E' morto Sergio Piro uno dei fondatori della Psichiatria democratica
La Redazione - 09-01-2009
Nella notte tra il 7 e l'8, colpito probabilmente da un infarto, se n'è andato Sergio Piro. La parabola della vita si chiude. E' legge di natura e destino comune. Ci sono, tuttavia, perdite che le parole non possono descrivere e vuoti che non è facile colmare. Rita Levi di Montalcini ha recentemente dichiarato che la morte non è un dato rilevante. Conta il segno che lasciamo di noi. La vita di Sergio Piro - e il segno ch'egli lascia di sé - è prova di quanto nobile possa essere la natura dell'uomo. La sua vita non è trascorsa invano e perciò non se n'è andato per davvero. A noi pare che per ricordarlo ai lettori non vi sia forse modo migliore che leggere assieme alcune pagine di '68 Napoletano, il recente libro di Carmen Pellegrino appena stampato da Angelica, che così ce lo racconta.

La Redazione





Qualcuno volò sul nido del cuculo *


[...] Le condizioni per l'affermazione di una lotta antimanicomiale in Campania non erano le più favorevoli, [...] se solo si considera che [...] dei cinque manicomi civili presenti nella regione due erano privati e uno a gestione di un'opera pia; che le cliniche psichiatriche private erano copiosamente presenti sul territorio; che [...] "La cattedra neuropsichiatrica di Napoli rappresentava da molti decenni la più retriva roccaforte dell'organicismo assoluto e le avanguardie culturali erano del tutto isolate e sconfessate".
Tra gli "sconfessati" dai canali accademici tradizionali vi era Sergio Piro che, dopo anni di lavoro volontario nell'università, fu indotto da un clima fortemente repressivo a continuare le sue ricerche altrove, e quell'''altrove'' fu l'ospedale psichiatrico Materdomini di Nocera Superiore, al confine tra le province di Avellino e di Salerno. [...]
Il Materdomini, ospedale psichiatrico e centro neurologico, era gestito da una società privata ("il padrone" nei discorsi di Piro), con funzione pubblica in quanto ospedale psichiatrico per la provincia di Avellino [...].
Piro vi giunse nel '59 in qualità di direttore, con l'intento proseguire le sue ricerche sul linguaggio degli schizofrenici e di apportare degli "ammodernamenti" nella struttura; fece molto di più.
Ad accoglierlo trovò una schiera di infermieri che versava in condizioni a dir poco disagiate: scarsamente istruiti, totalmente privi di tutela sindacale, sottopagati rispetto ai colleghi del servizio pubblico (gli uomini percepivano 32.000 lire al mese, le donne 17.000; queste ultime, nel caso fossero rimaste incinte, subivano il licenziamento immediato), che potevano contare al massimo su un'organizzazione sindacale clandestina, tutta da strutturare. All'arrivo del nuovo direttore decisero, prima cautamente, poi con sempre maggiore convinzione, di rivolgersi a lui per un aiuto.

[Prima di allora] i miei rapporti con il movimento operaio erano stati in genere quelli tipici dell'intellettuale dell'epoca: posizione sicuramente antifascista, antirazzista, antimilitarista, progressista al massimo e voto ogni cinque anni al partito più avanzato. [ ... ] Ma nel presente caso, bisognò rimboccarsi le maniche e scendere in campo. Negli anni 1961-62 il mio più autentico compito di direttore fu quello di proteggere le spalle ai sindacalisti clandestini e agevolare l'organizzazione. I rapporti con gli infermieri divennero sempre più aperti, sinceri e positivi: nell'agosto 1962 un improvviso sciopero "selvaggio", unanime e compatto, scosse il silenzio feudale dell'ospedale. [ ... ] L'amministrazione cedette sull'intera linea: aumento notevolissimo di salario, diritti sindacali, commissione interna. [ ... ] Questa nuova situazione avviò un processo di lotta di classe che doveva direttamente coinvolgermi, completamente a fianco dei lavoratori e tuttavia in una difficile situazione in quanto gestore tecnico del potere, fino al 1965, quando la situazione istituzionale [ ... ] si pose come fatto principale. [1].

Con il regista Napolitano, Piro realizzò un documentario che era il primo girato in un ospedale psichiatrico, con lo scopo di condurre una "cauta denunzia" sulla condizione manicomiale, ma è con il lavoro fotografico di Luciano D'Alessandro che nel 1965 la condizione dei malati di mente del Materdomini trovò un canale d'espressione immediato ed efficace.
Contemporaneamente, nei suoi ripetuti incontri con i lavoratori, Piro sosteneva fortemente la necessità che per la classe operaia il riscatto del malato di mente costituisse un comune obiettivo di lotta, in quanto riscatto dallo "sfruttamento padronale".

