Un dilettante allo sbaraglio
Antonio Vigilante - 14-04-2007
Tanto il titolo quanto la mole dell'ultimo libro di Vittorino Andreioli ("Principia. La caduta delle certezze", Rizzoli, Milano 2007, pp. 665) fanno pensare a qualcosa come un trattato di Kulturphilosophie alla Albert Schweitzer. Ahimé, ci troviamo di fronte a qualcosa di ben più modesto, anche se non di più modeste ambizioni. Se il titolo fosse "La crisi dei valori" sarebbe più facile per il lettore farsi un'idea del contenuto e del tenore del libro. Perché di questo si tratta: una riflessione - vedremo quanto profonda - sulla crisi attuale dei valori, cui Andreoli ha voluto premettere una lunga analisi della scienza, del diritto e della politica occidentali, al fine di mostrare la nascita ed il progressivo crollo dei princìpi che hanno sostenuto l'Occidente. Purtroppo Andreoli non è né filosofo della scienza né filosofo del diritto: le prime quattrocento pagine del libro non sono che la sintesi un po' frettolosa di quel che si può trovare in un qualsiasi manuale di storia della scienza o di storia del diritto. Frettoloso, ho detto. Si può avere la prova di questa frettolosità prendendo una nota a caso ed inserendo parte del testo in Internet. A pagina 262 si parla di Epifanio. Andreoli scrive:

Figlio del caposcuola gnostico Carpocrate e continuatore della sua setta. Nella lettera da Epifanio, giunta fino a noi, dichiarò che Dio aveva voluto scherzare, stabilendo il precetto di non desiderare la donna o la roba altrui. Infatti, se era stato Dio stesso a creare il desiderio sessuale, il suo vero messaggio non poteva essere che quello di spartire tutto con tutti, ovvero il libertinaggio più spinto. Secondo alcuni eresiologi, Epifanio morì a Same di Cefalonia, all'età di soli diciassette anni, consumato dai vizi. Alcuni studiosi moderni, tuttavia, propendono per la tesi che in realtà Epifanio non sia mai esistito, ma che sia stato un mito creato dai carpocraziani, che in suo onore avevano fatto erigere un tempio sull'isola di Samo.

Se uno ne volesse sapere di più su questo Epifanio (il cui pensiero appare una anticipazione di certe tesi interessantissime dei Fratelli del Libero Spirito e dei quietisti) e cercasse notizie in rete, troverebbe nell'ottimo sito Eresie.it la seguente scheda:

Figlio del caposcuola gnostico Carpocrate e continuatore della sua setta. Nella lettera da E. scritta e giunta fino a noi, egli dichiarò che Dio aveva voluto scherzare, stabilendo il precetto di non desiderare la donna o la roba altrui. Infatti, se era stato Dio stesso a creare il desiderio sessuale, il Suo vero messaggio, secondo E., era di spartire tutto con tutti, in pratica il libertinaggio più spinto. Secondo alcuni eresiologi, E. morì a Same di Cefalonia, all'età di soli 17 anni, consumato dai vizi. Alcuni studiosi moderni, tuttavia, propendono per la tesi che in realtà E. non sia mai esistito, ma che sia stato un mito creato dai carpocraziani, che in suo onore avevano fatto erigere un tempio sull'isola di Samo.

