Reclutamento
Claudio Melle - 08-06-2001
Ho avuto la “fortuna” di partecipare all’ultima tornata di concorsi riservati, per Inglese. Ho vissuto l’esperienza del corso abilitante in maniera estremamente sofferta a causa della superficialità e sommarietà con cui le istituzioni scolastiche si sono dedicate alla opera decisiva di formazione del personale. Sento, a distanza di un anno, il bisogno di rendere noto quanto è avvenuto affinchè si sappia come sta per avvenire il reclutamento dei docenti. Più che in diritto, mi sento in dovere di denunciare la farsa di questa pseudo-sanatoria, essendo stato testimone di arbitrii e di come la professionalità dei docenti sia scoraggiata dal sistema scuola.

Cosa si sarebbe dovuto fare.

Il corso aveva come scopo la formazione di docenti. Si doveva, come prima cosa, fare un’analisi della situazione iniziale che avrebbe evidenziato una composizione estremamente diversificata tra i "discenti" per quanto riguarda preparazione linguistico - letteraria, conoscenza della didattica dell’insegnamento delle lingue straniere, esperienze di lavoro, motivazione. In secondo luogo si sarebbero dovuti definire degli obiettivi prioritari rapportandoli al gruppo. Si sarebbero poi dovuti scegliere i contenuti, come l’analisi dei principi ispiratori della riforma, lo studio delle varie metodologie, l’uso delle nuove tecnologie per l’insegnamento della lingua, integrazione ed handicap, ecc. (pensiamo all’analisi della riforma dei cicli, autonomia, progetto lingue 2000, riforma degli organi collegiali, didattica breve, libro bianco, lavoro della commissione dei saggi, framework, portfolio, lo studio dei programmi, delle metodologie con i pro e contro, [per ex. se è valido fare un pre-teaching di lessico prima di una lettura, come farlo, se il dettato è auspicabile, quante listening sono opportune, quanto spazio bisogna destinare alla accuracy piuttosto che alla fluency nei vari stadi del processo di insegnamento/apprendimento ecc.]). Dopo tutto ciò si sarebbero dovuti scegliere i formatori in grado di assicurare lo svolgimento di un tale programma, i quali avrebbero operato con le dovute strategie metodologiche (tenere classiche lezioni frontali su argomenti specifici e sfruttare il più possibile le esperienze dei docenti/discenti per operare dei confronti costruttivi e per dibattere sulla validità delle varie scelte metodologiche). Si sarebbero indi dovuti indicare gli strumenti (uso del laboratorio di informatica, pacchetti di software per l’autoapprendimento, valutazione ecc., lavagna luminosa, laboratorio linguistico, ecc.) e mostrarne l’uso e validità nel contesto classe. Si dovevano poi indicare i criteri di valutazione in maniera trasparente e fare in modo che essi potessero essere uniformi tra le varie commissioni.

Cosa è stato fatto

Non è stata fatta alcuna analisi della situazione. Si sono definiti obiettivi in maniera molto approssimativa. I contenuti, scelti in fretta e furia riciclando vecchio materiale di precedenti corsi abilitanti e con criteri discutibili, non hanno contemplato temi importanti quali la didattica breve o altri possibili approcci didattici, o un serio approfondimento della riforma nella sua complessità e totalità, solo per citare alcuni casi eclatanti.

Ma quello che ci ha dato una dimensione della più totale improvvisazione e incompetenza è stata la scelta dei formatori, effettuata con l’unico criterio di trovare qualcuno che accettasse un compito così gravoso e delicato, con retribuzione del tutto inadeguata e per di più con pochissimo preavviso, senza, quindi, potersi organizzare: diciamoci la verità, una condizione che un professionista avrebbe accettato a fatica. Tra i formatori (come del resto tra i discenti) il più grande divario: chi con competenze letterarie e di analisi del testo, chi con competenze didattiche, chi senza l’una né le altre, hanno imbastito un corso che ha avuto l’unico merito di prospettare una fine prossima al precariato di gran parte di noi, ma al prezzo di farci vivere in una sorta di delirio Kafkiano e di mostrarci il volto di una scuola in avanzato processo di putrefazione: la lezione sui vantaggi che derivano dall’uso di strumenti tecnologici si è svolta facendoci copiare per 4 ore i lucidi proiettati con la lavagna luminosa (gruppo 3); la lezione sull’analisi della situazione di partenza ci ha insegnato che il test di ingresso in un liceo scientifico coincide con il test di uscita da una scuola media (forse l’esame di terza media. Quanto ai principi didattici “giudicare” ci è stato presentato come sinonimo di “valutare”. Non parliamo poi della competenza linguistica: mai ci saremmo apettati di sentire i formatori commettere errori di pronuncia e di appropriatezza lessicale o, peggio, di vedere tali orrori reiterati nel materiale fotocopiato da loro consegnatoci.

Insomma dopo dieci anni di attesa (mi sono laureato nel 1990 e il primo concorso riservato / ordinario è stato indetto appunto dopo ben 10 anni!) questo mi è toccato di vedere! E mi sento molto scoraggiato. Tuttavia, vorrei concludere spostando il tiro sul lato propositivo, anche se in queste condizioni non mi riesce facile.