Gli infermieri di Materdomini erano ben consapevoli di tutto questo ed essi, più di me e di chiunque altro, hanno fatto, nei limiti che la struttura ha tollerato, tutto il possibile per la liberazione dei ricoverati.[2]

Tra il '66 e il '67, nonostante gli enormi ostacoli frapposti dall'amministrazione ospedaliera. Piro riuscì a promuovere a Materdomini l'operatività di una équipe determinata e moderna, composta da medici, psicologi, sociologi, assistenti sociali e studenti, e ad avviare i lavori per la costruzione di un nuovo padiglione, creando le premesse perché l'intera assistenza psichiatrica fosse ispirata a principi comunitari.

la primavera 1968 il nuovo padiglione era finito. [ ... ] I ricoverati furono trasferiti e nello stesso giorno si tenne, senza che ancora vi fossero né le panche né i tavoli, la prima assemblea: i cancelli di questo reparto davano su un ampio spazio interno e finché rimasi a Materdornini non si chiusero mai.[3]

Il principio ispiratore della "comunità terapeutica", a Gorizia come al Materdomini, era il "rovesciamento istituzionale", l'eliminazione della "violenza addizionale" dell'istituzione manicomiale. Il rovesciamento istituzionale doveva necessariamente passare attraverso l'eliminazione dei mezzi di contenzione fisica; la riduzione delle terapie psicofarmacologiche immobilizzanti; la propaganda capillare tra i malati di mente dell'illiceità di ogni mezzo violento. E ancora, le assemblee di reparto che confluissero nell'assemblea generale; la liberazione dal ricatto delle punizioni; la libertà d'espressione; l'istituzione di commissioni elette dai ricoverati che controllassero i vari aspetti dalla vita ospedaliera, e commissioni di ricoverati che venissero autorizzati a vigilare sulle attività dei medici e degli infermieri; le attività creative (teatro, cinema, stampa del giornalino) che favorissero la socializzazione; il ridimensionamento del predominio medico attraverso l'intervento di volontari nello spazio libero.
Sergio Piro decise di slegare i ricoverati sottoposti a contenzione prima che si concludesse il periodo prescritto, giustificando lo slegamento con lo scopo terapeutico ("il paziente terapeuticamente viene sciolto"); i pazienti legati a Materdomini erano circa 300.

La scomparsa della violenza addizionale (o almeno una sua notevole riduzione) determinò il superamento di un tipo di contraddizione istituzionale di cui le botte e la camicia di forza sono l'aspetto più vistoso, ma il silenzio, il ricatto, l'ozio, la dipendenza, la mancanza di spazio e movimento, il tragico spreco di tempo rappresentano gli elementi più distruttivi.[4]

Il 30 dicembre 1968 apparve il numero unico de Il Gazzettino di Materdomini, opera integrale dei ricoverati che scelsero il seguente sottotitolo: "Esperimento del metodo scelto per la restituzione del paziente del genere alla società".
Il giornale riportava gli estratti delle assemblee, strumento di democrazia partecipativa molto apprezzato dai ricoverati, disegni, poesie e una sezione intitolata "pensieri e riflessioni":

Io ricoverata nella casa di cura di Materdomini, sono ispirata a rendermi interprete del perché di un così semplice metodo scelto dai rispettivi studiosi di psichiatria a vantaggio del paziente del genere come pure per soddisfazione propria. [ ... ] Da quale convinzione sono attirati a questo metodo, scelto nella speranza di una sicura guarigione del paziente, i nostri rispettivi studiosi e dirigenti, direttore, dottoresse e medici? Forse saranno come me convinti che il paziente del genere quando sta in sé è un essere normale come tutti gli altri.

Nel '69 cominciarono a giungere al Materdomini gruppi di volontari del movimento studentesco, con un'affluenza molto maggiore rispetto agli anni precedenti; proprio l'apertura al movimento studentesco si offrì come pretesto al "padrone" per il licenziamento del direttore, che giunse sordido il 19 febbraio 1969:

La repressione colpì il 19/2/1969 con lettera protocollata 492. In questa lettera si imponeva di limitare l'abolizione della contenzione fisica ai soli soggetti controllabili con psicofarmaci (il che era inutile perché la contenzione fisica era già stata eliminata); richiedeva maggiore oculatezza (sic) nella libertà da concedere agli infermi; impediva l'intervento in ospedale di "visitatori"; allontanava tutti i volontari; stabiliva che l'assunzione del personale medico o di assistenza sociale fosse esclusivo fatto dell'amministrazione; ribadiva l'indispensabilità dell'ordine religioso in ospedale.[5]

