Pierangelo - 17-06-2007 |
da Repubblica del 16.6.2007 La bandiera della laicità Se oggi potessi essere a Roma andrei al Gay Pride. E non per solidarietà "da esterno" a una categoria in lotta. Ci andrei perché, da cittadino italiano, riconosco nei diritti degli omosessuali i miei stessi diritti, e nell'isolamento politico degli omosessuali il mio stesso isolamento politico. Ci andrei perché la laicità dello Stato e delle sue leggi mi sta a cuore, in questo momento, più di ogni altra cosa, e ogni piazza che si batta per uno Stato laico è anche la mia piazza. Ci andrei, infine e soprattutto, perché, come tantissimi altri, sono preoccupato e oramai quasi angosciato dalle esitazioni, dalla pavidità, dalla confusione che paralizzano, quasi al completo, la classe dirigente della mia parte politica, la sinistra. Una parte politica incapace di fare proprio, senza se e senza ma, il più fondante, basilare e perfino elementare dei princìpi repubblicani: quello dell'uguaglianza dei diritti. L'uguaglianza degli esseri umani indipendentemente dalle differenze di fede, di credo politico, di orientamento sessuale. Ci andrei perché ho il fondato timore che la nuova casa comune dei democratici, il Pd, nasca mettendo tra parentesi questo principio pur di non scontentare la sua componente clericale (non cattolica: clericale. I cattolici sono tutt'altra cosa). Ci andrei perché gli elettori potenziali del Pd hanno il dovere di far sapere ai Padri Costituenti del partito, chiunque essi siano, che non sono disposti a votare per una classe dirigente che tentenni o peggio litighi già di fronte al primo mattone. Che è quello della laicità dello Stato. Una piazza San Giovanni popolata solamente da persone omosessuali e transessuali, oggi, sarebbe il segno di una sconfitta. Le varie campagne clericali in atto tendono a far passare l'intera questione delle convivenze, della riforma della legislazione familiare, dei Dico, come una questione di nicchia. Problemi di una minoranza culturalmente difforme e sessualmente non ortodossa, che non riguardano il placido corso della vita civile di maggioranza, quella della "famiglia tradizionale". Ma è vero il contrario. L'intero assetto (culturale, civile, politico, legislativo) dei diritti individuali e dei diritti di relazione riguarda il complesso della nostra comunità nazionale. La sola pretesa di elevare a Modello una sola etica, una sola mentalità, una sola maniera di stringere vincoli tra persone e davanti alla comunità, basta e avanza a farci capire che in discussione non sono i costumi o il destino di una minoranza. Ma i costumi e il destino di tutti. Ci andrei perché dover sopportare gli eccessi identitari, il surplus folkloristico e le volgarità imbarazzanti di alcuni dei manifestanti è un ben piccolo prezzo di fronte a quello che le stesse persone hanno dovuto pagare alla discriminazione e al silenzio. E i peccati di orgoglio sono comunque meno dannosi e dolorosi delle umiliazioni e dell'autonegazione. E se la piazza dovesse essere dominata soprattutto da questi siparietti, per la gioia di cameraman e cronisti, la colpa sarebbe soprattutto degli assenti, che non hanno capito che piazza San Giovanni, oggi, è di tutti i cittadini. Se ci sono pregiudizi da mettere da parte, e diffidenze "estetiche" da sopire, oggi è il giorno giusto. Ci andrei, infine, perché in quella piazza romana, oggi, nessuno chiederà di negare diritti altrui in favore dei propri. Nessuno vorrà promuovere un Modello penalizzando gli altri. Non sarà una piazza che lavora per sottrazione, come quella rispettabile ma sotto sotto minacciosa del Family Day. Sarà una piazza che vuole aggiungere qualcosa senza togliere nulla. Nessuna "famiglia tradizionale" si è mai sentita censurata o impedita o sminuita dalle scelte differenti di altre persone. Nessun eterosessuale ha potuto misurare, nel suo intimo, la violenza di sentirsi definire "contro natura". Chi si sente minacciato dall'omosessualità non ha ben chiaro il concetto di libertà. Che è perfino qualcosa di più del concetto di laicità. Michele Serra |
Laura Tussi - 18-06-2007 |
