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Antifascismo Popolare
Sergio Muzzupappa - 16-03-2009
Recensione a Giuseppe Aragno, Antifascismo popolare. I volti e le storie, Manifestolibri, Roma, 2009.

«In età globale c'e ancora posto per i libri di storia dell'antifascismo italiano, o per chi ancora lo studia?» Domanda lecita, ma opportuna unicamente per chi dichiara conclusa la ricerca sul tema conformandosi alla teoria defeliciana del consenso popolare al fascismo, o trincerandosi nel topos antifascismo c'est-à-dire comunismo, per seppellire l'intera esperienza nel "cimitero del fallimento del comunismo" fondato repentinamente da storici e/o politologi dopo la svolta epocale del 1989.
Chi, di contro, con maggiore coscienza critica vuole emanciparsi da tale vulgata si può rifare all'ampia e fertile stagione storiografica sulla Resistenza in Italia inaugurata da Roberto Battaglia nel 1953, sviluppata da Guido Quazza nel 1976 e che sembra trovare la definitiva sistemazione con Claudio Pavone nel 1991. Ad uno studioso attento, inoltre, non possono sfuggire i successivi contributi critici, spesso innovativi, quali ad esempio Nascita di una democrazia di Luigi Cortesi del 2004. Lo stesso studioso leggendo quindi Antifascismo popolare. I volti e le storie di Giuseppe Aragno ha la possibilità di confrontarsi con un mondo dell'opposizione ai regimi dittatoriali del Novecento sino ad oggi assolutamente inesplorato, avendo così la certezza che c'è ancora molto da scavare e approfondire in materia di antifascismo nel nostro paese.
Con questo libro di scorrevole e facile lettura, Aragno si conferma storico attento e rigoroso, assolutamente ineccepibile dal punto di vista del metodo di lavoro, ancorato alla sistemazione e al meticoloso controllo delle fonti archivistiche: in particolare carte di polizia rinvenute presso i fondi del Gabinetto di Prefettura dell'Archivio di Stato di Napoli e del Casellario Politico Centrale dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma e quelle di un piccolo, ma prezioso archivio privato, custodito dalla famiglia Grossi, protagonista di una limpida ed esemplare vicenda di lotta per la democrazia. Dal canto suo l'approccio storiografico del lavoro, la cui originalità resta comunque innegabile, si inserisce ed amplia il filone di studi inaugurato da Cortesi nel 1977 con La Campania dal fascismo alla Repubblica, facendo proprie le suggestioni dell'antirevisionismo storico di Gaetano Arfè e in particolare le critiche alla biografia di Mussolini di Renzo De Felice.
In genere, quando si discute di "antifascismo", l'accento cade soprattutto sui gruppi politici organizzati e sulle più note figure di fuorusciti. E' un punto di vista scientificamente corretto, che, tuttavia, non consente di cogliere lo spessore e la natura dell'opposizione popolare al fascismo e, in essa, la "valenza" che conservano nel "ventennio" le culture politiche che erano state protagoniste della storia del Paese: liberale, socialista e cattolica. Aragno capovolge questa prospettiva e si sofferma sulle vicende e sui percorsi di quanti concretamente - e nei modi che poterono - si opposero al regime. Lo fa, mettendo al centro della sua ricerca percorsi di vita, vicende biografiche in cui l'intreccio tra pubblico e privato, tra vita e militanza, riporta alla luce con singolare immediatezza la complessità culturale e politica dell'antifascismo. Partito dalla realtà napoletana, lo studioso, senza mai rinunciare al rigore scientifico, dà al suo lavoro i toni e i ritmi della "vicenda narrata" e segue fili che conducono sino alla Spagna sconvolta dalla guerra civile, all'America latina e all'Africa mediterranea, in una ricostruzione dal respiro ampio che pone domande e propone risposte che riguardano la vicenda del Paese nel suo insieme.
