Guerra civile tra i palestinesi
Lucio Garofalo - 30-06-2007
DIVIDE ET IMPERA

L'attuale situazione di guerra civile in Palestina è il risultato di un astuto complotto internazionale, ordito dai sionisti di Tel Aviv e dai loro soci di Washington (con la tacita, inconsapevole o meno, complicità dell'Unione Europea) ai danni non tanto di Hamas, bensì della causa palestinese nel suo complesso. Cito in breve i fatti rilevanti.

L'accordo che aveva condotto alla nascita del governo di unità nazionale non ha sanato la contrapposizione tra le fazioni di Hamas e Al Fatah. Un contrasto giunto all'estremo di una guerra civile vera e propria. Il 15 giugno scorso, dopo una settimana di combattimenti, Hamas conquistava il controllo della striscia di Gaza facendo piazza pulita dei dirigenti corrotti di Al Fatah. La reazione del presidente Abu Mazen che sostituiva il legittimo governo di Hamas con un esecutivo di emergenza senza la ratifica parlamentare, rappresenta un vero e proprio golpe avallato da USA, UE e Israele. I quali supportano i dirigenti di Al Fatah per indebolire e boicottare il governo guidato da Haniyeh. Questo atto di sabotaggio è soltanto l'ultimo episodio di una complessa trama di oscure manovre tese ad ostacolare e far fallire l'azione del governo palestinese guidato da Hamas. Lo stesso presidente dell'Autorità palestinese ha partecipato a tali manovre. Una prova in tal senso è stata la designazione da parte di Abu Mazen di Mohamed Dahlan (il famigerato uomo forte dei servizi di sicurezza palestinesi) a vice-presidente del Consiglio per la sicurezza nazionale, l'organo addetto alla supervisione dei servizi segreti palestinesi, che agivano indipendentemente dalle direttive del governo e, non a caso, collaboravano con i servizi segreti sionisti. Le invisibili manovre tramate contro il legittimo governo palestinese erano state denunciate persino dall'ONU il 5 maggio scorso. Dalle prime schermaglie tra le milizie di Hamas e Al Fatah agli inizi dell'anno si è rapidamente passati allo scontro frontale nella prima settimana di giugno. Alle vittorie militari di Hamas il presidente Abu Mazen reagiva il 14 giugno dimissionando il governo di unità nazionale e annunciando la formazione di un esecutivo provvisorio di emergenza in attesa di nuove elezioni. Il 15 giugno Abu Mazen annunciava la scelta di un nuovo primo ministro, Salam Fayyad, già a capo del ministero delle finanze nel governo di unità nazionale, un economista di formazione nordamericana ed ex funzionario della Banca Mondiale, assai vicino all'amministrazione Bush. Il golpe riceveva il benestare immediato del governo israeliano e, a ruota, di quello statunitense. L'esecutivo golpista prestava giuramento il 17 giugno a Ramallah in Cisgiordania. In un comunicato diffuso lo stesso giorno, l'intero Quartetto per il Medio Oriente (formato da USA, Russia, Unione Europea ed ONU) riconosceva ufficialmente il golpe di Abu Mazen.

Come e perché si è giunti a questa drammatica situazione di odio fratricida?

Tutti potevano intuire sin dall'inizio che l'astio tra le formazioni palestinesi sarebbe presto degenerato in scontro aperto e frontale, per cui a taluni conveniva consegnare la Palestina in mano a due schieramenti che si sarebbero combattuti e indeboliti reciprocamente, a netto ed esclusivo vantaggio degli oppressori, ossia a beneficio dell'imperialismo sionista. I governi di Washington e Tel Aviv hanno lasciato fare perché la situazione era chiaramente a loro favore, nella misura in cui le dispute tra palestinesi fratelli e, nel contempo, rivali avrebbero ulteriormente piegato una nazione già stremata da decenni di lotte contro Israele, senza alcuna necessità di intervenire direttamente. Israele ha proseguito indisturbata la sua opera di repressione e di eliminazione dei dissidenti, ha intensificato le rappresaglie terroristiche nella striscia di Gaza e negli altri territori, costruendo un colossale muro che in pratica cinge un immenso lager nel quale sono rinchiusi oltre un milione di abitanti. Israele, con l'esplicito appoggio statunitense (e la tacita complicità dell'Unione Europea), sta vincendo la sua subdola ed invisibile guerra, tesa a dividere la nazione palestinese per controllarla e soggiogarla più facilmente. Oggi, il rischio più serio ed inquietante per il popolo palestinese non è solo il venir meno della già misera ipotesi dello Stato-enclave previsto dalla Road Map, ma è uno scenario raccapricciante in cui si prospetta la creazione di due entità palestinesi distinte e separate, ciascuna sostenuta dai propri sponsor internazionali. Inoltre, occorrerebbe ricordare alcune cifre che sono davvero impressionanti, ma sono emblematiche in quanto indicano lo stato reale in cui versa la popolazione palestinese, cifre concernenti in modo particolare la disperata situazione di miseria materiale della gente che vive a Gaza. Secondo dati ufficiali forniti dalla Banca Mondiale, il 40% dei bambini della Striscia di Gaza soffre di malnutrizione, oltre il 70% degli abitanti giace sotto la soglia della povertà, sopravvivendo a stento con meno di 2 dollari al giorno.

