La scuola e il palazzo
Giuseppe Aragno - 08-06-2007
A Palazzo Madama opera buffa.
In scena tentativi di rissa e politicanti che una legge fascista ha condotto in Senato.
Si muovono come pesci nell'acqua, nel clima torbido da repubblica delle banane che ammorba l'aria delle aule parlamentari, recitano da cani e guitti, sempre più a disagio nei confini della legalità costituzionale, e producono nuovi e più seri strappi nei rapporti tra "paese reale e paese legale".
E' sotto gli occhi di tutti: lasciati fuori dal Palazzo gli elettori e i loro problemi quotidiani, a dominare il campo è "il paese illegale", quello contro il quale invano si levarono le preoccupate considerazioni di Enrico Berlinguer sulla questione morale o, più lontana nel tempo, l'indignata invettiva di Gaetano Salvemini e del suo "ministro della malavita".
Sbaglierò, ma nemmeno Salvemini troverebbe la parole giuste e poco rimane da dire. Spenti i microfoni delle televisioni, quando Vespa non gracchia più petulante, la verità nuda e cruda balza in luce meridiana e ti inquieta. I casi in fondo sono due: avevamo un generale cialtrone che un governo allo sbando ha avuto l'animo di assegnare ad un altissimo incarico istituzionale, o abbiamo un galantuomo licenziato e un vice ministro che ha lavorato - e lavora - per la sua parte a danno del Paese.

Fuori la porta del Palazzo il paese reale è ferito. Noi della scuola leggiamo di rappresentanti del sindacalismo di base, in lotta per la democrazia, inascoltati dal Parlamento e picchiati dai "tutori dell'ordine", scopriamo che, grazie a decreti e leggi di parlamentari che non abbiamo potuto eleggere, l'anno prossimo avremo meno insegnanti di sostegno dei pochi in servizio quest'anno: in Liguria addirittura uno su tre alunni, come impunemente consente il federalismo alla D'Alema. Fuori la porta del Palazzo, noi della scuola facciamo i conti con le classi sovraffollate, la precarietà delle condizioni igienico-sanitarie delle strutture scolastiche, chiediamo invano il rispetto delle norme sulla sicurezza, scontiamo sulla nostra pelle la politica dei tagli indiscriminati, affrontiamo da commissari gli esami di Stato, senza aver ricevuto la retribuzione del lavoro svolto per gli esami dall'ormai lontano 2004, e ascoltiamo il grido di allarme di un ministro dell'istruzione pubblica che lamenta: la scuola sta per fare banca rotta. E' lo stesso ministro che si è tenuto stretta la poltrona quando il Governo di cui fa parte ha speso cifre favolose per carri armati e aeroplani da guerra e ha continuato a finanziare largamente la scuola confessionale. Noi insegnanti volevamo che fosse abolita la riforma Moratti e ci troviamo di fronte a un governo che la mantiene in vita e la peggiora. Nel Palazzo si sciala e fuori, nel "Paese reale", la scuola non sa come tirare avanti.

Fuori della porta del Palazzo da anni inutilmente chiediamo che si adottino criteri di assoluta e totale trasparenza, da anni speriamo che si faccia finalmente piazza pulita. Questa domanda e questa speranza hanno dato a Prodi la risicata maggioranza che lo ha portato al governo, ma risposte non sono venute e la speranza è irrimediabilmente tradita.
A tutela di vecchie e nuove illegalità, abbiamo ancora il segreto di Stato su vicende inquietanti e tragiche della storia del nostro Paese, abbiamo esponenti dei servizi, accusati di essere spie, che svolgono mansioni di dirigenti del personale presso il ministro della Difesa e ci sono detenuti cui lo Stato riserva un regime carcerario che calpesta i diritti umani e il dettato della Costituzione. Fuori del Palazzo gli insegnanti, che hanno la testa dura, spiegano ai ragazzi la Costituzione e si sforzano di aiutarli a comprenderne e amarne i valori. Diciamo loro che un Paese civile non ammette che la pena per un reato, quale che esso sia, abbia carattere "affittivo". E però li avvertiamo. Se provate a protestare preparatevi all'etichetta: "fiancheggiatori delle Brigate Rosse". Un governo pletorico che sbandiera ai quattro venti la necessità di tagli e riduzioni di spese, riduce le pensioni e smantella lo Stato sociale, ma non taglia i suoi sprechi indecenti e quelli di quasi mezzo milione di individui che ricavano i loro cospicui mezzi di sostentamento dalla politica.
"La maggioranza - titolano oggi i giornali - salva Visco e il governo Prodi".
Quello che non si salva purtroppo è il paese.

