V. Mariani - 24-03-2007
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Non voglio finire sul giornale io!" Quest'enunciato mi è venuto fuori quasi incontrollato al termine di uno degli incontri, stavolta straordinario, rivolto a valutare l'andamento delle classi ma con la massima cura (troppo spesso nel senso etimologico di preoccupazione!) per le individualità e singole personalità che le compongono, il più delle volte intorno alla terza decina.
Non posso assolutamente rimanere tranquilla se, quasi tutti i giorni ormai, anche dalla scuola giungono notizie inquietanti di alunni/e docenti e dirigenti di volta in volta protagonisti, attivi o passivi, di atti di violenza o di comportamenti indecenti che finiscono come gesta eroiche pure su internet. Senza parlare delle famiglie che, a dire dei cantastorie della carta stampata che tali informazioni ci riportano di continuo (bramosi, forse, di cavalcare l'onda della notizia di tendenza?), difendono strenuamente la propria prole. Difesa che, secondo me, lì dove non è istinto animalesco, altro non è che il tentativo disperato di assolversi per la diseducazione trasmessa. Perché se la nuova generazione traligna, come ogni altra generazione rispetto alla precedente (e non soltanto per un luogo comune), è colpa della famiglia che proprio non ce la fa a ritrovare se stessa e la sua indispensabile funzione di formazione, a partire da quei primi tre fondamentali anni di età di ogni creatura in cui si costruiscono le basi dell'individuo futuro, improntate su quella che chiamerei molto semplicemente buona educazione. E se la famiglia (ma, dico, non necessariamente papà e mamma) non è adeguata e supportata, e dalla mal gestita disgregazione genera rovina, è perché la società non cresce con i cambiamenti che naturalmente impone a se stessa e non fa maturare nell'identico modo e insieme le sue parti.
E chi dovrebbe assumersi questa responsabilità-missione è l'istituzione educativa più gettonata, dopo la Famiglia, ma a suon di parole e non di certo col concreto risuonare del denaro investito: la Scuola. E qui, nelle sue stanze sovraffollate, nei suoi ampi corridoi, nei suoi probabili laboratori, nei cortili adibiti a palestra: docenti, passionali e vigili, che sentono il ruolo che rivestono e fanno il proprio dovere ponderando, problematizzando, segnalando; docenti, stressati, che devono percorrere quotidianamente numerosi e pericolosi chilometri prima di giungere sul luogo di lavoro, che non necessariamente è uno; docenti, precari e avviliti, che un anno ci sono e l'altro no; docenti che, volenti o nolenti, svolgono disparate mansioni fra progetti e funzioni varie e eventuali; docenti, arrivati o anche arrivisti, che svolgono pure una libera professione; docenti, tanti, che fanno i calcoli per decidere se andare in prepensionamento; docenti, tutti, che devono fare i conti con registri e carte da compilare ancora e anche manualmente...
Rabbrividisco nel pensare quanto scrivo ma devo pure aggiungere che ho la forte impressione che, comunque, nessuno ce la faccia più e non voglia farcela più: l'importante non è essere o fare e nemmeno il classico avere, ma è sbagliare il meno possibile.
Nelle torri prominenti di tali castelli di carta e pure nell'imperversante timore di quel drago fumante che è la legge sulla privacy che ci immobilizza ulteriormente nelle già pesanti armature, si vive paradossalmente un nuovo medioevo fra le giostre delle cose notate e espresse e i tornei delle cose osservate e taciute, sempre in equilibrio fra la possibilità di incorrere in una squalificante denuncia e la probabilità di incappare nell'accusa mortificante di non aver fatto a sufficienza il proprio dovere.
Insomma è una battaglia quotidiana e occorre essere prodi cavalieri che restano, in ogni caso, sempre a cavallo. E che fine fa tutto ciò che da questo viene trascurato e addirittura travolto e schiacciato?
Ma di certo devo imparare a stare più serena e devo dare ragione a quel papà, che mandai a chiamare preoccupata: disse che suo figlio mi guardava fisso senza parlare, come d'altronde faceva già con lui, perché "
...forse non parla alle persone antipatiche" e, nel sottolineare che al figlio sembrava non importare nient'altro che guidare il trattore e stare in campagna, concluse "
Pressorè,... che Vi devo dire: tutto il resto, nait!"
Eh, e buonanotte ai suonatori!