa, ho assistito in modo solo apparentemente contraddittorio con partecipazione e distacco all'evoluzione o involuzione di quelle che possiamo definire, a torto o a ragione , le prassi quotidiane della Scuola, anche se tale "osservazione partecipata" potrebbe essere tranquillamente estesa alle prassi universitarie .
Per noi le prassi coincidono, bene o male, con tutte quelle pratiche reiterate e in qualche modo standardizzate che si effettuano nelle Scuole (e nelle Università) quasi quotidianamente. Esse possono andare dalle lezioni frontali alle così dette comunicazioni formali e informali come circolari, scambi di informazioni e discussioni tra docenti e anche tra discenti e tra genitori e interazioni e transazioni tra Scuola e territorio.
Le spinte della globalizzazione e la controspinta del localismo, la politica non solo educativa europea e nazionale, l'estensione e il consolidamento del processo di autonomia scolastica, la crisi non solo economica mondiale, hanno contribuito alla nascita e alla formazione di una vera e propria ipostatizzazione delle prassi scolastiche che, in qualche modo, in virtù di un processo tutto interno alle istituzioni scolastiche, si è trasformata in un nuovo genere di ideologia .
I numerosi interventi riformatori succedutisi quasi ininterrottamente e spasmodicamente negli ultimi anni e abbattutisi dall'esterno pesantemente sulle teste dei docenti mal pagati, in evidente crisi d'identità e senza validi, moderni e duraturi piani di aggiornamento all'altezza della sfida planetaria della complessità non solo epistemologica e percepiti dagli stessi come estrinseci e non intrinseci al loro sistema di appartenenza, la virulenza e la radicalità dei sommovimenti culturali ed educativi, l'irruenza ideologica dei genitori, assecondata demagogicamente da una classe dirigente che della Scuola, apparato debole, ha fatto merce e moneta di scambio, che ha scambiato la didattica e la formazione come qualcosa di facilmente "erogabile", "standardizzabile" e alla portata di tutti, la mancanza di investimenti e i tagli in tutti i settori della conoscenza, dalla formazione alla ricerca, la totale e assoluta alterità dei nuovi linguaggi e nuovi immaginari delle ultime generazioni di adolescenti e giovani, probabilmente con la non voluta "complicità" delle varie e cangianti gestioni ministeriali, hanno introdotto nel nostro sistema formativo, sia nella scuola vera e propria che nei pochi e in via di estinzione ricercatori e formatori addetti all'aggiornamento, una tendenza sempre più sottile e subdola alla burocratizzazione e soprattutto alla specializzazione non solo del corpo docente ma anche degli stessi dirigenti e degli stessi formatori. Tale fenomeno è in piena maturazione e non sempre viene percepito e tanto meno colto nelle sue stravolgenti dinamiche.
Di fronte all'imperversare e al dilagare di continue elaborazioni e rielaborazioni delle alchimie amministrativistiche e di ingegnerie curricolaristiche, i nostri docenti, sempre più perplessi, increduli, spiazzati e impotenti, travolti anche dalle aggressioni genitoriali, sviliti dai pregiudizi dell'opinione pubblica spesso istigata da una stampa incompetente e anacronistica che approccia la Scuola di oggi come se fosse quella dell'Ottocento e l'obsoleto Liceo come sua unica ed "avanzata "espressione formativa ed educativa e in evidente difficoltà di fronte alla Rivoluzione dei linguaggi e degli immaginari elettronici posseduti e praticati da adolescenti e giovani, reagiscono rinchiudendosi in una iperspecializzazione burocratizzata sempre più simile a quella di certa medicina e di certa giurisprudenza .
Di fronte a dirigenti e docenti non ci sono più gli allievi con i loro veri, reali e concreti problemi, con i loro urgenti, prioritari e inderogabili bisogni formativi e pulsioni vitalistiche, ma vaghi, generici, indefiniti, indefinibili, abulici e pietrificati soggetti istituzionali a cui bisogna "erogare" un servizio, quello didattico nella migliore delle ipotesi più che manualisticamente formativo .