Naturalmente Andreoli si guarda bene dal citare la fonte, e questo comportamento è forse uno dei segni di quella crisi dei princìpi o dei valori che passa ad analizzare e soprattutto a stigmatizzare nella terza parte dell'opera. Siamo in tempi di flessibilità, nota, in un'epoca in cui i valori o princìpi diventano ingombranti, ostacolano la carriera, l'adattamento individuale alle richieste del sistema. Tuttavia l'uomo ha bisogno di stabilità, di princìpi sicuri, negando i quali si rischia la patologia, la scissione interiore, la schizofrenia. Disgraziatamente questi princìpi, che sono così importanti per la nostra salute mentale, non si possono dimostrare né li si può discutere. Vanno accettati per fede: "Mi pare di poter dire che, se i princìpi non si dimostrano, non devono nemmeno essere posti in discussione: semplicemente 'bisogna' credervi" (p. 445). E' così che i valori diventano dogmi. Il resto della fatica di Andreoli consisterà nello stabilire la tavola dei dogmi. Il primo è quello della sacralità della vita. La vita di ogni uomo è sacra. Attenzione, non passi in mente a nessuno di affermare una sacralità della vita in generale, come fanno alcuni malnati filosofi ambientalisti.
Le argomentazioni di Andreoli sono assolutamente stringenti:
1. se ogni vita fosse sacra "dovrei abbracciare lo giainismo" (p. 446) e mettermi una benda per non ingerire microorganismi, fino a morirne;
2. non dovremmo combattere il cancro, che è causato da virus;
3. non potrei più mangiare il culatello;
4. non dovrei abbattere il pitbull che ha aggredito un bambino.
Alla prima obiezione si risponde osservando che non si ha notizia di monaci jainisti che abbiano spinto la propria pratica dell'ahimsa fino al suicidio, e che il jainismo distingue con cura le pratiche ascetiche del monaco da quelle meno estremistiche del laico, che esprime nella vita quotidiana il proprio rispetto per la vita senza giungere a filtrare l'aria che respira; alla seconda ed alla quarta si risponde che l'affermazione del valore della vita non umana non nega il diritto umano all'esistenza: è sempre lecito distruggere una vita non umana quando ciò sia indispensabile per la propria sopravvivenza. Si tratta di una eccezione che ammetteva lo stesso Gandhi, che giunse ad affermare - suscitando furiose polemiche - il diritto di uccidere le scimmie che devastavano i raccolti del suo ashram o i cani randagi che mettevano a rischio la sicurezza dei villaggi. Ma è bene ricordare che per Gandhi è anche lecito sopprimere un essere umano in qualche caso estremo: ad esempio se si tratta di un folle che minaccia di uccidere diverse persone. Purtroppo non c'è alcuna obiezione possibile al terzo argomento. Qui viene tristemente fuori quella indimostrabilità dei valori di cui parla Andreoli: non è possibile dimostrare a gente come Andreoli che la vita di un animale vale di più di qualche fettina di culatello. Verrebbe voglia di usare il suo metodo, di dire che anche quello della vita non umana è un valore-dogma, oggetto di fede, e che chi non vi crede non è un essere umano degno di questo nome. Ma non oso, ché il tono di Andreoli mi intimorisce. Questa faccenda degli animalisti lo indigna. Ascoltatelo: "Insomma, piantiamola una volta per tutte: il principio riguarda la vita umana e non i ragni e nemmeno i koala" (p. 447). E va bene, piantiamola, non vorrei che Andreoli si offendesse.
Dunque ogni vita umana è sacra, e questa cosa va creduta per fede. E se uno non ha fede? Se non crede nella sacralità della vita umana? La risposta di Andreoli è anche qui perentoria: "Se non credi, non sei in vita, ma sei in pericolo di vita e non sei uomo. Ciò che distingue la vita umana dalla vita in generale è il credere." (p. 445). E ancora: "Dunque, il principio è che la vita umana va rispettata sempre e comunque. E piantiamola di discuterne, di sollevare dubbi. E' così e basta. Si tratta di un principio primo, di quelli fondamentali che non si legano a nulla, ma sono fuori discussione, e se uno non li discute non è uomo!" (p. 447). C'è uno stramaledetto inghippo, però. Ogni vita umana è sacra, e va bene. Ma chi lo nega, chi non ha fede, non è un essere umano. Non essendo un essere umano, la sua vita non è sacra. Il principio diventa dunque: la vita degli uomini che sostengono la sacralità della vita umana è sacra, la vita degli uomini che negano la sacralità della vita umana non è sacra. La conseguenza, penosa, è che coloro che affermano la sacralità della vita umana possono anche ritenersi in diritto di uccidere come cani altri esseri umani, privati della loro umanità perché non condividono il dogma e la fede. Naturalmente nessuno accuserà Andreoli di voler realmente sostenere questo. Andreoli è semplicemente caduto, come il più ingenuo dei pivelli o il più imbranato dei dilettanti allo sbaraglio, nella trappola della "tirannia dei valori", sulla quale ha scritto qualcosa un Carl Schmitt. Chi pone un valore, osservava il grande filosofo del diritto, per ciò stesso deve negare valore umano a chi nega quei valori: ed è così che dalla affermazione dei valori - che è ricerca del bene - nasce la violenza.
Sarebbe divertente continuare l'analisi della tavola dei valori di Anderoli, ma quanto detto può bastare per farsi un'idea della profondità del libro. Lo si consiglia agli studenti di filosofia che vogliano farsi qualche sana risata tra un libro di Kant e uno di Habermas. O agli appassionati della Corrida (quella televisiva).

Antonio Vigilante


interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Carlo Columba    - 23-04-2007
Ho trovato questo post molto istruttivo.
Conferma alcune opinioni che mi ero fatto sull'autore in occasione di un suo libro che tratta della scuola. Non ricordo il titolo in questo momento, ma ricordo l'impressione: una accozzaglia di banalità scopiazzate e nemmeno tanto "ben confezionate".

 Emanuela Cerutti    - 24-04-2007
Potrebbe essere "Lettera a un insegnante"?
Dove per più di 16 pagine (paginette x la verità) si elencano i 10 tipi di giudizi che gli allievi portano sui loro insegnanti? Il figo, il cesso, l'istrione, il samaritano, il minimalista, il mito, la vittima, il cattivo, l'assente...Senza obiettività, avverte l'autore, che spiega alla fine di non possedere "alcuna esperienza diretta nella scuola", giusto per provare a riconoscersi in uno dei "quadretti". Anzi, uno degli specchi deformanti da baraccone, sic. Per arrivare a dire? Che "tra le condizioni basilari per essere un buon insegnante c'è l'interesse, persino il fascino per i ragazzi". Invece, sostiene l'autore, "talora, quando sento certi insegnanti parlare di scuola, ho la netta impressione di un eccessivo masochismo e del gusto di romprere la casa in cui si vive e in cui si può stare meglio".
Oh bella, pensavo che la vera motivazione di questo mestiere fossero i soldi, la carriera, il riconoscimento sociale. E che la scuola, oggi, dovesse interrogarsi profondamente sul suo ruolo dentro un sistema globale in mutamento e non solo dentro specchi, necessariamente deformanti, perchè solitari. E pensavo anche, in attimi di particolare ottimismo, che la scuola fosse il posto dove si possono rifiutare a gran voce modelli che fanno stare peggio.
Invece no. Facili moralismi alè, così nulla cambia, tu fai il bravo, e il sistema avanza senza intoppi.
Però con la consolazione che "domani mattina potrai essere più utile ai tuoi allievi".
Va beh, se lo dice uno studioso della psiche...

 Douglas Swannie    - 17-08-2007
Caro Vigilante,
Sono l'autore di www.eresie.it.
Grazie per aver segnalato il classico "copia e incolla" in cui è cascato anche il Prof. Vittorino Andreoli: per me è una piccola soddifazione morale!
Non è la prima, né purtroppo sarà l'ultima volta in cui uno scrittore cita, in fondo al proprio libro, pagine di libri consultati, ma si guarda bene dal nominare seri studi disponibili su Internet e che lui è senz'altro andato a vedere, neanche fossimo "figlio di un dio minore".