Nuovo anno scolastico
Francesco Di Lorenzo - 25-08-2008
In questo inizio di anno scolastico c'è bisogno di ottimismo, di grande fiducia e di entusiasmo. C'è bisogno di leggere, scrivere, dibattere, scambiare opinioni, ricercare, comunicare, spiegare, farsi spiegare, avere un progetto e portarlo avanti. Ma ci vuole forza, molta forza, perché non lo scoramento - che quello non esiste - ma una punta di tristezza ti prende.
È vero, ammettiamolo, anche chi capiva di scuola ( o almeno si circondava di quelli che di scuola ne capivano) ha fatto poco e niente o ha avuto difficoltà a fare qualcosa di serio, tra aperture inutili e riforme mai applicate, soggezioni ataviche e veti incrociati, difficoltà strutturali e ostilità culturali.
Ma qui tocchiamo punte altissime: frasi che sono la somma della capacità umana di contraddirsi e della incapacità, sempre umana, di confermare la propria decenza. Tra chi dice che gli insegnanti e i dirigenti meridionali massacrano i giovani del nord (uno per la verità, come esempio) e chi vuole mandarli a ripetizione, uno non sa dove si beve di più. Poi, certo, c'è sempre la precisazione comica finale: non di insegnanti si parlava, ma di scuole. È bello sapere che alcuni tra gli insegnanti italiani sono invisibili. Attraversano corridoi inutili e sono aria: notoriamente inconsistente.
E così, per le questioni di scuola ci fermiamo ai grembiuli e ai voti in condotta, come un anno fa ci si fermava ai telefonini e ai video e come se, arrivo io e metto tutto a posto, si potesse avere la capacità di fermare il tempo, azzerare le conquiste, il progresso, e riportare indietro l'orologio con una bacchetta.
Intanto è vero che la scuola è in crisi di identità non solo da noi, anche se da noi un po' di più. E quindi ci vorrebbero idee chiare, che sicuramente ci sono, per carità, ma non si percepiscono abbastanza. O meglio, si sa, in fondo, verso quale scuola vuole andare questo governo, ma si capisce anche che son troppi i 'ministeri' che si contendono paternità e scelte, opinioni e valutazioni. Non credo sia ammissibile, tollerabile, umano che chiunque, da una parte e dall'altra, si svegli la mattina con la voglia di dire qualcosa di suo sulla scuola: tre insegnanti sono troppi, bisogna essere più severi e tanto altro ancora. ( E noi che ci lamentavamo della signora Moratti, o Zeus!).
Invece, i suggerimenti ci sono, anche autorevoli, precisi e interessanti. Riscoprire il valore dei contenuti a scapito "del burocratismo, delle riunioni e delle questioni di metodo" ad esempio, oppure "ridare profondità storico nazionale alla scuola", " tendendo a ricostruire culturalmente e anche organizzativamente il rapporto centro-periferia e Nord-Sud, riaffermando il carattere multiforme ma unico e specifico dell'esperienza italiana", che non si possono tradurre, oggettivamente, con i ritorni dell'educazione civica, degli esami di riparazione o con le ventilate idee di trasformare le singole scuole in fondazioni miste pubblico-privato, scimmiottando in questo modo tradizioni lontane da noi e dal nostro DNA.
La scuola pubblica deve custodire e testimoniare l'idea e l'immagine del proprio paese, che se anche è difficile, è pur sempre un'idea da cui partire e su cui confrontarsi.
Per tutto questo, quindi, un po' di tristezza ci sta, ma poca. Poi bisogna agire, sappiamo che il futuro è adesso e lo si costruisce nel presente.
Per fortuna, però, quello che ci consola è che gli studenti italiani sono intelligenti, sanno istintivamente che gli esempi valgono più delle parole: ascoltando chi parla di 'meritocrazia', mettono insieme due idee e si fanno una risata. E stranamente ridono anche quelli meridionali, chissà perché...

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