Ecco perché ci servono più maestre da libro Cuore
Adriano Sofri - 05-06-2008
Centotrenta anni dopo, c´è un gran bisogno di qualcuno, o qualcuna, che riscriva il libro Cuore. Bisognerebbe indire un concorso pubblico, col patrocinio della Presidenza della Repubblica. Ma questa è la conclusione del mio articolo. L´inizio sta in una coincidenza che riguarda questo giornale. La prima pagina del giornale è come una bella piazza, e ogni tanto succede, per mero caso, che passino di lì e si incontrino persone che altrimenti sarebbero andate per la propria strada - il caso poi non è quasi mai mero. Lunedì 26 maggio la prima di Repubblica ospita un ispirato testo di Zagrebelsky intitolato «La democrazia ha ancora bisogno di maestri». Lo leggo, approvo e intanto mi chiedo: e le maestre? Martedì la prima di Repubblica riferisce l´appello di una classe di bambini: «Non toglieteci la maestra, anche se compie 70 anni». Zagrebelsky commemora i grandi maestri civili, soppiantati da televisione, pubblicità, moda: altrettante seduzioni facili, aliene dal suscitare i bravi discepoli senza i quali non compaiono i bravi maestri. Ma nel mondo che si perde la prima e decisiva formazione civile era l´opera delle maestre. Erano loro a insegnare a leggere e scrivere, a fare le operazioni, a dire le preghiere, a stare seduti e alzarsi in piedi. Il tramonto delle maestre può esser salutato come un capitolo dell´emancipazione femminile. Ma quando l´antica maestra intera si scisse nelle tre maestre per due classi, per ragioni sindacali contro il crollo demografico, si minò un pilastro della nostra convivenza. I bambini della classe romana hanno la fortuna di avere la loro maestra, di averla conservata lungo gli anni attraverso il continuo cambiamento di insegnanti che è invece diventato la norma, e si capisce che desiderino con tutto il cuore di tenersela ancora per l´ultimo anno.Che vogliano congedarsi insieme a lei da un tempo della vita: i cinque anni delle elementari per loro, un´intera esistenza spesa nella scuola per lei. Basterebbe un´eccezione di appena un anno, perché la maestra sta per toccare i 70 anni, e la legge la vuole fuori: caso singolare e controcorrente di allungamento dell´età pensionabile. La lettera è senza fronzoli, spiega che «la maestra insegna bene e ci fa divertire», e conclude ragionevolmente: «Le stiamo chiedendo un favore anche perché per un anno, la maestra non dà fastidio a nessuno». Una maestra che adora i bambini, che li tratta come figli, e che infine, per un solo anno, «non dà fastidio a nessuno», in un mondo in cui tutti sembrano infastiditi da tutto, merita davvero un piccolissimo strappo alla regola. Ne merita anche uno grande, se è per questo, e Marco Lodoli l´ha detto bene. E il libro Cuore che c´entra? Altro che se c´entra. Basta leggere la lettera e guardarne la calligrafia per ritornarci. Del resto, la classe romana è una quarta, come quella del Cuore (era una terza nell´ordinamento di allora, anzi una 3a, come scriveva De Amicis, ma equivalente alla quarta nostra). Non c´erano classi miste, e i 54 (54!) compagni di Enrico Bottini erano tutti maschi. Maschio il maestro dell´anno scolastico in cui Enrico tiene il suo diario, il 1881-82, e maschio il maestro precedente, e per trovare una maestra bisogna andare più indietro. Al primo giorno di scuola, la prima pagina del Cuore, la vecchia maestra compare e viene già congedata: «La mia maestra della prima superiore mi salutò... e mi disse: - Enrico, tu vai al piano di sopra, quest´anno; non ti vedrò nemmen più passare! - e mi guardò con tristezza!».
Alla maestra donna si addicono i piccoli. Deve «far la mamma con loro, aiutarli a vestirsi, fasciare le dita punte, raccattare i berretti che cascano, badare che non si scambino i cappotti, se non poi gnaulano e strillano. Povere maestre!». La maestrina dalla penna rossa, epigona minore della fatina dai capelli turchini, «è tormentata continuamente dai più piccoli che le fanno carezze e le chiedon dei baci, tirandola pel velo e per la mantiglia». E poi, «finito l´anno, la maggior parte non ci guarda più. Quando sono coi maestri, si vergognano quasi d´essere stati da noi, da una maestra...». Il maestro Perboni non ha famiglia, non ha figli: i suoi figli sono gli scolari. Quando si ammala viene a sostituirlo la più attempata delle maestre, la signora Cromi, la quale invece di figli ne ha due, e uno malato, e appena la marmaglia comincia a fare il chiasso, come si fa con le supplenti, lei scandisce: «Rispettate i miei capelli bianchi: io non sono soltanto una maestra, sono una madre» e tanto basta a fare il silenzio, Franti compreso. Prima che finisca l´anno scolastico, la vecchia maestra di Enrico muore, quasi altrettanto inevitabilmente e laconicamente che la madre dello straniero di Camus: «Mentre noi eravamo al Teatro Vittorio Emanuele, la mia povera maestra moriva. È morta alle due...». Destino segnato. Per il 2 novembre la mamma di Enrico, in una delle sue lettere firmate "Tua madre", lo esorta a pensare «alle tante maestre che son morte giovani, intisichite dalle fatiche della scuola, per amore dei bambini, da cui non ebbero cuore di separarsi».
