Non ha votato
La Redazione - 04-04-2008
Per dovere di cronaca, senza prendere posizione, ma consapevoli di un'evidente emergenza democratica.
Perché è un dato di fatto amaro e sconsolante: il silenzio di televisioni e giornali rafforza il timore che da una pericolosa crisi di credibilità delle Istituzioni repubblicane si stia passando a forme striscianti di un moderno autoritarismo.
Perché "Fuoriregistro", per sua natura, non si intruppa.
Perché, infine, riteniamo di vitale importanza per la democrazia la conoscenza e la comprensione delle dinamiche attraverso cui passano intese spurie che - la frase è abusata ma indica un dramma reale ed evidente - allontanano sempre più il paese reale dal paese legale. Per tutto questo e per la lunga serie di considerazioni che caratterizzano da tempo le pagine di "Fuoriregistro", ci pare giusto far cenno ad una questione di stringente attualità, qual è quella dell'astensionismo attivo, di cui i mass media, impegnati in una operazione di disinformazione che non ha precedenti nella storia della Repubblica, volutamente tacciono, mentre per la seconda volta in due anni, si va al voto oppressi dal fortissimo dubbio di costituzionalità che grava sulla legge elettorale. Si fa un indecoroso abuso della "memoria" e poi si dimentica un dato storicamente acquisito: la crisi dello Stato liberale è passata per la via "legale", grazie ad elezioni falsate da una legge elettorale.

Red


Informazione, disinformazione e controinformazione

Tra le scelte elettorali possibili e legittime c'è l'astensione. Un tempo, per coloro che non si recavano a votare alle elezioni politiche, la legge prevedeva la menzione di questa scelta nel casellario giudiziario e la fedina penale registrava il precedente: "Non ha votato". In realtà la menzione è stata fatta solo per le elezioni del 1948, poi non è più accaduto. Non è chiaro se la norma sia caduta in disuso ma esista ancora e sia ancora applicabile, o sia stata abrogata. Sono ancora vigenti, al contrario, l'art. 104, comma 5, del Testo Unico delle Leggi Elettorali (D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361) e le successive modifiche, sicché il segretario dell'Ufficio elettorale che rifiuta di inserire o allegare al verbale proteste e reclami di un elettore è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa sino a lire 4.000.000.
Nessuno lo dice, ma di fronte al degrado cui è giunta da tempo la nostra vita politica, di fronte ad una legge elettorale che rende un modello di democrazia persino quella del fascista Acerbo, c'è nel Paese un movimento d'opinione che si dichiara per l'astensione e ritiene che essa debba essere "attiva", assurgere cioè a gesto consapevole di rottura con una classe dirigente che perpetua se stessa e, manomettendo la legalità repubblicana, si appropria della sovranità popolare che si esprime anche e soprattutto attraverso il voto.
L'esercizio attivo dell'astensione, nelle intenzioni di chi lo propugna è, ad un tempo, strumento di dissenso e tentativo di imporre una scelta, di recuperare, per una via alternativa, quella sovranità di cui l'elettore si sente espropriato. Non voto e voglio che risulti a verbale, perché quella che avete messo in piedi è una farsa. Non voto, perché mi avete privato del diritto di scegliermi un rappresentante. Non voto perché state ponendo in essere un intollerabile arbitrio. Una massiccia astensione così motivata, sarebbe evidentemente dirompente e farebbe di quello italiano un simbolo della crisi della democrazia nell'Occidente esportatore di... democrazia.
Giusta o sbagliata che sia, questa scelta ha un fondamento etico e sembra prefigurare una sorta di Aventino alla rovescia: non è l'opposizione democratica che esce dal parlamento per protestare contro l'illegalità di un regime, ma il popolo stesso che rifiuta un sistema costruito ad arte per condurlo alla condizione di suddito.
Qual è, a fronte a tutto questo, la risposta dei sedicenti politici? Un silenzio sprezzante. Berlusconi è lì col suo carico di processi caduti in prescrizione, la sua armata di secessionisti travestiti da federalsti e di fascisti più o meno pentiti e ripuliti da una repentina conversione. Veltroni continua a recitare la manfrina del nuovo, e si presenta agli elettori con le sue schiere di ex democristiani e di comunisti riciclati, con buona parte dei ministri che hanno dato vita al governo Prodi e ha la faccia tosta di difendere a spada tratta persino Bassolino, suo compagno di partito da data immemorabile nel corso di tutte le mutazioni genetiche subite dal PCI: Cosa una, Cosa due e chi più ne ha più ne metta. In quanto alla sinistra Arcobaleno, se a Roma è avversaria di D'Alema e compagni, ovunque in Italia amministra tranquillamente comuni, province e regioni con Veltroni.
Queste le risposte, facendo salva la coerenza tardiva di Storace e Turigliatto e l'eccezione di Ferrando che conferma la regola. La scelta di astensione attiva non è stata chiamata a confrontarsi con ragionamenti politici. La sola risposta che viene dal baraccone dei partiti ha i toni della burocrazia e i contenuti della repressione. Il Ministero degli Interni - sciaguratamente affidato da Prodi a quel Giuliano Amato che Antonio Di Pietro, nei suoi anni migliori, rifiutò come compagno di governo - ha ricordato ai presidenti di seggio che, in linea di principio, gli elettori, dopo l'identificazione, hanno diritto di rifiutare le schede e chiedere che il rifiuto sia messo a verbale. Il presidente di seggio, a sua volta, come prescritto dal D.P.R. n. 361 del 30 marzo 1957, non può rifiutarsi. Sta di fatto, però, che il presidente stesso può ritenere la richiesta un tentativo di rallentare e, di conseguenza, disturbare le normali procedure di voto e disporre che la forza pubblica presente nel seggio allontani l'elettore che chiede la verbalizzazione e lo porti via in manette, qualora insista nella sua richiesta.
Chi ha in mente, quindi, di recarsi al seggio per non votare e rendere pubblica la propria astensione, è bene tenga conto di questa più che probabile eventualità, ricordando che intralciare le operazioni di voto costituisce reato, come reato risulta anche non restituire la scheda elettorale o strapparla. Qualora si finisca in Tribunale e un Giudice applichi la pena della reclusione, la conseguenza non è solo la sospensione dal diritto elettorale, ma l'interdizione dai pubblici uffici.
Ci sarebbe di che riflettere. Quando una democrazia entra in crisi, le sue belle leggi servono soprattutto ai malfattori.

Giuseppe Aragno

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 red    - 07-04-2008
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