Dietro le sbarre
Francesco Ciafaloni - 14-07-2002

L'immigrazione non produce un cambiamento notevole solo nella storia personale di centinaia di migliaia di individui. A mutare inevitabilmente sono anche la "fortezza Europa" e l'Italia, terra di passaggio e ultimamente sempre più di stanziamento, in particolare: mutazione, questa, che riguarda le nostre città, i nostri quartieri, il diritto (illuministico) di cittadinanza, le frontiere dell'integrazione e dell'esclusione...



Da "Immigrati", ricerche prodotte dall'Associazione Kater
Kater vuol dire "battello"



Nelle carceri circondariali di Torino, le Vallette, un carcerato su tre non è di lingua madre italiana e non è cittadino italiano. In carceri di provincia del Piemonte ci si avvicina anche a due stranieri su tre.
Si può argomentare variamente su questo dato. Si può dire che è in atto la costruzione e la criminalizzazione dello straniero. Si può dire che gli stranieri, o alcuni tipi di straniero, sono più violenti o irregolari della media. Certo che il carcere sia il luogo di massima concentrazione degli stranieri non è un fatto che si possa ignorare, se non altro perché la differenza linguistica e il vuoto di prospettive distrugge interamente le già scarse potenzialità costruttive del difficile rapporto tra sorveglianti e sorvegliati e aggiunge un elemento in più alla negatività della istituzione totale.
Ci sono però cose che non si possono dire. Non si può dedurre dalla percentuale dei carcerati la percentuale dei reati commessi da stranieri, perché per gli stranieri la probabilità di finire in galera e di restarci è molto più alta che per i cittadini italiani. Non si può confrontare la percentuali dei reati commessi da stranieri con quella della intera popolazione italiana. Infatti, anche senza tener conto della possibilità di deformazioni nel processo, bisogna ricordare che delinquono soprattutto i giovani maschi e che quindi il confronto va fatto per sesso e classe di età. È possibile però che, anche facendo il confronto correttamente, per la prima volta dall'Ottocento in poi, la percentuale di reati degli stranieri sia più alta di quella dei cittadini, non solo in Italia ma in Europa e negli Stati Uniti. È possibile che la fine della industrializzazione porti a un cambiamento della composizione dei flussi migratori e alla creazione di vere e proprie catene migratorie criminali, distinte da quelle di lavoro. In sostanza la stessa divisione della criminalità per passaporto nasconde il fenomeno invece di metterlo in luce.
Ci sono filoni di immigrazione per servizi in cui nessuno delinque. Ci sono filoni di malavita in cui il traffico illegale è il fine stesso della immigrazione o in cui il vantaggio dell'essere in Italia consiste nella maggiore ricchezza e nel minor rischio di farsi ammazzare dalla polizia. Ma ci sono filoni, anche da paesi con pessima immagine, di lavoratori alla vecchia maniera, di migranti senza terra e senza diritti, disposti a fare tutto per quasi nulla, disposti a dormire dove capita, a stare al freddo, a rischiare la salute e la vita, come i nostri emigranti una volta. I migranti non rischiano la vita solo sul lavoro. I morti ammazzati di una città relativamente poco violenta come Torino sono per metà migranti, perché quelli frequentati dai migranti sono ambienti a rischio, perché gli irregolari si muovono in un mondo senza leggi e senza contratti in cui vale solo la forza, perché le prostitute ogni tanto vengono ammazzate da clienti matti, dagli sfruttatori propri e da quelli della concorrenza.
Quando si parla di insicurezza nelle città bisognerebbe ricordare che i soggetti più a rischio sono i migranti. Più delle vecchiette, cui pure è giusto pensare. Inoltre bisogna ricordare che qualche volta onesti lavoratori o giovanotti un po' sregolati finiscono confusi per somiglianza di aspetto, di comportamento, di lingua e per contiguità di residenza, con le reti di malavita. Per gli stranieri la zona grigia dei carcerati non criminali, di quelli che hanno combinato poco o nulla, è particolarmente ampia. Ed è particolarmente grande il rischio che sia proprio il carcere a immetterli nella criminalità come professione. Il patteggiamento - istituto non molto usato dai cittadini italiani, non in custodia cautelare, difesi bene - è invece usatissimo dagli stranieri, che qualche volta non si rendono neppure pienamente conto del significato di ciò che fanno e pensano ad uscire. Il processo del resto non è tradotto. L'interprete traduce per l'imputato o il testimone le domande del giudice e per il giudice le risposte dell'imputato o del testimone, ma non traduce gli avvocati o il pubblico ministero o il giudice quando non si rivolge specificamente all'imputato. L'interprete, se ha la competenza giuridica per capirlo, è l'unico che capisce tutto il processo. Lo straniero arrestato non ha accesso agli arresti domiciliari perché non ha una residenza e un ambiente stabili. Per lo straniero il rischio di fuga viene ritenuto ovvio. Non deve abbandonare la casa, la famiglia, la patria. Lo straniero deve solo andarsene; e si presume che lo faccia. Lo straniero in carcere non ha accesso alle pene alternative e non usa della maggior parte dei servizi e dei diritti disponibili. Non usa lo spaccio perché in genere non ha soldi; non riceve visite perché non ha una famiglia completa, o parenti, o amici regolari (gli irregolari, ovviamente, non possono entrare in carcere perché, in mancanza di permesso di soggiorno, dovrebbero essere espulsi), non ha numeri di telefono controllabili.
Lo straniero in carcere non capisce bene le istruzioni e i comandi, non ha servizi religiosi o feste comandate, con rare eccezioni. La formazione per il lavoro è più difficile e senza sbocco. Infatti nella maggior parte dei casi, alla fine della pena lo straniero, che in carcere ha un permesso di soggiorno per motivi di giustizia, anche se è irregolare o totalmente sprovvisto di documenti, si trova senza permesso e viene espulso. Non nel senso che venga fisicamente accompagnato alla frontiera, ma semplicemente rientra nel limbo della irregolarità. Perciò non avrà accesso a lavori regolari qualificati.
Un corso di insegnamento dell'italiano come seconda lingua alle Vallette, tenuto dai maestri della scuola Parini, che hanno elaborato un modulo flessibile per adulti, adeguato all'età, alla maturità e ai vari livelli possibili di competenza, ha cambiato radicalmente i comportamenti e la situazione di alcuni stranieri particolarmente intrattabili. Semplicemente ha dato un senso alle loro giornate. I rapporti con gli immigrati non stanno andando bene.
I conflitti crescono, la comunicazione non è sufficientemente approfondita, la multiculturalità resta una parola ambigua.
Un teologo a Bologna va nelle carceri a leggere Platone (a chi ha voglia, naturalmente). Anche ristabilire la comunicazione con chi ha violato le leggi è un modo di tenere in piedi il mondo.

(consulta le altre sezioni del documento, "Tempo di emigrare" e La lista dei migranti morti ai confini dell'Europa")
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