Sono convinto che molti dei problemi all’interno dell’istituzione scolastica derivino da una procedura di reclutamento che per salvaguardare un falso garantismo produce dei meccanismi che ostacolano la formazione e l’aggiornamento dei docenti e di conseguenza la qualità del servizio pubblico.

Sono al momento operanti dei criteri che premiano coloro che pazientemente, come se fossero in fila alla cassa di un supermercato, accumulano per anni quei “servizi” (quelli sì “spendibili”) fatti non si sa mai bene come, e che scoraggiano tutti coloro che invece frequentano corsi post lauream o si dedicano alla ricerca. Si potrà obiettare che l’esperienza possa valere più di un corso di dottorato di ricerca, ma per contro si dovrà pure ammettere che servizio non significa necessariamente esperienza, o che comunque l’esperienza non viene unicamente dai “servizi” prestati all’interno della scuola statale. Esistono insegnanti che hanno esperienze di rilievo in vari settori, esperienze che arricchiscono la personalità del docente, ma che non trovano nessuna considerazione o valutazione.

Trovo poi che gli attuali criteri non considerano sufficientemente l’aspetto relativo alle competenze disciplinari. Ora che si fa un gran parlare di certificazione delle competenze, scopriamo che chi ha il compito di preparare gli studenti al conseguimento di certificazioni europee, ne è privo; chi invece le possiede non se le vede riconosciute. Come se questo non bastasse, i criteri adottati ai “riservati” assegnano una parità di fatto tra chi si è laureato con 100 e lode (e che quindi dà statisticamente delle garanzie di serietà maggiori) e chi invece ha avuto una carriera universitaria fatta di 18 e terminata con un voto non certo brillante. I criteri dell’ordinario invece non considerano affatto l’esperienza e valutano solo i titoli culturali; ma, omettendo di valutare i titoli acquisiti prima della laurea o quelli acquisiti dopo la data del bando di concorso e squalificando titoli quali pubblicazioni, dottorati di ricerca e seconde lauree sia all’estero e in Italia, promuovono operazioni arbitrarie che hanno solo l’effetto di abbassare la qualità della scelta dei futuri insegnanti e di tutta la categoria.

Inoltre, per diventare insegnante si usano criteri diversi di volta in volta, non solo a seconda del fatto che il concorso sia ordinario o riservato, ma anche rispetto alla data del concorso: tutti coloro che nel ’90 superarono il concorso per Inglese alle scuole medie ma non superarono quello alle superiori, adesso si vedono riconosciuta un’abilitazione anche per il concorso che non avevano superato; chi ha passato il riservato di Inglese nel ’92, ha sostenuto le prove scritte e orali in lingua italiana, chi, invece lo ha sostenuto nel 2000, ha sostenuto entrambe le prove in lingua inglese (io trovo giustamente).

Insomma se uno studioso del calibro di Umberto Eco volesse entrare nel mondo della scuola in qualità di insegnante, a causa dei criteri di valutazione vigenti, si troverebbe in fondo alle graduatorie e farebbe il precario per molti anni!

Non si può non tenere nella giusta considerazione la garanzia di serietà che può dare chi si è sempre preparato e continua a farlo mantenendo viva la propria curiosità intellettuale. Bisogna poi scoraggiare chi si fossilizza.

Operativamente, un miglioramento lo si potrebbe realizzare aumentando considerevolmente il punteggio per i dottorati di ricerca, per le pubblicazioni, per i corsi di specializzazione (discriminando quelli “compra-punti” fatti per corrispondenza) che prevedono una frequenza obbligatoria ed una tesi finale, per i corsi di specializzazione post lauream nelle università europee, per lavori svolti in altri ambiti culturali (cinema, teatro, radio, giornali, televisione) o per la ricerca. Mantenendo i 12 punti per l’anno di servizio, bisognerebbe assegnare all’anno di attività di ricerca / aggiornamento, almeno il doppio del punteggio. Bisognerebbe poi inserire certificazioni rilasciate dagli enti accreditati europei (facenti parte dell’ALTE) come ad esempio il Cambidge Certificate of Proficiency come titoli che danno un accesso preferenziale al ruolo in quanto particolarmente qualificanti. Non ultimo per importanza, rimane il problema dell’attitudine all’insegnamento che dovrebbe trovare una certificazione nel corso di specializzazione universitario per il conseguimento dell’abilitazione.

Insomma, formata una classe insegnante impegnata e motivata, la risoluzione di molti problemi sarebbe automatica. Anche le retribuzioni si assesterebbero a livelli europei, perché si sa che una classe lavoratrice competente e non divisa da piccoli interessi e privilegi (penso ai secondi lavori dei vari professionisti, o a chi fa l’insegnante solo per avere una occupazione che consente “di lavorare solo 18 ore settimanali e di godere di tante vacanze”), si unisce attorno a degli obiettivi e acquista naturalmente un potere contrattuale.


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