La prospettiva di genere sembra abbia perso la precedente portata e che, una volta accreditata tra gli altri concetti utili nelle scienze sociali, sia entrata in una fase di pacificazione, che dal punto di vista politico (il più delicato), sia dal punto di vista della provocazione teorica, stimoli poca innovazione. Si constata che le ricerche sorprendono sempre e mettono in disordine i concetti e le elaborazioni già acquisiti. La ricerca sorprende sempre, ma anche la vita relazionale che conduciamo cambia ed effettivamente presenta oggi un’agenda più ampia ed aperta in cui sussistono e si avvertono vari cambiamenti e mutevoli stravolgimenti. La trattazione teorica e metodologica delle ricerche rispetto ai nuovi orientamenti sessuali, tutto quello che concerne il transessualismo, l’omosessualità, gli scambi imprevisti tra maschile e femminile, appare più sofisticato di quanto non siano numerose le vere ricerche sul terreno; sono sofisticate e colte anche per effetto della accumulazione di conoscenze attraverso una serie di contributi internazionali. Le discese sul terreno di analisi mostrano quanto sia veloce ed esteso il processo di arricchimento ed accrescimento quando si incomincia a lavorare e fare ricerca in questa direzione. Si acquisiscono concetti e si constatano realtà di fatto che prima non venivano discussi. Il numero delle configurazioni identitarie e gli scambi tra maschile e femminile, tra omosessuali e transessuali e tra tipi di transessuali tra loro, sembrano offrire una sorta di poliedrico ventaglio ad libitum nella società nel suo insieme, con una panoramica di scelte relazionali ricchissima e molto sfumata in incroci ed intrecci imprevedibili. L’impressione è che le scelte relazionali delle persone nella vita reale e quotidiana siano profondamente coartate da pregiudizi piuttosto pesanti quando si tratta di orientamenti sessuali non tradizionali. A che punto si trovano i rapporti tra i generi? Le linee di rivalità e di attrito sono sempre esistite e si sono spostate, comparendo all’improvviso dove meno lo si aspetta. Sembra che l’ostilità e il non riconoscimento reciproco tra i diversi generi siano altrettanto accentuati negli agglomerati collettivi, nei gruppi e movimenti di protesta, per esempio nei centri sociali e nelle organizzazioni necessarie per le manifestazioni dei Gay Pride, in cui nascono conflitti di tutti i tipi, quali movimenti di protesta politica o identitaria o di appartenenza sociale molto particolare. Altrettanto accentuati sono i conflitti all’interno delle coppie eterosessuali tra le quali qualche minimo di novità ed il riconoscimento reciproco hanno visto un’evoluzione e un incremento progressivo. Anche tra le coppie separate eterosessuali, la linea dello scontro sta assumendo connotati diversi, nuovi ed imprevisti. Il pensiero femminista ha edificato una specie di monumento al lavoro di cura e alle qualità della condizione di maternità; nello stesso tempo, una delle conseguenze perverse consiste nel fatto che, in qualche maniera, si è tolta ogni comunicazione diretta o meglio si sono esclusi gli uomini da ogni possibilità di instaurare qualche rapporto con il loro ruolo eventualmente all’interno di un rapporto paterno con i figli, che non sia immediatamente sotto accusa o giudicato estremamente inadeguato. Risulta consequenziale che moltissime delle associazioni di “ex”, molto numerose, comunque si chiamino, per la difesa dei diritti dei padri, risultano aggressive e molto misogine, antagonizzano le donne in quanto madri, accusandole spesso a torto di varie scorrettezze e di strumentalizzazioni di vario tipo. Queste organizzazioni si autodifendono dal fornire notizie, documentazioni e informazioni ai sociologhi e alle sociologhe che li vogliono intervistare, in quanto considerati parte integrante del partito delle “madri” e quindi automaticamente dotati di un portato valoriale negativo nei confronti dei loro punti di vista. Dobbiamo quindi riflettere sulle formule della differenza femminile etica, morale e culturale, che in qualche maniera, genera e produce un isolamento molto venerato e anche molto poco capace di autocritica. |