Una proposta pedagogico-politica per il nuovo anno
Lucio Garofalo - 04-01-2008
Da più parti si paventa un nuovo, inquietante periodo di barbarie e di oscurantismo. Ma dobbiamo davvero preoccuparci e prepararci a un futuro apocalittico? Siccome non sono un profeta, né un mago, ma un semplice osservatore della realtà storica, consegno ai posteri l'ardua sentenza.
E' comunque un dato indiscutibile che l'attuale modello di sviluppo economico-capitalistico, imposto per secoli dall'occidente con la violenza delle armi, del ricatto alimentare, dell'inganno, della propaganda mediatica e via discorrendo, attraversa una fase di profonda crisi strutturale e ideologica, per cui non riesce più a convincere, essendo incapace di sedurre e attrarre la gente che abita sul nostro pianeta, in modo particolare i giovani e i popoli del Sud del mondo. Basti pensare a quanto sta accadendo negli ultimi anni in un vasto continente come l'America Latina, scosso e rinvigorito da forti spinte anticapitaliste ed antimperialiste. Si pensi a quanto accade altrove, in Africa, in Medio Oriente, nell'Estremo Oriente e via dicendo.
Ma cosa si potrebbe fare in concreto, nella nostra realtà particolare e locale, nel nostro vivere quotidiano?
Francamente auspico che un giorno, anche nelle scuole pubbliche italiane si approdi finalmente all'adozione di un autentico spirito laicista, ovvero ad un approccio di tipo relativistico e interculturalistico nell'interazione dialettica tra docenti e discenti, vale a dire nel processo didattico-educativo che dovrebbe costituire il rapporto centrale e privilegiato all'interno delle dinamiche socio-relazionali esistenti nella scuola. Questo spirito di apertura e di tolleranza etico-civile, rappresenta una preziosa linfa vitale, una forma mentis assai proficua per la formazione culturale e per la piena emancipazione intellettuale e morale della personalità umana.
Cominciamo ad adottare leggi diverse, ma soprattutto un diverso atteggiamento verso i migranti, che formano le moltitudini del Terzo Mondo giunte in casa nostra. Iniziamo a considerarli non più come disprezzabile forza-lavoro a buon mercato, ossia come merci da sfruttare, e tantomeno come potenziali e pericolosi criminali da perseguitare e segregare in ghetti, carceri o lager (cosa sono i CPT se non questo?), bensì come persone in carne ed ossa, dotate di apprezzabili risorse, bisogni e diritti concreti, come esseri umani portatori di altre culture e di altri valori, con cui è possibile confrontarsi e convivere pacificamente, traendo reciproci vantaggi da eventuali contaminazioni che ci farebbero senz'altro progredire. Dobbiamo prendere atto della necessità di una rivoluzione culturale e sociale da attuare in casa nostra, per imparare a conoscere, a comprendere e sostenere la causa dei popoli oppressi del Sud del mondo, che si stanno ridestando ed emancipando dal secolare giogo imposto dalla società bianca occidentale. Non dobbiamo pensare o temere che saremo assaliti da orde inferocite di migranti clandestini, terroristi o pericolosi delinquenti, come invece vorrebbero farci credere. Al contrario, dovremmo sforzarci di comprendere le loro ragioni, in quanto solo così potremmo salvarci e potremmo tutelare le nostre ragioni e i nostri interessi particolari. In tal modo, potremmo liberarci da quei sensi di colpa che inavvertitamente straziano la nostra coscienza sporca di bianchi occidentali. E' inutile e controproducente agitare nervosamente spettri e spauracchi che servono solo a lacerare ulteriormente un tessuto sociale già offeso, a compromettere la convivenza civile e democratica, a scatenare conflitti tra poveri e ad esacerbare le contraddizioni già esistenti tra Nord e Sud del mondo, tra ricchi e poveri su scala planetaria.
Pertanto, credo che non arrecherebbe alcun danno ai nostri studenti se cominciassimo a far conoscere le ragioni degli altri, ossia di quelle genti e quelle culture a noi estranee e distanti, in particolare di quei popoli convenzionalmente reputati "inferiori", "arretrati", "incivili", "sottosviluppati", per dimostrare che invece non lo sono affatto e che avrebbero molto da insegnarci. Come, ad es., avrebbero potuto trasmetterci preziose conoscenze i popoli precolombiani degli Aztechi, dei Maya, degli Incas, in tanti ambiti dello scibile umano quali la matematica, l'astronomia, l'architettura, eccetera. Purtroppo, quei popoli sono stati sterminati e annientati brutalmente, la loro cultura e il loro sapere sono stati irrimediabilmente cancellati e sepolti nell'oblio dall'uomo bianco occidentale.
Un simile progetto politico-educativo sarebbe attuabile mediante l'introduzione nel curricolo formativo di una disciplina basata sull'insegnamento storico e antropologico-culturale delle principali confessioni religiose presenti nel mondo, mediante le quali sarebbe possibile far conoscere e studiare adeguatamente le altre culture e gli altri popoli della Terra. E non, invece, quella noiosa "pizza" che viene imposta ed inculcata ai nostri allievi, assai più simile ad un insegnamento confessionale e neocatechistico affidato a figure pseudo-specialistiche nominate direttamente dalle curie vescovili (un fatto gravissimo e vergognoso) all'interno di un contesto pubblico nazionale che dovrebbe avere il segno della laicità, ossia un'impronta di totale autonomia da qualsiasi forma di intrusione ed ingerenza esercitata dalle gerarchie vaticane nella sfera delle istituzioni statali.
Con questo articolo mi piacerebbe lanciare una proposta: così come avviene ogni anno per richiamare l'olocausto compiuto dal regime nazista (non solo a danno del popolo ebreo, ma anche contro zingari, slavi, omosessuali, portatori di handicap, comunisti, anarchici e dissidenti vari) si potrebbe fissare, simbolicamente, un "giorno della memoria" riservato al genocidio perpetrato dagli U.S.A., ossia un'intera giornata del calendario da dedicare alle rievocazioni, ai dibattiti e alle riflessioni su ciò che è stata un'operazione di estinzione cruenta e sanguinosa del popolo dei nativi nordamericani, ferocemente massacrati e cancellati dall'esercito yankee, sia fisicamente che culturalmente, in seguito alle cosiddette "guerre indiane" combattute nella seconda metà del XIX secolo.
Come spesso è accaduto in passato (si pensi a Roma nei confronti di Cartagine) i vincitori scrivono, o meglio, riscrivono la storia, falsificandola e rettificandola a proprio vantaggio. Così si è verificato nel caso dei pellerossa del Nord America, la cui storia è stata raccontata e divulgata attraverso il cinema western, che ha celebrato ed esaltato la conquista del West, ossia degli sterminati territori occidentali del continente nordamericano, sottratti con la forza delle armi e con mille trucchi ed inganni ai legittimi abitanti indigeni, le tribù dei pellerossa, da parte dei pionieri, dei colonizzatori e dei soldati bianchi, mistificando e alterando la verità storica. Da questi scippi, massacri e raggiri, abilmente occultati e distorti, hanno tratto la loro origine i miti e i cliché, ovviamente fallaci, legati alla cosiddetta "epopea western": dallo stereotipo del cowboy solitario, onesto e coraggioso, al luogo comune dell'indiano selvaggio e crudele. La mitologia cinematografica hollywoodiana ha riproposto lo schema manicheo di sempre, vale a dire la facile e semplicistica equazione "bianco = buono" e "indigeno = selvaggio = malvagio", un modello che si rinnova da secoli in tutte le occasioni in cui i bianchi occidentali si sono incontrati e scontrati con gli esponenti di altre culture e di altri popoli, considerati "inferiori" o "sottosviluppati", per cui sono stati sottomessi con la forza delle armi, con astuti stratagemmi o altri strumenti coercitivi.
L'occidente bianco è sempre stato sconvolto e turbato dall'idea della violenza, quando ad usarla sono gli altri, ossia i pellerossa, i Cinesi, i Cubani, i Vietnamiti, i negri, gli Arabi, gli islamici, e via discorrendo. Ma le violenze e le atrocità delittuose dei bianchi occidentali, dove le mettiamo? Il punto è questo: chi detiene il potere detta legge e decide chi sono i "buoni" e chi sono i "cattivi". E' sempre stato così, sin dai tempi più antichi. I Romani furono maestri molto esperti in questo campo, come ci insegnano Giulio Cesare e gli altri storici e conquistatori latini. La violenza della guerre, delle stragi, delle rapine, dei falsi trattati di pace, ecc., è sempre stata camuffata sotto vesti ipocrite, sbandierando nobili ideali assolutamente inesistenti, quali ad es. i principi della "fede religiosa" (si pensi all'epoca delle Crociate in Palestina), della "civiltà" e del "progresso" (si pensi alle conquiste coloniali nel Nuovo Mondo, cioé nelle Americhe, in Africa, in Asia), oppure ai valori della "libertà" e della "democrazia" in tempi più noti e recenti.
Ogni riferimento alla guerra in Iraq, o alle altre guerre in corso nel mondo, è puramente casuale.

