La scuola non è monnezza
Gianfranco Pignatelli - 09-09-2008
E' iniziato il primo anno scolastico dell'era monnezza. Quella conseguente alle elezioni vinte speculando sul pattume di Napoli. Contro chi non l'aveva tolta (amministratori locali), grazie a chi l'aveva fatta accumulata (camorra), con la promessa di toglierla (PdL). La monnezza ha così "percolato" a Roma una maggioranza politica tanto orgogliosa dei risultati raggiunti da perpetrare consigli dei ministri-passerella, esclusivamente, lungo percorsi preordinati e surreali, tra cassonetti vuoti, tirati a lucido e profumati di fresco. Fin qui, nulla, o quasi, da eccepire. È inquietante, invece, la "sindrome ministeriale della monnezza" che porta a guardare tutto come cosa vecchia, come pattume da compattare, differenziare e smaltire. In questa prospettiva s'inquadrano il disprezzo col quale, ad esempio, si guarda alla scuola. Assimilata a "stipendificio" dalla Gelmini, popolata da insegnanti vecchi, ignoranti, incapaci, e per di più terroni. Questi, a sentir Sacconi, scelgono la scuola "perché è sempre meglio che lavorare" e, secondo Brunetta, rinfoltiscono oltremodo una pubblica amministrazione già grondante di "fannulloni". Per il governo, quindi, la scuola va gestita come la monnezza. Va compattata: sopprimendo le scuole con meno di 600 alunni e riducendo da tre a uno i maestri nella scuola primaria. Va differenziata: tra scuole di pregio (al nord) e pessime (al sud). Va riciclata: trasformandola da pubblica in privata (confessionale o confindustriale) o riconvertita in fondazioni. Infine tocca ai "rifiuti speciali". Tra loro, vanno smaltiti 160.000 operatori scolastici, con tagli di organico, ed oltre 300.000 precari, per mancata assunzione, temporanea o definitiva. Una specie, quella degli insegnanti precari, che non va neanche trattata. In conclusione, per restare in tema: ministra Gelmini, io la rifiuto.

prof. Gianfranco Pignatelli

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 ilaria ricciotti    - 10-09-2008
Io invece la recuso. Un'altra volta spiegherò il perchè.