Si moltiplicano come funghi gli "specialisti" della competenza, i sofisti del modularismo, gli entomologi dei traguardi, i filologi del curricolo, gli "obbiettivologi", i pedagogisti e i terapeuti del pronto intervento educativo e dell'urgenza formativa insieme ai metodologi e ideologi dei palinsesti informatici.
E' il trionfo del delirio geroglifico, gergale e settario .
Non sembri il nostro un riduttivo e ironico elenco della massaia e della spesa, ma la triste realtà di una Scuola che ha scambiato la prassi del quotidiano come unica ancora di salvezza. Il porto calmo e tranquillo della specializzazione del quotidiano viene visto e vissuto come unico rifugio dall'Oceano in tempesta.
La stessa così detta ricerca educativa, in quelle rarissime occasioni ormai in cui viene effettivamente realizzata sul campo, cioè nei luoghi istituzionali e reali dell'apprendimento, le scuole, viene effettuata non per introdurre forti e possenti idee innovative, ma per "massimizzare" e "ottimizzare" le pratiche didattiche e formative esistenti e alla fine ossificarle in una incipiente, latente e aberrante modulistica burocratica. I ricercatori e gli sperimentatori sono diventati gli "alleati" e gli "amici" dei docenti, non stimolatori e portatori di innovazione nei percorsi e nei processi quotidiani della didattica in laboratorio e non in"aula", il cui termine, non a caso,ha anch'esso qualcosa di tardo-antico.
Al contrario di quello che si può pensare e credere, tutto ciò non accade a caso. Questo radicale ed estremo formalismo metodologico e ideologico, questa ingegnerizzazione, sofisticazione e bizantinizzazione della didattica e in parte della stessa ricerca educativa, ridotta alle prassi quotidiane, corrispondono quasi perfettamente a quella "Logica" della "formattazione" propria della Scienza e della Tecnologia della globalizzazione capitalistica ora, però, a quanto pare, in difficoltà a causa della crisi economica mondiale. I ricercatori e i docenti, spinti e sollecitati da tutto il sistema dominante e conformistico non a partire dal laboratorio creativo, collaborativo e cooperativo ma dall'"aula" bizantina sorda e grigia, non sono più tenuti ad progettare e a elaborare un pensiero critico e divergente, ma a standardizzare, ottimizzare e massimizzare un insegnamento travestito di prassi quotidiane, ripetitive, monotone e conformistiche, spacciate per apprendimento dal "basso" .
A dire il vero, anche un certo costruttivismo dilagante ha contribuito a questo stato di cose ambiguo e confusionario. Un certo soggettivismo eminentemente intellettuale o peggio ancora intellettualistico ha inculcato in parecchi ricercatori e docenti la strana e paradossale idea che il circolo apprenditivo ed ermeneutico sia tutto e fondamentalmente riducibile a un pur proficuo scambio rielaborativo, comunicativo e informazionale a prescindere da una realtà che verrebbe solamente e semplicemente elaborata e "costruita" dai soggetti coinvolti nel circolo magico e virtuoso di un percorso e di un processo d'apprendimento totalizzante e precluso pregiudizialmente a tutti i "realisti" del sapere che, ingenuamente, si ostinano a credere nella "metafisica" della realtà non riducibile all'ideologia della prassi quotidiana .
Queste colossali cattedrali intellettualistiche, costruttivistiche e fondamentalmente auto-iper-riflessive e soprattutto autoreferenziali della didattica specialistica e specializzata della prassi quotidiana sono integrate quasi perfettamente nel contesto della costruzione dell'Unione Europea anch'essa alla ricerca di un'identità che, come e forse più della didattica specialistica, costruttivistica e soprattutto separatistica della prassi quotidiana, tende a chiudersi in se stessa , riconoscendosi e riconfigurandosi attraverso un controverso e contraddittorio percorso e processo di autoisolamento e contrapposizione non solo ideologica ad una realtà economica e politica che non la vede più protagonista sulla scena mondiale .
