Scuola e università: i luoghi della nostra resistenza
Giuseppe Aragno - 08-10-2008
Se continueremo a ridurre l'intervento governativo sulla scuola a scelte economiche legate a problemi di bilancio, molto probabilmente non riusciremo a cogliere la reale portata di un progetto politico che, attirando l'attenzione su una fumosa volontà di "cambiare" la scuola, copre abilmente l'obiettivo più ambizioso e pericoloso di trasformare profondamente il Paese.
La scuola, così come la disegna il tandem Tremonti-Gelmini, è parte essenziale - forse è l'asse portante - del regime autoritario che ha in mente Berlusconi. L'ha intuito Epifani, colto in mezzo al guado dal disastro dell'Alitalia e con la Cgil isolata e accerchiata, ma gli manca l'animo per dar battaglia: le politiche per la formazione adottate da questo sciagurato Governo non interessano i partiti politici - vittime di una mutazione genetica che li priva di una filosofia della storia e li riduce a bande di mercenari al servizio del miglior offerente in cambio di potere e impunità -. e non possono riguardare semplicemente pezzi di società - i docenti, i genitori, gli studenti - o associazioni di categoria sempre più ostili tra loro e non di rado complici del disegno governativo.
Per capirlo, per rendersi conto del momento cruciale che vive il Paese, occorre far ricorso ai vecchi strumenti di analisi, frettolosamente rinnegati, senza averne altri su cui fare conto.
E' ormai evidente: la crisi del capitalismo impone scelte radicali, ripropone la contrapposizione tra sfruttati che producono ricchezza e sfruttatori che se ne appropriano e pone i governi borghesi di fronte alla necessità, storicamente ricorrente, di costringere gli sfruttati a pagare con la miseria, la salute, la rinunzia ai sogni di emancipazione e il sacrificio del futuro dei propri figli, gli effetti devastanti delle contraddizioni del sistema.
Se questo è il quadro in cui si inseriscono le scelte del ministro Gelmini - e appare onestamente difficile negarlo - l'analisi degli obiettivi reali che esse si propongono andrebbe evidentemente affinata, anche, e soprattutto, perché la convinzione che si parta da un vuoto pedagogico non solo è probabilmente errata - qui si chiude un cerchio che altri hanno aperto, pedagogisti inclusi - ma, alla lunga, potrebbe risultare fuorviante e pericolosa.
In questo senso, non sarebbe tempo perso ricordarsi che quello dei docenti è un lavoro intellettuale e che, in certa misura, "intellettuali" sono essi stessi, per chiedersi quale sia, nella crisi che attraversiamo - che è anche crisi di trasformazione delle strutture di comando capitalistico - il valore reale del nostro lavoro. Toni Negri può essere antipatico, può provocare fastidio e persino insospettire, quando si pone domande alle quali hanno cercato di dare risposte uomini come Gramsci o Foucault, tuttavia non è né banale né stupido. Stimolante e, per certi versi rivelatrice è, non a caso, la sua riflessione sull'attuale natura del lavoro intellettuale, nella quale, a ragionarci su, potremmo forse cogliere la ragione profonda dell'attacco alla formazione portato più o meno ovunque dalle destre - tutte le destre, anche quelle travestite da sinistre - sempre più decise, nonostante la crisi, o forse proprio a causa della crisi economica, a costruire una società di automi, incapaci di autonomia personale e impossibilitati a vivere fuori da una "moltitudine produttiva", priva di senso critico e ipnotizzata dal "pensiero unico".
"Quanto più il lavoro diviene immateriale, cognitivo, affettivo, relazionale - osserva Negri - tanto più esso diviene bios" o, se si vuole, "produzione della vita". Vengono in mente, forse non a caso, Marx e Marcuse che troppo frettolosamente abbiamo pensionato e una domanda richiede urgentemente una risposta: il nostro lavoro, inteso come produzione di "vita", come lavoro che nasce dal basso e dal basso produce concetti, dal basso si sforza di offrire chiavi di lettura della complessità e della molteplicità degli eventi, è compatibile con la società che si intende costruire?
E il "docente-intellettuale", quando il docente è un intellettuale - e il caso non è raro - il docente che non può e non sa proporsi come il gramsciano "intellettuale organico" - ammesso che oggi ve ne sia bisogno - e neppure come l'intellettuale "impegnato" che si identificava con la sua stessa lotta, ma perdeva il contatto con la gente, con i lavoratori che gli si rivoltavano contro, come accadeva prima della cesura prodotta del Sessantotto, quel docente che, piaccia o no, di quella cesura rimane per molti versi figlio, è compatibile con un sistema politico che tende ad una trasformazione gerarchica della società? La risposta è chiara e rivelatrice: questo docente, che non agisce seguendo principi oggettivi ma si ostina e vivere di dubbi e a seminarne tra gli studenti è, di fatto, "rivoluzionario" nella teoria ed eversivo nella prassi. Questo docente, quindi, e la scuola che egli fa, va cancellato.
