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L'Italia scopre l'acqua calda: la Cassazione dice che il mobbing non è reato
bloggers.it - 31-08-2007
Da ieri sera siamo bombardati dalla notizia per cui la Corte di Cassazione ha affermato che non esiste un reato di mobbing. La Corte ha confermato la decisione di un giudice delle indagini preliminari, che aveva disposto il non luogo a procedere nei confronti di un preside, accusato di aver perseguitato un insegnante con pratiche vessatorie.

Non ho a disposizione il testo della sentenza - che non è ancora disponibile su alcuna banca dati - ma credo che, una volta tanto, gli elementi offerti dalla stampa consentano di inquadrare abbastanza bene il problema.

Ora, che il mobbing non esista come reato non ci voleva questa sentenza per dirlo. E' un dato di fatto. La vera notizia, che forse ben pochi saranno in grado di valutare, è che questa sentenza mette la parola fine (salvo ripensamenti futuri della Suprema Corte) su una teoria che esiste da una decina d'anni e che era stata esposta da un illustre magistrato a diversi convegni. Secondo questa teoria, il danno alla salute patito dalla vittima di mobbing poteva essere configurato come "lesioni colpose", provocate sia pure indirettamente dal comportamento del suo persecutore.

Sulla base di questa orientamento teorico, alcune procure italiane avevano cominciato, tra il 1998 e il 1999, procedimenti penali a carico di soggetti accusati di aver causato tali lesioni colpose a lavoratori.

Ricordo che, in quel periodo, ad un convegno tenuto presso la sede della polizia municipale di Roma, avevo sentito diverse persone raccontare le loro tristi esperienze, annunciare con malcelata soddisfazione che la magistratura stava indagando sui loro casi ed esprimere la loro speranza di ottenere giustizia, tramite un procedimento penale. Mi colpiva la loro sicurezza, che per principio non sentivo di poter condividere, ben sapendo quanto tra il dire e il fare, nel campo processuale, non c'è solo il mare, ma ci sono diversi oceani.

Infatti, un giorno Simonetta Saccon, che si può definire non solo una vittima del mobbing ma praticamente una martire (anche nel senso letterale di martur, "testimone") mi telefonò, dicendomi con sgomento che tutti quei procedimenti penali di cui si era parlato al convegno di Roma erano terminati con un'assoluzione.

Ora la Cassazione sembra volerci dire in modo definitivo (pur sempre salvo ripensamenti che sono sempre impossibili seppure ora improbabili) che la teoria del "mobbing=lesioni colpose" va buttata a mare.

Dovrei leggere la sentenza per dire se condivido o meno le motivazioni, ma credo che la cosa non faccia molta differenza. La Corte così ha detto e, secondo un famoso detto, questo può persino trasformare il nero in bianco e viceversa, perlomeno sul piano giuridico.

La stampa ha commentato il fatto che, mancando una figura autonoma di reato per il mobbing, vi siano in cantiere diverse proposte di legge per inserirvela.

Ho espresso diverse volte il mio scetticismo sul fatto che la previsione di un autonomo reato di mobbing (comunque venga chiamato) possa veramente aiutare a risolvere il problema del mobbing.

Infatti, le vessazioni sul lavoro avvengono per diversi motivi - a volte abbastanza diversi fra loro - per cui non è pensabile ad una sola soluzione, una panacea che possa curarli tutti.

C'è tanta differenza tra il mobbing orizzontale dei colleghi malevoli e il mobbing verticale da superiore a collega; per non parlare di quei casi più rari ma esistenti di mobbing dal basso, di dipendenti che si coalizzano per boicottare un superiore. E c'è differenza tra un mobbing verticale portato avanti da un superiore gerarchico (che può venire in qualche modo isolato) e il mobbing disposto consapevolmente da un'intera azienda come sistema per sbarazzarsi dei dipendenti scomodi.

Non è pensabile che queste diverse realtà o addirittura le realtà che risultano da una miscela di queste possibilità possano essere risolte semplicemente prevedendo una nuova figura di reato, senza una politica che imponga alle aziende pubbliche e private di evitare determinati comportamenti e pratiche discutibili.

Inoltre c'è un problema concreto per cui il processo penale può difficilmente essere il luogo di risoluzione di questi problemi: la decisione sulla commissione di un reato passa nella maggior parte dei casi per la decisione se l'imputato ha compiuto determinate azioni con dolo, ovvero se voleva veramente danneggiare la vittima.

Se in qualche modo non si raggiunge la prova che le azioni vessatorie non fossero espressioni di qualcosa di diverso da una volontà persecutoria (ad esempio: il superiore non stava rimproverando il dipendente davanti a tutti per umiliarlo, ma allo scopo di dargli una scossa, di incoraggiarlo positivamente, di aiutarlo) le accuse sono destinate a cadere.

A questo punto possiamo fare tutte le norme penali che vogliamo, possiamo prevedere anche vent'anni di galera per il persecutore, possiamo prevedere persino l'ergastolo, tanto nessuno se lo farà mai. È il classico caso in cui cambiare tutto non cambierà niente.

Che cosa fare allora?

Bisogna ricordare che la guerra contro il mobbing è soprattutto una guerra di civiltà che si combatte su due livelli, di cui quello legislativo è solo uno. L'altro è il livello personale dell'opposizione all'illegalità e all'ingiustizia. In questo, il mobbing è uno dei diversi aspetti di un'illegalità dilagante, come la mafia.

Se vogliamo considerare il solo livello legislativo, occorrono norme che non cadano dall'alto, che non siano scritte da persone che non hanno mai incontrato un mobbizzato in vita loro. Occorrono norme che considerino i problemi concreti che si devono affrontare in questo campo.

Se si vuole proprio pensare ad un reato di mobbing, bisogna che si tratti di un reato previsto a titolo di colpa e non di dolo. Ovvero, io datore di lavoro ho il dovere di impedire che chiunque venga sistematicamente vessato nella mia azienda. Se non lo faccio, se me ne frego, sono responsabile anche penalmente. Anche se non sono io che ho perseguitato la persona.

O, ancora, io datore di lavoro o superiore gerarchico ho il dovere di trattare correttamente i miei dipendenti o sottoposti. Se mi comporto in modo da creare a quella persona una lesione alla salute, ne sono responsabile penalmente anche se credevo di fare il suo bene, anche se volevo solo forgiarla o chissà che altro.

Questa potrebbe essere una legge seria contro il mobbing sul piano penalistico. Non risolverebbe tutti i problemi, ma sarebbe un buon inizio.

Meno di questo sono solo chiacchiere sulle spalle di questa povera gente.

Segnalato da Paola, una docente

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