breve di cronaca
Berlusconi: adesso le riforme diventano possibili
La Stampa - 22-06-2002
Ieri mattina Silvio Berlusconi s'è svegliato con 6 miliardi in più da spendere nel 2003. Corrispondono, euro più euro meno, a quello 0,5 per cento di Pil che l'Italia è ora autorizzata a «sforare» nei bilanci pubblici . Il premier sta già pensando a dove investire i denari che l'Europa ci consentirà di prendere a prestito. In una pausa del summit Ue iniziato ieri a Siviglia, Berlusconi ha osservato che a questo punto «l'Italia, come altri paesi, avrà una maggiore flessibilità nelle decisioni a sostegno delle riforme». Diventa realistica «non soltanto quella del fisco» (leggi: calo delle tasse), ma si schiude la porta anche «alla possibilità, per esempio, di procedere all'attuazione della riforma scolastica, di quella sanitaria e di altre ancora». Il principale problema, per Berlusconi, a questo punto diventa impedire che il jolly pescato in Europa si trasformi in un boomerang politico. Cioè che ministri e partiti si azzuffino sul modo di impiegare quelle risorse. Il premier, ieri, ne ha ragionato a cuore aperto. Non teme, gli è stato chiesto in conferenza stampa, che ora tutti i ministri vengano da lei per batter cassa? «Sono già venuti, grazie», è stata la secca risposta, «sto ricevendoli a uno a uno per valutare le loro richieste». Messe tutte insieme, le rivendicazioni fanno una montagna di soldi. Assommano, secondo la stima del premier medesimo, «intorno ai 50 mila miliardi» di vecchie lire: «E' chiaro che tutte non potremo accoglierle. Dovremo fare delle scelte». A questo punto è scattato l'apologo, caro a Berlusconi, del «buon padre di famiglia» al quale la moglie domanda di acquistare un altro frigorifero, il figlio la macchina nuova, la figlia un corso di lingue. Lui sa che «non può chiedere soldi in prestito» (vincolo di Maastricht), né «può aumentare il deficit, anzi deve tendere al pareggio» (accordo Ecofin). Va a finire che per il frigo la moglie dovrà aspettare l'anno prossimo, il figlio rivernicerà il vecchio catorcio, e invece «la figlia verrà mandata a studiare l'inglese in America». Dal che si è intuito che la Moratti ha più probabilità di essere accontentata, magari per realizzare una prima tranche di parità scolastica (definita dal Cavaliere «un must»), mentre ad altri ministri verrà chiesto di pazientare in attesa di tempi migliori. Alla distribuzione dei pani e dei pesci provvederà la legge finanziaria, attesa per la fine di settembre. In teoria dunque c'è ancora tempo. Ma qualche indizio sulle decisioni di spesa si potrà ricavare già dal Documento di programmazione economica e finanziaria, che sarà varato ai primi di luglio. Il Dpef rappresenterà la «cornice» per la stessa Finanziaria e si prevede che contenga una lista di priorità. Altrimenti non si spiegherebbe come mai il clima politico sui conti pubblici si sia così improvvisamente surriscaldato. Giulio Tremonti, interpellato sulle intenzioni del premier e del governo, s'è tenuto abbottonatissimo: «Non posso commentare il presidente del Consiglio su frasi che non ho sentito personalmente... Dobbiamo chiuderci in ufficio e fare la bozza di Dpef in base ai numeri che ci sembrano realistici», ha detto il titolare dei conti pubblici, «poi deciderà il Consiglio dei ministri». Tanto i collaboratori del premier, quanto quelli di Tremonti escludono un braccio di ferro sotterraneo tra Berlusconi e il suo ministro dell'economia. Da entrambi si descrive un gioco delle parti condotto «in perfetta sintonia»: con Tremonti nei panni del «Signor no» e il capo del governo in quelli di arbitro supremo tra le varie istanze. Fin dove reggeranno? Berlusconi stesso se lo sta chiedendo. «I prossimi giorni ci diranno», ha osservato ieri con accenti da Sibilla cumana, «se la nostra saggezza potrà essere vera saggezza, o se invece saremo capaci di sbagliare...». La prima regola, in questi casi, è di non alimentare troppe aspettative. Per cui il premier ha rimarcato più volte in conferenza stampa che lo «sconto» europeo non fa venir meno il Patto di stabilità, con l'impegno a raggiungere il quasi-pareggio nel 2003: «L'Italia ha sempre dichiarato e dichiara di voler rispettare integralmente, in maniera assoluta, gli impegni di Maastricht». Né Berlusconi prevede dall'intesa Ecofin ricadute negative sull'euro perché anzi, ha rimarcato, «così si implementa lo sviluppo economico». A sera il portavoce, Paolo Bonaiuti, faceva notare che nonostante il pareggio di bilancio non sia più richiesto al centesimo, la valuta europea ha continuato a correre rispetto al dollaro.

Ugo Magri
inviato a SIVIGLIA

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