In questo quadro, non fa meraviglia che, al di là di prese di posizione retoriche e strumentali, i docenti e la scuola statale non trovino alleati tra le forze che - illegalmente, giova ricordarlo - occupano le Camere e di volta in volta, a seconda dei ruoli recitati, sostengono o fingono di contrastare l'azione di un Esecutivo che, più si sente forte, più si fa tracotante e più chiaramente punta a svuotare di contenuto la democrazia borghese che fino a ieri tutti dichiaravano di voler difendere a spada tratta e che ora sono in tanti a sentire come un ostacolo all'instaurazione d una moderna e micidiale dittatura.
Se questa è la situazione in cui ci troviamo, occorre riconoscerlo: il cinque in condotta e la bocciatura per motivi disciplinari non mancano di una loro valenza pedagogica. Negativa finché si voglia, ma anche capace di intercettare bisogni e aspettative della gente stanca e, perché no?, di parte del corpo docente.
Una soluzione che risponde ad una richiesta di "ordine e gerarchia", che nasce da una società confusa e disorientata da campagne medianiche che hanno battuto in breccia la scuola, alla quale sono stati abilmente imputati gli effetti devastanti della teoria e della pratica di un neoliberismo che ci conduce all'attuale Caporetto economica e sociale.
Per anni una valanga mediatica, fondata su fatti reali ricostruiti, tuttavia, sulla base di un capovolgimento del rapporto tra la causa e l'effetto, ha affondato nel fango la scuola e le sue ragioni, cancellate dalla proposizione ossessionante di episodi di bullismo, dalla documentazione del trionfo della violenza, da un diluvio di dati, rapporti, statistiche e diagnosi di sedicenti analisti, tesi a dimostrare che la scuola produce disamore per la cultura e analfabetismo di valori; per anni il personale docente è stato presentato come imbelle, impreparato, assenteista e protagonista negativo di uno sfascio che, con feroce e studiata deformazione dei fatti, si è voluto figlio della scuola, mentre alla scuola, di contro, è approdato, figlio di una società malata di consumismo, privata di punti di riferimento, precarizzata, scientemente disumanizzata, criminalmente istiigata a regolare i propri comportamenti individuali e collettivi in base alla filosofia del mercato senza regole, alla logica della sopraffazione, alla rappresentazione della ricchezza e del successo come irrinunciabili valori di riferimento. Oggi, che il giocattolo s'è rotto, il cinque in condotta e il "maestro unico", sono la "normalizzazione pedagogica" dell'individualismo borghese diventato ingovernabile, l'inquadramento psicologico, prima ancora che politico, di "masse consumatrici" private della connotazione di classe, ipnotizzate dal sogno americano e dal quel suo sottoprodotto che è il berlusconismo. Una iniezione d'ordine, una cura da cavallo della futura "disciplina" e - perché no? - una pistola puntata alla tempia di ogni organizzazione politica del dissenso studentesco. E poiché è provato che un regime si affida volentieri al simbolismo, valore pedagogico assume, in questo senso, anche la normativa sui grembiulini, che, associata alla retorica dell'inno nazionale, delle "affermazioni" dell'Italia sportiva, delle mirabolanti imprese dei "bravi ragazzi" in armi, sparpagliati per le "aree calde" del pianeta, sostituisce e modernizza quel pilastro della pedagogia fascista che fu abilmente sintetizzato nello slogan "libro e moschetto, fascista perfetto".
In questo quadro l'umiliazione della classe docente e il suo totale asservimento hanno una funzione precisa: convincerla a collaborare alla realizzazione del principio pedagogico essenziale della scuola di Berlusconi: la produzione di una massa di manovra e di una manovalanza generica, priva di spirito critico, destinata a vivere di sussidi, d'elemosina e di rassegnata superstizione clericale, e a diventare la base di consenso del regime che avanza.
Quando proveremo a ragionare con pacatezza e senso delle cose sulla scuola della Gelmini, forse riconosceremo che esiste una "pedagogia" che sostiene il suo progetto e capiremo che spazzare via un modello di scuola primaria che rappresenta il meglio della cultura pedagogica contemporanea, ridurre allo sbando il personale docente, aumentare il numero di alunni per classi, gravate dalle difficoltà d'inserimento di disabili e di crescenti quote di immigrati che si sforzano di inserirsi, negare all'università la possibilità di assumere giovani ricercatori, significa avere in mente un percorso pedagogico teso a cancellare il sogno di una scuola statale di qualità, per costruire percorsi adatti a studenti rassegnati e insegnanti sconfitti.
Da soli, i docenti sono destinati a perdere.
Alla scuola militante, agli studenti e ai giovani ricercatori tocca il compito gravoso, ma irrinunciabile, di una opposizione che aggreghi quanti scelgono di non starci, genitori e lavoratori, attorno ai luoghi tradizionali della formazione - scuola e università che sono per loro natura i luoghi del futuro - per trasformarle in trincee della resistenza contro un progetto che ha un solo scopo: cancellare la libertà di pensiero.