Dalle madri, o dalle maestre (o, chi l´ha in sorte, dalle madri maestre: io ne ebbi una) si imparano i comandamenti essenziali: far l´elemosina, per cominciare. Nel Cuore, è però il padre di Enrico a insegnarglielo in quel suo modo solenne: «Oh mai più, Enrico, non passare mai più davanti a una madre che méndica senza metterle un soldo nella mano!». (Brano da rileggere, in tempi di ripulitura delle strade dalle mendicanti, perché fanno inciampare i passanti che passano).
Pinocchio e il quasi coetaneo Cuore, e altri fra i capolavori della libera pedagogia letteraria, fino alla Lettera a una professoressa, sono libri di maestri (mastri: Geppetto) e padri putativi di figli maschi, don Milani compreso. Nel Cuore non c´è il Padreterno, c´è e si fa sentire, fin troppo, il Padre, in famiglia e a scuola. Una delle più belle riletture del libro Cuore è quella che un nonno famoso, il maestro dei filologi Giorgio Pasquali, svolge assieme al suo nipotino nel 1950, e ne mette in rilievo lo spirito laico - «Cuore è fra i libri italiani di educazione il più laico di tutti» - la sensibilità sociale, benché intrisa di condiscendenza, e l´apertura che oggi si chiamerebbe, malamente, etnica. «E come le varie classi sociali della Torino del 1882 non erano amalgamate nella scuola, così è evidente che ancora non era molto intensa l´emigrazione interna e che alunni di altre parti d´Italia non si fondevano subito nell´ambiente nuovo e, almeno in principio, erano considerati stranieri».
Mentre lavorava al suo gran libro, che sarebbe stato scritto «col cuore», De Amicis, alla vigilia del suo personale socialismo, si documentava sui maestri mal pagati e peggio riconosciuti - passavano in ruolo pieno dopo 14 anni di «lodevole servizio» - e sulla contraddizione fra il misconoscimento e la loro missione: perché è la scuola che forma i cittadini, è la scuola che rende uguali. Verità che vale oggi cento volte di più. Nella scuola primaria, e nella scuola pubblica, avviene l´incontro fra gente diversa, per censo e luogo d´origine, e Pasquali sorrideva dell´ordine di genitori borghesi ai figli, che avvicinassero solo «coetanei dello stesso ceto, dai quali, essendo essi fatti come noi, non potevamo imparare nulla». Le maestre presiedono a questo incontro, il più determinante e il più fecondo. Tanto più oggi, quando non si tratta di mostrare agli scolari torinesi un punto sulla carta murale dov´è la Calabria, e di annunciare: «Oggi entra nella scuola un piccolo italiano nato a Reggio Calabria, a cinquecento miglia di qua. Vogliate bene al vostro fratello venuto di lontano...».
Perciò, mi perdoni Umberto Eco, il libro Cuore è una cartina di tornasole della storia degli italiani. Diffidate dagli italiani che se ne fanno beffe, almeno nei momenti difficili. Questo è un momento difficilissimo. La democrazia italiana ha bisogno di maestri, come dice Zagrebelsky, e in particolare di maestre, come dicono i bambini della quarta elementare Piaget di Roma. E ha bisogno di qualcuna o qualcuno che riscriva il libro Cuore, senza vergognarsene, senza lasciarsi intimidire dalla taccia di buonismo, senza temere nemmeno la condiscendenza di un padre di scolaro italiano ricco e stronzo che stringa teatralmente la mano a un padre di bangladeshi povero, e spinga il figlio a chiedere scusa all´altro, e li faccia mettere in banco insieme. Che detti il racconto mensile su un bambino coraggioso che fa la traversata a ritroso, e parte dalle Ande alla ricerca di sua madre venuta a fare la badante in qualche punto degli Appennini. Quando le illusioni sull´amalgama multiculturale sono cadute, e però si mostra il ceffo delle reciproche secessioni, il luogo in cui ancora si può immaginare un incontro di civiltà e di persone, e una simpatia pentecostale, è la scuola elementare pubblica. Lei, e le sue maestre.

da Repubblica

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