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Ferdinando Cordova. Arditi e legionari dannunziani
Giuseppe Aragno - 13-03-2008
Le ricerche di Ferdinando Cordova sul ruolo politico del combattentismo nella storia italiana dalla "grande guerra" al fascismo risalgono ad anni ormai lontani della nostra vicenda culturale e politica. Il suo Arditi e legionari dannunziani fu pubblicato da Marsilio nel maggio del 1969, nella seconda metà di quel Novecento che oggi frettolosamente definiamo "secolo breve", nel cuore di un terremoto che, quarant'anni dopo, chiamiamo Sessantotto e prima che Piazza Fontana gettasse la sua tragica ombra sull'esperienza politica e la memoria storica di tanti giovani della mia generazione .
Se un lavoro nato in quegli anni - e presto esaurito - suscita oggi l'interesse del Manifestolibri, che l'ha ristampato a maggio del 2007, e trova spazio e consensi in un mercato così diverso da quello degli anni Sessanta, penso di poterlo scrivere senza temere che l'antica amicizia con l'autore mi esponga al sospetto di essere un "recensore di parte": si tratta di un contributo evidentemente fondamentale per la comprensione di un momento cruciale della nostra storia. L'angolo visuale è quello di masse proletarie e piccolo borghesi che vivono gli avvenimenti che conducono al fascismo fuori dalle grandi formazioni politiche, su posizioni di forte rottura con l'Italia giolittiana, mosse dall'esperienza della guerra e da una condizione psicologica che ha connotati decisamente eversivi e rivoluzionari.
Non lo nascondo, non vedo motivo per farlo: il coinvolgimento emotivo e personale è notevole e non potrebbe essere altrimenti. Sul vecchio testo di Marsilio mi sono affaticato da studente nella mia giovinezza - io e Cordova siamo quasi coetanei, ma ogni vita ha un percorso - e ci torno ora, amico dell'autore che fu un tempo mio giovanissimo docente. Riaprirlo, ritrovarci i tratti della matita rossoblu con cui sottolineavo brani quando studiavo, riconduce me a me stesso e muove un mondo: la scoperta della storia come ricerca, la mie prime prove, un rapporto umano che ha attraversato gli anni, trovando sempre nuove occasioni di arricchimento. A rileggerlo oggi, nella grafica elegante della "riedizione" arricchita dell'indice dei nomi, trovo conferma della mia prima e lontana sensazione: un gran bel libro, figlio d'una ricerca approfondita, nella quale, per dirla col De Felice della prefazione alla prima edizione, il ricercatore non solo costruisce " documentariamente il vero volto del movimento politico degli arditi e di quello legionario e le loro vicende con precisione e imparzialità tipicamente storiche", ma offre "un convincente profilo della crisi morale e politica e del travaglio e della evoluzione nel dopoguerra dell'ex combattentismo, delle sue successive scelte, della sua maturazione da una generica posizione di confuso rivoluzionarismo (non diverso da quello dei Fasci di combattimento) all'adesione, da un lato, al Partito nazionale fascista, e, da un altro lato, all'opposizione antifascista". E non è tutto. Studi specifici sul tema non se sono avuti, ma ci sono stati i lavori di De Felice su D'Annunzio politico, sul carteggio De Ambris-Mussolini e sulla Carta del Carnaro, ci sono stati la biografia di D'Annunzio scritta da Paolo Alatri, i lavori di Claudia Salaris e Eros Francescangeli, le ricerche che va conducendo Enrico Serventi Longhi su De Ambris; a tutt'oggi - e dopo quarant'anni - il testo di Cordova trova solo conferme e costituisce un punto fermo per chi voglia conoscere le conseguenze di quello che anni fa Caracciolo definì con grande efficacia il "trauma dell'intervento".
Sul piano puramente "tecnico" della ricostruzione storiografica, Cordova coglie la natura profonda delle motivazioni che furono all'origine dell'esperienza dannunziana e, soprattutto, dei suoi legionari, e lo spessore, l'articolazione, le diverse anime che sono al fondo della vicenda degli arditi; su questa base scientifica egli inserisce arditi e legionari in una vicenda più ampia - quella del primo dopoguerra - sottraendola sia alle distorsioni della "vulgata fascista che riduceva D'Annunzio ad icona nazionale ma lo isolava e gli impediva di ergersi a "nume tutelare" del regime, sia a giudizi schematici e tutto sommato "politici" di quanti, per lo più protagonisti della durissima, recente e sanguinosa battaglia per la democrazia, stentavano a guardare con distacco alla complessa vicenda che aveva condotto al regime.
Organizzato in quattro densi capitoli, il libro parte da una bella descrizione della vita in trincea, coi soldati "racchiusi fra due insidie orizzontali: il reumatismo articolare acuto e la pallottola nemica", e ricostruisce con rigore il ruolo degli arditi tra guerra e dopoguerra, ponendolo in relazione con le speranze, le contraddizioni, le delusioni prodotte dalle scelte della nostra diplomazia al momento dell'intervento, durante la guerra e al tavolo della pace, chiarendo i motivi di un dissenso coi fascisti che avvicina arditi e legionari impegnati nell'impresa fiumana e diventa, infine, opposizione al regime. Un'opposizione che, puntando a mettere insieme "popolo e combattenti" nella formula della "difesa del proletariato", si tinge di rosso e conduce alla nascita degli Arditi del Popolo. Attenta e fine è l'analisi del ruolo svolto dai comunisti che, condizionati dalla convinzione dell'imminenza della rivoluzione, non condividono l'obiettivo "difensivo" degli arditi che si propongono di "ristabilire l'ordine e la normalità della vita sociale" e, ragionando "dal punto di vista dell'antitesi implacabile tra dittatura della reazione borghese e dittatura della rivoluzione proletaria", rifiutano distinzioni tra "difensiva e offensiva dei lavoratori" e danno un colpo mortale "all'unica organizzazione in grado di opporsi 'manu armata' ai fascisti". La vittoria ormai segnata di Mussolini si intreccia così - e la ricostruzione è magistrale - alla vicenda della Federazione nazionale legionari fiumani ed a quella dell"Unione spirituale dannunziana. La conclusione del saggio costituisce da questo punto di vista uno spartiacque e cancella, ad un tempo, sia le strumentali versioni di comodo dei fascisti sulla natura e l'evoluzione del movimento combattentistico, che gli schematismi frettolosi della prima storiografia antifascista. Un risultato che segna una tappa importante nella conoscenza dell'Italia del primo dopoguerra. Belle, coinvolgenti e amare le parole che chiudono il saggio: "I gruppi combattentistici terminarono, così, il loro ciclo. Dal generico sovversivismo delle origini approdarono, per evoluzione, tranne alcune trascurabili frange, a propositi antifascisti e libertari. Recuperati alla democrazia, giunsero, però, appena in tempo a vederla morire sotto i colpi delle leggi speciali".
I tempi sono mutati e la storia non si ripete, ma l'invito a riflettere sulle sorti della democrazia a me pare di una incredibile e, per certi versi, dolorosa attualità.

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