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 Repubblica.it    - 08-06-2007
Senato, la lettera firmata anche dalla senatrice Albertina Soliani esponente dell'Ulivo. I parlamentari scrivono: "Siamo certi di interpretare il desiderio di molti"

La protesta di Buttiglione: voglio il gelato alla buvette



Un gruppo di parlamentari ha chiesto di aggiungere il gelato ai prodotti serviti nella buvette del Senato
SEMBRA uno scherzo, o una insidiosa provocazione dell'antipolitica. Ma è vero: al Senato, adesso, vogliono anche il gelato. Così ieri, a nome di un nutrito gruppo di parlamentari, il senatore Rocco Buttiglione, filosofo dell'Udc, e la senatrice Albertina Soliani, prodiana emiliana, hanno scritto ai questori di Palazzo Madama una lettera che merita di essere riportata nella sua concisa integrità documentale.

E dunque: "Ci rivolgiamo a voi con una richiesta di miglioramento della qualità della vita in Senato. La buvette non è provvista di gelati. Noi pensiamo che sarebbe utile che lo fosse e siamo certi di interpretare in questo il desiderio di molti. E' possibile provvedere? Si tratterebbe di adeguare i servizi del Senato alle esigenze della normale vita quotidiana delle persone. In attesa di riscontro, porgiamo cordiali saluti".

E' bene a questo punto che si conoscano anche i nomi dei senatori-questori che prima o poi dovranno respingere o accogliere l'istanza, magari regolamentandola nelle sue molteplici varietà: ghiacciolo, coppetta, cassata, cono, cornetto, granita, sorbetto, affogato e biscottone. Si tratta quindi del senatore Gianni Nieddu, Ulivo; del senatore Romano Comincioli, Forza Italia; e della senatrice Helga Thaler, autonomista sud-tirolese. Che la coscienza del loro ruolo li ispiri, per una volta, nel senso che riterranno più consono al bene comune. Amen.

Nel frattempo, varrà la pena di considerare come quella che in un celebre studio affidato alla buonanima di Giovanni Malagodi veniva cautamente definita "la condizione del parlamentare" sia oggi diventata, sic et simpliciter, "la qualità della vita dei senatori". Ma soprattutto colpisce, nella sollecitazione gelatiera e bipartisan, una parola che getta una piccola luce sulla faccenda: "il desiderio".

Ecco forse la bramosa chiave di volta per comprendere come, al di là di un facile e scontato moralismo, diversi rappresentanti della volontà popolare abbiano smarrito il senso stesso del loro operato, e ormai non si rendano più conto dell'effetto - per non dire la ricaduta simbolica - che suscitano certe loro pretese.

Molto semplicemente: desiderano, anzi desiderano troppo, non pongono tanti limiti alle loro voglie. Nel caso specifico alla loro gola. E' un fatto che richiama l'essenza corporea e primordiale del potere; un'impellenza biologica che non viene nascosta perché connessa al rango, allo status, al privilegio di ostentare il proprio appetito. Ai senatori piace il gelato: e lo vogliono. Slurp! Qui e ora. Slurp! slurp! Magari non immaginano che uscire dal Palazzo, farsi due passi a piazza Navona potrebbe anche fargli bene; magari non riescono nemmeno a capire come rispetto a un innocente gelatino si possano tirare in ballo questioni così alte. Pare di sentirli: eh, quante storie!