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 claudia fanti    - 08-10-2008
Dico soltanto questo: grazie Giuseppe per ciò che scrivi...

 Salvatore Lucchese    - 09-10-2008
Penso che l'analisi prospettata dal compagno Aragno, che ho l'onore di conoscere di fama ma non di persona, sia sostanzialmente corretta. La riforma Gelmini-Tremonti viene da lontano, affondando le sue radici nella controffensiva neo-liberista cominciata a partire dagli anni '70. La globalizzazione dei processi economici, finanziari e culturali è stata accompagnata e lo è tuttora dai processi di destrutturazione dei tradizionali luoghi del conflitto e della formazione delle soggettività critiche: fabbrica, scuola, università. Con l'acuirsi della crisi si profila sia a livello nazionale che a livello internazionale la torsione autoritaria delle democrazie borghesi (vedi, ad esempio, USA dopo 11 settembre 2001, Francia con le banlieues nel 2005, Italia con discariche e criminalità organizzata 2008, guerra infinita, preventiva e permanente dal 2001). La richiesta di ordine e sicurezza, l'agitazione di un continuo stato di emergenza alimentano lo svilimento delle democrazie parlamentari e della dialettica sociale, bollate come disordine e perdita di tempo, con la conseguente decretazione di urgenza.
E guarda un pò con la scusa dell'emergenza si avvia un profondo processo di destrutturazione della scuola, ridefindone finalità, modalità e tempi, la cui riduzione avrà un impatto fortemente negativo per le classi sociali e le regioni più svantaggiate. Ha ragione Aragno quando sostiene che da soli i docenti non ce la possono e fare e che urge la costruzione di un fronte di lotta più ampio, facendo leva sulla difesa degli spazi di confronto e di pensiero critico. E' su questo punto che bisogna fare leva per decostruire criticamente il ddl Aprea, di cui oggi si parla poco se non pochissimo, che consentirebbe, dopo la cura dimagrante Gelmini/Tremonti, di smantellare definitivamente la scuola pubblica privatizzandola e gerarchizzandola.

 Raffaele Della Rosa    - 10-10-2008
Sono d'accordo con tutto, specialmente su due punti...la focalizzazione della insofferenza di "disordine e confusione" anche nella scuola come fattore di consenso ad un ordine purchessia e la visione culturale che sta dentro a questa destrutturazione della scuola pubblica. Una visione che non va sottovalutata. In effetti la scuola pubblica rimane attualmente l'unico luogo formativo pluralistico, in cui pur con tutti i problemi del caso, si possono ancora confrontare su di un piede di parità varie opzioni e visioni culturali; quanto meno da cui il non-conformismo culturale non può essere cacciato facilmente.
Allora si fa prima a distruggere il luogo. Impedendogli di funzionare decentemente, rendendo più appetibile, in prospettiva una scuola privata, con forti connotazioni confessionali....

 Nello59    - 10-10-2008
Tutti a roma il 17 ottobre, è la prima data utile per mandare a casa questo governo e chiaramente la gelmini.
Il 17 è lo sciopero dei cobas e di tutti i comitati di base: tutto a Roma


 Salvatore Lucchese    - 10-10-2008
Tutti a Roma venerdì 17 ottobre per l'unico sciopero utile. Ma non è solo lo sciopero dei Cobas e degli altri sindacati di base. E' l'unico sciopero utile sia per tutti i lavoratori della scuola, a prescindere dalle sigle sindacali di appartenenza, sia per tutte le forze sociali, politiche e culturali democratiche e progressiste di questo paese.

