Una spia in ospedale
Adriana Pollice - "il Manifesto" 02/04/2009 - 03-04-2009
Ha 24 anni, è ivoriana, le hanno ucciso il marito davanti agli occhi ed è stata sequestrata per una settimana. È fuggita e ha chiesto asilo politico all'Italia. Ecco chi è la prima donna «clandestina» segnalata alla polizia dopo il parto al Fatebenefratelli di Napoli
Kante Kadiatou ha ventiquattro anni, nel 2007 è fuggita dalla guerra civile. È lei la prima, inconsapevole, vittima, di una legge che ancora non c'è, quella che prevede la possibilità per i medici di denunciare i «clandestini». All'ospedale Fatebenefratelli di Napoli, quartiere «bene» di Posillipo, evidentemente hanno risentito del clima securitario e hanno chiamato la polizia per identificare la donna, andata in ospedale a partorire. Senza conoscere per niente la sua storia. Che fa rabbrividire. In Costa d'Avorio, quattro anni fa, le milizie le uccisero il marito, poliziotto, davanti ai suoi occhi sulla porta di casa, ad Abidjan. Gli assassini la portarono via legata, il figlio di pochi mesi solo in casa a urlare. Rimase prigioniera in un'abitazione sconosciuta per più di una settimana, subendo abusi e violenze senza ricevere alcuna spiegazione. Dopo aver rischiato un nuovo rapimento, decise di lasciare il paese, una fuga costata quattromila euro, circa trent'anni di stipendio medio in Costa D'Avorio, pagati a un funzionario del governo. È arrivata in Italia con una delegazione in visita all'ambasciata ivoriana e, immediatamente, ha chiesto asilo politico. Si è stabilita a Napoli e ha provato a rifarsi una vita con un nuovo compagno. Oggi rischia di perdere il secondo figlio, appena nato. La norma che impone ai medici di denunciare i clandestini non è ancora legge, ma il messaggio è già stato recepito e così ci scopriamo un paese di delatori dove la salute viene dopo gli accertamenti di polizia, persino a Napoli.
Una brutta storia, quella che ha visto protagonista la donna ivoriana. Comunque sia andata. «Una circolare della Regione sull'identificazione delle donne straniere, in base all'articolo 250 del Codice Civile, dice che il direttore sanitario è tenuto, nell'interesse del minore, a garantire l'identità della madre o con documento o con due testimoni o facendo ricorso alla polizia. Noi abbiamo quindi chiesto alla polizia l'identificazione». Secondo Pietro Iacobelli, primario di ostetricia e ginecologia dell'ospedale Fatebenefratelli, è stato un atto dovuto da parte della direzione amministrativa inviare un fax, il 5 marzo scorso alle ore 16.24, firmato dall'assistente sociale, al commissariato Posillipo, con la richiesta di «un urgente interessamento per l'identificazione di una signora di Costa d'Avorio». Una pura formalità far arrivare i carabinieri, a poche ore dal parto, sottrarle il piccolo Abou per dieci giorni, impedendole di allattarlo, portarla subito in questura per l'identificazione.
«Ecco i primi frutti del clima ispirato dal pacchetto sicurezza» ribatte Liana Nesta, avvocato di Kante fin dal suo arrivo in Italia, che spiega: «In base alle normative, all'identificazione attraverso la questura si ricorre in ultima analisi e in questo caso non c'era assolutamente bisogno, anche perché sui documenti che aveva con lei c'erano i recapiti dello studio legale, potevano chiamarci e avremmo dato tutte le indicazioni richieste». Non ci sarebbe alcuna giustificazione legale a tale atto, quindi, la donna è solo una migrante in lotta contro un sistema burocratico che prova in tutti i modi a spingerla ai margini: «Per la legge italiana, in base all'art. 19 del Testo unico, Kante ha diritto al permesso di soggiorno provvisorio dall'inizio della gravidanza fino al compimento del sesto mese del bambino - spiega Nesta - per questo è andata tre volte in questura senza ottenere nulla. È una situazione ai limiti dell'assurdo, i migranti non possono essere accompagnati dall'avvocato, che ha il permesso di entrare solo una volta al mese e per esporre tre casi alla volta. Ridicolo».
Kante vive a Pianura, ultimo quartiere di Napoli prima che inizi la provincia, una zona che marca un confine tra la città e chi la città spinge un po' più in là. Era una fertile terra agricola, oggi è la zona della rivolta contro la megadiscarica, mai bonificata, e delle ronde contro i migranti, capeggiate da An, per accaparrarsi la gestione dei fondi del contratto di quartiere, che dovrebbe rimettere a nuovo una terra di nessuno senza fogne e servizi. Kante, però, non vive tra le rovine degli edifici popolari del lotto T1 e nemmeno nelle masserie disastrate di via Trencia. Paga l'affitto per un appartamento di periferia dove coabitano in cinque, adesso non lavora ma il suo compagno svolge lavori saltuari, anche nel quartiere, dove tutti li conoscono. Fondamentale mettersi in regola con i documenti, per ottenere il ricongiungimento familiare con il primo figlio, lasciato in patria. Così ha inoltrato subito la richiesta di asilo politico. Negata due volte, per generiche «perplessità in ordine alla veridicità e credibilità di quanto asserito ed alla fondatezza della domanda», ha fatto ancora ricorso al Tribunale di Roma contro la bocciatura.
Una nuova famiglia e un figlio in arrivo, la gravidanza difficile, la donna si fa seguire durante i nove mesi di gravidanza dai medici dell'ospedale San Paolo, nel vicino quartiere di Fuorigrotta. Poi, però, arrivano le doglie e lì non c'è posto, e allora decide di correre al nosocomio di via Manzoni, gestito dall'ordine religioso dei Fatebenefratelli. «Proprio in previsione del parto - prosegue il suo avvocato - aveva con sé alcuni documenti, tra cui la copia del ricorso contro il rigetto della domanda di asilo politico, con tanto di numero di protocollo, nonché i recapiti dello studio legale. Il passaporto, poi, era ovviamente in fotocopia perché la questura ha trattenuto l'originale, in attesa che si risolva la controversia. Eravamo tranquilli e invece mi arriva una telefonata in cui mi dicono che ci sono i carabinieri. Nell'attesa dell'identificazione, non le è stato possibile allattare il bambino, che ha potuto abbracciare solo al momento della dimissione. Probabilmente l'ospedale ne aspettava l'espulsione per dare in adozione il bimbo».
Perché è questo che può succedere, finire nelle maglie della legge perdendo i figli e anche la propria vita. Kante si può considerare fortunata, ha riavuto il suo Abou e il passaporto quando la questura ha confermato che esisteva un fascicolo a suo nome, fortunata perché ha chi difende i suoi diritti, ma la paura di perdere il piccolo è forte anche per lei, magari finendo di nuovo nello stesso incubo al primo controllo medico. Così, per adesso, provano a guadagnare un po' di tranquillità allontanandosi da casa. L'ospedale, intanto, grida all'equivoco e invoca circolari e regolamenti come foglia di fico. La Cgil annuncia che denuncerà il Fatebenefratelli. militari Il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha annunciato ieri di voler raddoppiare l'attuale contingente di 3 mila persone schierato nelle città per «garantire la sicurezza»

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