Emergono così - ed hanno infine un nome e un volto - personaggi minori ingiustamente dimenticati e giovani come Pugliese Caratelli, che si raccolgono attorno a casa Croce e saranno poi uomini di cultura di primo piano nell'Italia repubblicana; assumono connotati precisi i conservatori e i monarchici che si oppongono al fascismo "da destra", uomini come Ezio Murolo, che muovono da esperienze condivise coi fascisti - futurismo, interventismo, dannunzianesimo - per approdare ad un antifascismo deciso e irriducibile, radicali come Luigi Maresca, che hanno per punto di riferimento Francesco Saverio Nitti, e poi cattolici, poco numerosi, ma non per questo meno interessanti, e militanti di base dei partiti storici della sinistra: anarchici, socialisti e comunisti, meno coesi, questi ultimi, di quanto in genere si creda.
Intrecciando il dato esistenziale a quello culturale e politico, il saggio coglie il valore e lo spessore delle scelte che uniscono l'antifascismo di fronte al "nemico comune" e conduce così agli eventi successivi al luglio del '43, individuando le radici delle successive fratture che si apriranno nei partiti e nella società, nel Pci in particolare, in un clima che, al momento dell'armistizio, preannuncia con chiarezza la guerra fredda e i problemi che caratterizzeranno la vita di quella che, frettolosamente e con qualche approssimazione, oggi chiamiamo Prima Repubblica.
Alla base della ricostruzione è, come si è detto, la narrazione della vita di donne e uomini, controllati e perseguitati dal regime di Mussolini, che tra gli anni '20 e '40 del Novecento hanno lottato contro ogni forma di fascismo per ritrovarsi dopo il 1945 e nell'Italia repubblicana esclusi non solo dalla vita politica del nostro paese, ma anche dalle "storie ufficiali" della Resistenza e di conseguenza dalla memoria collettiva. Su questo argomento tornerò in seguito, va ora detto che l'approccio "dal basso" con cui Aragno ricostruisce storie di vita, seppur con un metodo di lavoro diverso dall'inchiesta e dalla storia orale, ricorda gli studi italiani degli anni Sessanta e Settanta di Danilo Montali, Giovanni Bosio, Stefano Merli.
Tracce di fonti orali, per ovvi motivi anagrafici, nel libro di Aragno le ritroviamo solo nella ricostruzione della storia di "Radio Libertà" di Barcellona la cui vicenda è stata «narrata all'autore da Ada Grossi durante lunghe conversazioni e una intervista filmata» [p.154, nota 55]. Ada Grossi, nata a Napoli come la maggior parte degli antifascisti di cui narra Aragno, nel 1937 era la speaker di "Radio Libertà", conosciuta ai più come "Radio Barcellona", l'emittente da cui giungevano in Italia le notizie della guerra civile spagnola. Il motivo della presenza in Spagna della giovane ventenne ci viene presto spiegato sulla base delle carte di polizia. Era figlia dell'avvocato socialista Carmine Cesare che, «più volte aggredito dai fascisti», non si piega al regime e nel 1926 lascia l'Italia con la moglie Maria Olandese e i tre figli piccoli Renato, Aurelio e Ada. Come apprendo, recandosi in nave in Argentina aveva in tasca solo qualche risparmio e due lettere di presentazione: una di Giovanni Porzio e l'altra di Arnaldo Lucci. Queste gli davano una sola garanzia: i compagni lo avrebbero aiutato e gli avrebbero dato la possibilità di lottare contro il fascismo. I socialisti con la loro organizzazione gli consentono infatti di scrivere a Buenos Aires «su "L'Italia del Popolo" e sulla rivista letteraria "Nosotros", due delle maggiori pubblicazioni antifasciste che si stampano in Argentina» [p.30]. In seguito, nel 1936, è talmente forte il richiamo della lotta al franchismo, da indurlo a riattraversare l'Atlantico per recarsi in Spagna. Tre maschi combattenti, una mamma che aiuta i ricoverati al Policlinico di Barcellona e una figlia plurilingue "locutrice" (a detta delle carte di polizia fascista) alla radio. Il loro destino, per chi oggi ha studiato la storia dei combattenti italiani contro le truppe franchiste, appare segnato: campi francesi, rientro in Italia tra il '39 e il '40, carcere, confino, manicomio...