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 Alberto    - 07-01-2008
Un discreto temino, ben condotto e articolato, con riferimenti ampi e complessi anche se no particolarmente approfonditi: ma la conclusione dove è? Sinceramente non la capisco. Insomma, che la storia la scrivano i vincitori è una banalità storiografica; non appena però si tenta di riscriverla dalla parte dei vinti, c'è sempre qualcuno che accusa qualcun altro di 'revisionismo', se è stato vincitore vero o presunto. Ora cosa dobbiamo fare, noi del Nord del mondo, suicidarci culturalmente lasciandoci annegare nell'oceano delle nostre colpe storiche e divenire qualche cosa di altro? Una certa sinistra fece nel suo piccolo qualcosa di simile in Iran; i guerrafondai americani vennero certo cacciati, ma il regime che li sostituì è quello che festeggia con impiccagioni pubbliche di massa l'approvazione della moratoria sulla pena di morte. Leggete "Leggere Lolita a Teheran" prima di parlare di cose che o non si conoscono o si dimenticano perché scomode.

 oliver    - 09-01-2008
Onestamente se Lei avesse utilizzato alcuni cioè e altri intercalari forse avremmo avuto l'apoteosi della vuotezza. Impariamo ad usare un linguaggio comprensibile e chiaro per comunicare in maniera corretta.

 Lucio Garofalo    - 12-01-2008
Francamente, con tutta la buona volontà non sono riuscito a capire il senso di questi commenti.
E poi parlano di incomprensibilità e incomunicabilità!