Cui prodest?

La guerra aperta tra le milizie di Hamas e quelle di Al Fatah ha radici profonde. La ragione principale è che da Oslo in poi Al Fatah ha spinto sempre più verso un accordo negoziale con Israele sulla base dello slogan (tanto caro anche alla "sinistra radicale" di casa nostra) "due popoli due stati". Il fallimento di questa strategia è fin troppo evidente. Ma chi ci ha rimesso e chi ci ha guadagnato? E' facile rispondere. I Palestinesi non hanno ottenuto nulla, mentre i sionisti di Tel Aviv hanno consolidato le loro posizioni, espandendo i loro domini territoriali con nuovi e crescenti insediamenti coloniali, e relegando i Palestinesi Cisgiordani all'interno di un vero e proprio lager circoscritto da un gigantesco muro di cinta.

L'Occidente decanta sempre le virtù liberatorie della democrazia, ma quando un popolo decide di autodeterminarsi e di esprimersi liberamente e democraticamente, come è accaduto nel caso dei Palestinesi, e il risultato elettorale non è molto gradito alle potenze occidentali, queste intraprendono una serie di manovre e di tentativi al fine di pregiudicarne e vanificarne ogni valore ed ogni carattere di legalità. Dopo le ultime elezioni palestinesi vinte da Hamas, la comunità internazionale ha imposto un ignobile embargo al fine di ricattare i palestinesi e costringerli a pentirsi di aver votato per Hamas. E' innegabile che Hamas sia un'organizzazione culturalmente retrograda e misoneista, politicamente reazionaria (diciamo islamico-fascista), certamente non progressista, ma è altrettanto ineccebile che Abu Mazen sia una pedina manovrata da USA ed Israele, che hanno appoggiato sia la gravissima decisione di Abu Mazen di sciogliere il legittimo governo guidato da Hamas, sia il golpe di Abu Mazen con il quale è stato formato un nuovo governo che non è minimamente rappresentativo del popolo palestinese, in quanto la decisione presidenziale viola apertamente la Costituzione palestinese, non avendo ricevuto il necessario consenso e la ratifica parlamentare.

Ma poniamoci una domanda "banale", che sorge spontanea, almeno nella mente di chiunque sia provvisto di un po' di buon senso. A chi giova la guerra civile in Palestina? Cui prodest? Certamente non alla causa palestinese. Allora chi ne trae vantaggio? Hamas? Al Fatah? O forse altre forze in gioco, vale a dire la potenza sionista di Israele, braccio armato dell'imperialismo globale in Medio Oriente? Di certo, un risultato utile questa guerra lo ha avuto, ossia quello di rivelare al mondo la natura reale di Al Fatah, che è da tempo diventato un burattino manovrato dalle potenze imperialiste. Non a caso, alle ultime elezioni politiche la stragrande maggioranza della popolazione palestinese si è espressa a favore di Hamas, e non di Al Fatah. Non a caso, la vittoria elettorale di Hamas è stata sin dall'inizio ostacolata e combattuta dai paladini della "democrazia" nel mondo, cioè gli Stati Uniti d'America. I quali possono indubbiamente vantare un assoluto primato ed un'indiscutibile superiorità morale nel campo dei diritti civili e delle libertà democratiche (la pena capitale, vigente in numerosi Stati della Confederazione USA, è un nobile esempio della civiltà giuridica e politica nordamericana!), per cui hanno tutti i requisiti e le carte in regola per "esportare la democrazia" nell'intero globo terrestre. (Un po' di ironia non guasta...) A tale proposito, gli islamisti non hanno per nulla torto quando disprezzano ed accusano la cosiddetta "democrazia" di essere una "foglia di fico" utilizzata per coprire le nefandezze e la natura tirannica e sanguinaria dell'imperialismo occidentale. D'altronde, i medesimi concetti sono formulati dai marxisti, benché in funzione comunista e sulla base di un'impostazione intellettuale ateistica e storico-materialistica. In particolare, Lenin e Rosa Luxemburg definivano la democrazia liberal-parlamentare e costituzionale come un "involucro protettivo" dentro il quale si riparano e si annidano la violenza e il fascismo della dittatura di classe della borghesia capitalista. La logica manichea che pretende di contrapporre la "democrazia" liberal-borghese alla "teocrazia" islamista è l'ennesima trappola ideologico-propagandistica escogitata dalle potenze imperialistiche per mistificare ed occultare la verità, per ingannare l'opinione pubblica internazionale, distraendola dai problemi concreti e dalle contraddizioni realmente esistenti in Medio Oriente, nel Golfo Persico e in altre aree strategiche del pianeta.

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