E' un'unica, drammatica storia, in realtà, quella dello snaturamento, della degenerazione, della deboscia delle assemblee elettive all'insegna di Bengodi. Tanto più irrilevanti le Camere sul piano politico, quanto più ornamentali, confortevoli, opulente, agognate.

Il Senato, in particolare. Perché prima del gelato i senatori hanno chiesto e ottenuto le settimane gastronomiche regionali, e poi quelle dedicate alle province. Il collezionista dispone di fantastici comunicati ufficiali emessi nei momenti più delicati sulle degustazioni dell'agro pontino, "la seconda giornata sarà abbinata alla carne di bufala bianca", oppure un dovizioso banchetto palermitano a conclusione del quale il presidente Musotto ha fatto presente uno slogan promozionale che a dire il vero lì dentro rischiava di suonare un po' così: "Mangio sicuro, mangio meglio".

A metà marzo il presidente Marini ha concesso la sala degli atti parlamentari al primo corso di sommelier per senatori. Montecitorio risponde con i prodotti agricoli di qualità certificata. Chi vuole il lardo, chi lo squacquerone, chi i fichi caramellati e chi i torcinelli. Buttiglione e la Soliani, dopo tutto, sono in buona compagnia. La deriva eno-gastronomica si fa anche dolciaria, ma non è dolce per niente il futuro delle istituzioni rappresentative.

FILIPPO CECCARELLI

 Maria Teresa De Nardis    - 08-06-2007
Non ci salviamo neanche noi docenti inidonei all'insegnamento. Messi al bando dalla Finanziaria berlusconiana del 2003 come che quelli che rovinano le casse e la reputazione della Scuola Italiana solo perchè, malati, continuiamo a lavorare, non in classe ma in mille altre utilizzazioni. Ulteriormente attaccati dalla Finanziaria prodiana del 2007 che ci vuole fuori dalla Scuola -non si sa ancora dove- perchè costituiamo un numero che alza il rapporto insegnanti/alunni nazionale. Senza nessun riguardo per le nostre nuove professionalità, utili e necessarie nella Scuola dell'autonomia, dell'ascolto e dei programmi individualizzati.
Una Scuola che i Governanti depauperano ogni giorno di risorse, anche quelle che già esistono e che sostengono il lavoro dei docenti curriculari.

 Giuseppe Aragno    - 08-06-2007
Pienamente d'accordo, cara De Nerdis: non ci salviamo neanche noi docenti inidonei all'insegnamento. E mi ci metto anch'io, che ci sono passato per la vostra via e la conosco bene. Ero diventato un buon tecnico, mi occupavo dei computer della scuola, li rimettevo in sesto quando si guastavano, tenevo corsi di inormatica per insegnanti e studenti. Tutto inutile: come voi fui messo al bando da Berlusconi nel 2003, trattato come un imboscato scansafatiche che rovinava le casse e la reputazione della Scuola Italiana. Avevo rifiutato la pensione privilegiata, deciso a guadagnarmi da vivere lavorando - e lavorarvo moltissimo e produttivamente - ma questo non contava nulla. La vergogna della finanziaria di Prodi non mi ha toccato personalmente, ma avete tutta la mia solidarietà, così come non posso fare a meno di disprezzare il centrosinistra che pure ho votato. Un disprezzo amaro, ma motivato: meglio un nemico dichiarato che un falso amico. Dei "grandi" sindacati non vale parlare: qui, dalle colonne virtulali di Fuoriregistro, più volte sollecitati, non hanno mai preso impegni concreti e, più volte pubblicamente attaccati, hanno taciuto. Qualche volta fidi scherani tentano una sortita, ma non hanno argomenti e fanno solo propagnada. Da tempo non hanno più nulla da dire ai lavoratori: la legittimazione che chiedono è quella del potere e, lo vediamo ogni giorno, sono ormai sindacati di Stato in linea col neofascismo che avanza.