 Maria Palumbo    - 10-10-2008
Caro Geppino, non posso che ringraziarti di cuore per questa lucida e stringente analisi che condivido in pieno e che esprime un comune sentire di tanti insegnanti ed educatori avviliti ed indignati. Ci ostiniamo a voler produrre idee e pensiero critico piuttosto che le merci richieste dal mercato, non solo siamo inutili, ma anche pericolosi. E' vero quello che dici, siamo ancora una nicchia di resistenza militante che sabota il progetto del pensiero unico; distrutta la scuola pubblica sarà davvero la fine..
Per favore, per favore, non molliamo!
Maria Palumbo

 Ernani    - 11-10-2008
Cosa sarà dopo il 17 Ottobre? E' triste ammetterlo ma finirà tutto come ogni qualvolta la scuola si mobilità in difesa di se stessa. Il problema alla base è che noi italiani non riusciamo a comprendere veramente a fondo il significato dell'istruzione e dell'accrescimento culturale. Basti pensare che oggi si studia solo per IL PEZZO DI CARTA. Se la maggior parte degli italiani intenderanno la scuola in questo modo, allora i governi(al servizio di pochi) potranno farne quello che vogliono fino a disfarsene, privatizzandola. Una scuola privata è come un’altra rete televisiva che proporrà agli “utenti” quello che il consiglio di amministrazione vorrà sulla base di un ritorno di immagine ed economico. Allora tra qualche anno potremmo sentire dai nostri figli che Pinochet era un Comunista, oppure leggeremo articoli scientifici che dimostrano come un aumento della produzione CO2 salvagurdi il pianeta dal Global Warming. A quel punto sarà troppo tardi per rimediare.
Quindi bisogna lottare oggi e ad oltranza. Abbiamo i mezzi per farlo, perché nonostante tutto il livello culturale medio degli italiani si è innalzato negli ultimi trenta anni e siccome reputo la conoscenza un’arma formidabile contro chi vuol muovere i fili, noi ce la possiamo fare. Basterebbe solo spegnere quella TV, strappare i giornali e non credere che una cosa è vera solo perché è stata detta a Porta a Porta, a Matrix, ad AnnoZeroo o a Ballarò da una giacca e cravatta di turno. Bisogna solo ragionare con la propria testa.
Questo governo per dare inizio ad un processo di distruzione della scuola pubblica si è nascosto dietro il voto in condotta e il grembiule. Gli italiani devono invece difenderla a viso scoperto e ad oltranza. Spero proprio che il 17 ottobre sia solo l’inizio e non solo per la scuola ma per un Paese che ha bisogno di capire a cosa sta portando il tanto acclamato ma fallimentare modello occidentale.

 Cosimo De Nitto    - 13-10-2008
Non è molto difficile capire la "pedagogia" che c'è dietro il Gelmini-Tremonti pensiero. Ritengo che occorra smontare pezzo per pezzo le bugie propinate come verità e ragioni, ripetute tante volte dal teleschermo per farle diventare "fatti oggettivi e incontestabili", per sostenere e sostenersi su un senso comune che essi stessi, tramite un uso criminale dei media, hanno già manipolato con mesi ed anni di "campagne" contro la scuola della Repubblica e contro gli insegnanti. Ritengo giusto, altresì, e utile attaccarli anche sul piano del vuoto pedagogico, se non altro per costringerli a venire allo scoperto, per rivelare il loro progetto di scuola e di società. Se ancora non hanno il coraggio di farlo vorrà pur dire qualcosa. Secondo me lo ritengono ancora impresentabile e indecente agli occhi dei più, anche di chi magari oggi superficialmente accorda loro consenso e si trova iscritto d'ufficio al partito del senso comune e dei sondaggi d'opinione.
E questo mi sembra un punto a nostro favore da sfruttare bene, perché alla vuotezza, o agli incoffessabili oggetti del desiderio di una destra arrogante ed autoritaria, si risponde efficacemente dichiarando il proprio "progetto" di scuola e di società, facendo consenso intorno ad esso, e sfidando l'altra parte a mettere sul tavolo il proprio progetto, ammesso che ne abbia uno, e soprattutto se non se ne vergogna.
Le nuove generazioni di famiglie e insegnanti hanno la necessità di comprendere lo spessore culturale, le esperienze didattiche, i percorsi anche faticosi che sono dietro la scuola attuale. Non per imbalsamarli acriticamente, (c'è molto da fare, cambiare, innovare!)ma nemmeno per sacrificarli sull'altare della Ignoranza e Superficilità di una destra che parte dalla fanfara delle tre I, per poi ridursi alla trombetta del grembiulino e del voto di condotta.

 Gabriella D'Amico    - 14-10-2008
Sono d'accordo con l'analisi fatta da Giuseppe Aragno; aggiungerei che questo è un progetto scientifico di distruzione della scuola e dello Stato che risale a più di venti anni fa all'epoca della P2 .Ad un'invasione barbarica mediatica purtroppo non ci si può sottrarre. Le giovani generazioni sono destinate ad essere non dei cittadini ma degli utenti consumatori privi di senso critico e di giudizio. Cosa ci può salvare? forse la letteratura per citare il libro "un cerino nel buio" di Brevini Franco che consiglio a tutti di leggere.