La Scuola, con la sua ideologia della didattica della prassi quotidiana chiusa in se stessa, autoidentitaria, autoriflessiva e autoreferenziale e l'Università con la sua incapacità ad aprirsi al mondo e a svecchiarsi, sono in parte notevole gli strumenti ideologici per antonomasia più consoni e conformi alle necessità di una politica europea sempre più impotente, isolazionistica, refrattaria, reattiva e"reazionaria" nei confronti dei Giganti Asiatici, l'Elefante Indiano e il Dragone Cinese .
Perché è sempre più evidente che le estenuanti enfatizzazioni di poderose architetture riformistiche artificiosamente e artificialmente centrate e focalizzate sulla Scuola e sull'Università e ingegneristiche e intellettualistiche palingenesi curricolaristiche e sapienzialistiche e soprattutto ossessivamente tecnicistiche tali da tramutarsi in riattualizzazioni e ritualizzazioni di un passato scientismo e tecnologismo imperialistico, servono solo a nascondere e ad esorcizzare, senza voler fare davvero i conti con se stessi, con il proprio drammatico presente e con una realtà incalzante e sconvolgente, la folle e devastante paura delle ombre cinesi e di una Cina che mai come ora è sembrata sempre più pericolosamente vicina a un potere, quello europeo e occidentale , sempre più privo di immaginazione e sempre più ostaggio e prigioniero di Costruttori di Costruzioni fittizie e surreali, di opache e traballanti Cattedrali nel Deserto e di baluginanti ed ectoplasmatici Castelli di sabbia.

Quando un mondo già maturo, vecchio e percepito come angusto e oppressivo e i suoi modelli culturali ed educativi tendono ad entrare in cortocircuito e in crisi di fronte all'assalto della nuda e cruda realtà proveniente da nuovi soggetti storici, politici, economici ed ideologici, esso si richiude in se stesso, alla ricerca di presunte univoche e monolitiche radici identitarie . Nel tentativo di riscoprire la propria cultura e di riattivare le proprie obsolete e vetuste istituzioni, si richiamano in vita improponibili arcaismi linguistici ed espressivi oltre a conservativi e ricorsivi modelli educativi tendenzialmente e ossessivamente autoreferenziali, l'educazione umanistica, ad esempio, assolutamente autoriflessiva e auto-euro-centrica, totalmente inadeguata e improponibile a un mondo prevalentemente non umanistico e orientale. In altra sede ci riproponiamo di ritornare su queste difficili e complesse problematiche. Ora, per motivi di spazio e di tempo, ci basta osservare che tale genere di reazione di chiusura e introversione è tipica di tutti quei conglomerati imperiali e neo-imperiali che, ad esempio, in passato hanno accomunato Imperi come quello romano orientale e cinese. E' un segno di esaurimento e di avvitamento pericoloso e rischioso. E' un sintomo di profondo, radicato e radicale malessere che cova nel ventre molle di una società, di una civiltà e dei suoi modelli educativi ed ideologici.
E non è certamente con le chiusure, l'introversione, le sofisticazioni ed estenuazioni intellettualistiche e nazionalistiche che l'Europa e l'Italia possono sperare di rimettersi in piedi e rilanciare . Al contrario è solo il ritorno di "puri e duri" modelli educativi che tengano conto della realtà, anzi delle nuove realtà emergenti ad Oriente e facendo i conti con esse il più rapidamente possibile e senza pregiudizi che ci potrà, forse, salvare da un disastro ormai non solo annunciato .



Riferimenti Bibliografici


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Tags: formazione, riforma, competenze, aggiornamento, ricerca educativa


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