Mentre i Grossi scelgono la via estera per la loro militanza, a Napoli Giuseppe Imondi e la sua compagna Maria Berardi, entrambi anarchici formatisi con Errico Malatesta, diventano un punto di riferimento per l'antifascismo locale e nazionale. Imondi è un dentista che fa del suo studio in via Duomo, con «una clientela composta nella quasi totalità da operai» [p.94], un punto di incontro, discussione politica e di sistemazione per i militanti di passaggio in città. Leggendo questa storia ritorna alla mente l'appellativo di "capitale dell'antifascismo" dato a Napoli da Benito Mussolini, in seguito interpretato in relazione quasi univoca con la presenza del filosofo liberale Benedetto Croce. Certo durante il ventennio fascista molti italiani maturano tra le mura di palazzo Filomarino la propria scelta politica che partendo dal liberalismo spesso giunge a posizioni diverse, ad esempio azioniste, socialiste e comuniste. Ma allo stesso tempo casa Imondi-Berardi era un luogo di azione, o, volendo, di cospirazione, di rilevanza nazionale aperto agli oppositori di ogni "colore politico" da cui passano, lo si legge in dettaglio, molti volti noti o ignoti dell'antifascismo e che seppur strettamente sorvegliato, restava «uno dei terminali di un tessuto organizzativo solo apparentemente fragile» [p.95].
Questi in estrema sintesi due esempi di famiglie di combattenti o organizzatori antifascisti di un mondo dell'opposizione popolare ben più ampio, dove trovano altrettanto spazio e adeguata considerazione singoli individui o gruppi di cattolici, liberali, socialisti, comunisti sia togliattiani che legati alla tradizione della corrente astensionista de "Il Soviet" e quindi al pensiero di Amadeo Bordiga. C'è inoltre spazio per l'opposizione che viene dall'interno della destra e più precisamente dell'esercito mussoliniano.
In conclusione la quasi totalità degli antifascisti di cui narra Aragno si ritrovano - ed è un dato di estremo interesse - sulle barricate delle Quattro Giornate di Napoli. In questo modo prendono un nuovo volto i protagonisti della Resistenza napoletana e si interrompono finalmente quei giudizi, talmente ricorrenti da apparire oramai più che consolidati, quali la "guerra pro aris et focis" di pretta marca crociana, o la "rivolta degli scugnizzi", mito nato sulla base delle foto di Robert Capa e sempre ampliato a partire dall'inaugurazione nel 1964 del "Monumento agli scugnizzi" di Marino Mazzacurati in piazza della Repubblica.
Quella di Aragno è una lettura che ci porta infine ad una domanda aperta: che fine ha fatto negli anni seguenti questo patrimonio politico di cui leggiamo origine e sviluppi, alla luce della storia successiva di Napoli e, ad esempio, del comportamento elettorale al referendum istituzionale del 1946 che vede affermarsi in città la monarchia con l'80% dei voti? Per fornire una risposta a tale quesito bisogna considerare questo lavoro come punto di partenza per un ulteriore studio che andando più avanti cerchi di comprendere il motivo dell'emarginazione politica di gran parte dei protagonisti dell'antifascismo locale, in relazione alla nuova pagina di storia della città durante l'occupazione alleata, dopo il limine 1° ottobre 1943 dove Aragno si ferma.
Rimane un mistero, ed è un vero peccato, la scelta editoriale di privare di un indice dei nomi la storia di una tale mole di individui. Anche un editore come manifestolibri si adatta purtroppo alle regole e ai tempi del mercato e, dovendo produrre in fretta, tradisce in qualche modo la volontà dell'autore che pure ha inteso promuovere.

Sergio Muzzupappa


Il libro è stat recensiito anche da "Repubblica" col seguente articolo: Repubblica


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