Di fatto, proibendo l'afflusso di volontari, che operavano tutti in zona "non pericolosa" e sotto la diretta responsabilità del direttore, limitando drasticamente gli spazi dei ricoverati e assumendo solo personale gradito al "padrone", "l'amministrazione aveva distrutto la comunità" [6].
L'Unità in quei giorni scriveva:

[ ... l. La vicenda ha avuto inizio nel giugno scorso. Il prof. Sergio Piro, uno dei più autorevoli psichiatri italiani, [ ... ] mise a punto un programma per la completa trasformazione dell'ospedale psichiatrico Materdomini [ ... ].
Uno dei reparti fu aperto e i ricoverati quindi potevano muoversi liberamente per l'ospedale. Gradualmente furono eliminati i giubbetti di contenzione [ ...]. Cominciarono le assemblee cui partecipavano, allo stesso titolo, sia i ricoverati che i medici, gli infermieri e i volontari. Si arrivò alla costituzione di una commissione interna dei ricoverati, che girava liberamente per tutti i reparti, raccogliendo eventuali lamentele. [ ... ] I proprietari dell'ospedale si sono sentiti i primi chiamati in causa dalla "contestazione" dei ricoverati [ ... ], hanno detto no alla commissione interna, e preteso che i ricoverati che partecipavano all'assemblea dovessero essere imbottiti di psicofarmaci che ne limitassero la "pericolosità. Poi è stata la volta dei volontari a essere messi in discussione. Sì, ha detto l'amministrazione, i volontari ci vogliono ma dobbiamo sceglierli noi [ ... ]. Si è parlato anche di "sovversivi" arrivati a Nocera chi sa con quali scopi (e si tratta invece di persone che lavorano senza alcuna retribuzione), sul conto dei quali sono state chieste informazioni alla polizia e "curriculum" accademici [ ...]. Per i ricoverati è stato un duro colpo: minacciano lo sciopero della fame e altre iniziative di lotta esprimendo completa solidarietà con l"'equipe" del prof. Piro
".[7]

Nei mesi successivi Piro fu convocato a Roma presso gli uffici del Ministero della Sanità per rispondere di alcune "incresciosità" segnalate in un rapporto che l'amministrazione dell'ospedale di Materdomini aveva inviato al Ministero. Il "padrone", in particolare, si era incaricato di rendere noto al Ministero che nel periodo in cui erano affluite al Materdomini le studentesse del movimento studentesco in minigonna, il numero delle pratiche autoerotiche dei pazienti schizofrenici era notevolmente aumentato! Alla domanda se una simile circostanza corrispondesse o meno a verità, Piro rispose così:

In primo luogo il padrone di Materdomini, che ha segnalato una tale circostanza avrebbe dovuto produrre contestualmente una qualche statistica sul numero di pratiche autoerotiche degli schizofrenici ricoverati, del periodo precedente e nel periodo successivo all'arrivo del movimento studentesco.
Inoltre, è concorde parere di buona parte della psicopatologia internazionale che il ritorno della pratica autoerotica in pazienti schizofrenici che se ne astenevano è segno notevole di miglioramento, un passo avanti verso il ritorno alla normalità
.


* Carmen Pellegrino, '68 Napoletano, Angelica, Sassari, 2008, pp. 194-198.

Note

[1] Sergio Piro, Le tecniche della liberazione, Feltrinelli, 1971.
[2] Ivi.
[3] Ivi.
[4] Ivi. Cfr anche Sergio Piro, Cronache psichiatriche, Edizioni Scientifiche Italiane, 1988.
[5] Sergio Piro, Le tecniche della liberazione, cit.
[6] Ivi.
[7] Rivogliono la camicia di forza perché i 'matti' li contestano, L'Unità, 23 febbraio 1969.

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Per ricordare Sergio Piro, val la pena di leggere anche il ricordo scritto a caldo da Roberta Moscarelli per "Nutopia":

sergiofalcone.blogspot.com

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 c. d'agostino    - 11-01-2009
Mi associo al rammarico dellascomparsa di Sergio Piro, soprattutto in questo momento, in cui parlare di democrazia in psichiatria o in tutti gli altri campi del vivere, é diventata un esercizio isolato da 'intellettuali. Le forme dei diritti individuali e collettivi sono stravolti e nominati come privilegi, mentre l'autorevolezza dei nostri principi e delle nostre idee é diventata obsoleta e non percepita dalla società. La voce di Sergio Piro forse avrebbe ancora aiutato a restituirci la nostra voce, che sta diventando sempre più flebile.